Indotto auto, SOS delle imprese
Produttori, componentisti, altri
pezzi dell’indotto. C’è un fronte
unanime di preoccupazione per
le possibili conseguenze del voto
del Parlamento europeo sullo
stop alla vendita di auto con motore termico a partire dal 2035. Si
temono chiusure di aziende e
perdite di posti lavoro. Il ministro dello Sviluppo economico,
Giancarlo Giorgetti, parla di una
«decisione ideologica che rischia
di consegnarci ai produttori
asiatici». Il Governo intanto lavora al nuovo Dpcm 2022-24 con
aiuti per la riconversione produttiva; in arrivo fondi per 750
milioni. Tra le misure allo studio,
contratti di sviluppo e aiuti mirati all’innovazione. Produttori, componentisti, altri pezzi dell’indotto. C’è un fronte unanime di preoccupazione per le possibili
conseguenze del voto del Parlamento europeo sullo stop alla vendita di
auto con motore termico a partire dal
2035. In queste pagine sono raccolti
alcuni esempi degli effetti temuti
dalla filiera in termini di chiusura di
aziende e perdita di posti di lavoro. Il
ministro dello Sviluppo economico,
Giancarlo Giorgetti, parla di «decisione ideologica» che non ha tenuto
conto della necessità di «percorsi più
lenti per affrontare meglio questo
delicato passaggio verso il “green”
che la guerra sta inasprendo».
Al consiglio Ambiente della Ue del
28 giugno l’italiana porterà tutte le
sue preoccupazioni sullo stop alle
auto a motore termico a partire dal
2035. Una decisione descritta come
una pericolosa fuga in avanti sia da
Giorgetti sia da Roberto Cingolani,
ministro della Transizione ecologica.
Il ruolo del governo, insieme a quello
dei paesi a maggiore vocazione manifatturiera, e in particolare con forte
incidenza dell’automotive, sarà decisivo nel negoziato con il Parlamento
europeo. «L’impostazione europea
- secondo il ministro leghista - vuole
imporre ritmi e ideologie che impattano negativamente su alcuni paesi
come Italia, Germania e Francia. Non
possiamo far sì che la preoccupazione delle imprese si trasformi in grida
di disperazione, il rischio è l’eutanasia della nostra industria».
Come prima risposta l’esecutivo
Draghi, con il coinvolgimento di più
ministri, può mettere sul tavolo il
nuovo decreto attuativo del Fondo
automotive. Stavolta, dopo le risorse
sbloccate per gli incentivi all’acquisto di vetture a basso impatto ambientale, si lavora proprio sulla politica industriale, cioè sugli aiuti alla filiera, quindi su misure che incentivino la ricerca e sviluppo per la transizione ai motori elettrici. Un
mix di interventi che nel periodo
2022-2024 dovrebbe avere un impatto finanziario di 750 milioni (50
milioni per il 2022, 350 milioni per il
2023 e altrettanti per il 2024). Ulteriori fondi saranno poi distribuiti per
gli anni successivi, fino al 2030.
Il provvedimento atteso è un
Dpcm (decreto della presidenza del
consiglio) previsto dal decreto legge
energia di marzo che ha istituito un
Fondo automotive da 8,7 miliardi in
nove anni. Per i primi tre anni sono
previsti 2,7 miliardi: un primo Dpcm,
emanato ad aprile, ne ha destinati
1,95 agli incentivi. La quota restante
nel triennio, quindi 750 milioni, dovrà andare alla filiera. Il ministero
punta a rifinanziare, tagliandoli meglio sul settore, contratti di sviluppo
e accordi di innovazione. Le imprese
del comparto hanno chiesto un potenziamento dei crediti di imposta
per la ricerca e delle misure di deduzione sugli investimenti in macchinari considerando anche che da giugno 2023 si dirà addio al credito
d’imposta sui beni strumentali tradizionali, quello che una vola era noto
come superammortamento fiscale.
Di certo sul nuovo Dpcm il governo è
chiamato a evitare quanto accaduto
con il decreto attuativo incentivi, rimasto impantanato per qualche mese nel difficile incrocio dei pareri dei
ministeri competenti (Sviluppo economico proponente, con il concerto
di Economia, Infrastrutture e Transizione ecologica). La stessa formulazione dovrà essere usata per il
prossimo Dpcm e Giorgetti fa capire
di essersi già mosso: «Abbiamo sottoposto da tempo le nostre proposte
per la riconversione industriale dell’automotive agli altri ministeri».
Nel frattempo il ministero dello
Sviluppo aspetta nuove proposte
dalle aziende per progetti di ricerca
che possono essere finanziati con le
risorse del Piano di ripresa e resilienza a valere sull’investimento Ipcei
(grandi progetti di ricerca di comune
interesse europeo). Per le batterie
elettriche ci sono a disposizione 500
milioni. Ma anche su questo fronte i
tempi dettati dall’Europarlamento,
a giudizio di Giorgetti, rischiano di
spiazzare l’industria italiana, non
ancora pronta, a vantaggio di alcuni
paesi asiatici, Cina in primis, che
hanno già una filiera collaudata sull’elettrico. «Perderemmo autonomia
produttiva - dice - e vedremmo quello che stiamo vivendo con il gas
avendo scelto, tempo fa come Italia,
di affidarci agli approvvigionamenti
dalla Russia secondo una logica finanziaria e non politicamente strategica. Dovremmo tutti fermarci e riflettere su questo».
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