STUPIDA RAZZA

sabato 11 giugno 2022

Indotto auto, SOS delle imprese

 



Produttori, componentisti, altri pezzi dell’indotto. C’è un fronte unanime di preoccupazione per le possibili conseguenze del voto del Parlamento europeo sullo stop alla vendita di auto con motore termico a partire dal 2035. Si temono chiusure di aziende e perdite di posti lavoro. Il ministro dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, parla di una «decisione ideologica che rischia di consegnarci ai produttori asiatici». Il Governo intanto lavora al nuovo Dpcm 2022-24 con aiuti per la riconversione produttiva; in arrivo fondi per 750 milioni. Tra le misure allo studio, contratti di sviluppo e aiuti mirati all’innovazione.  Produttori, componentisti, altri pezzi dell’indotto. C’è un fronte unanime di preoccupazione per le possibili conseguenze del voto del Parlamento europeo sullo stop alla vendita di auto con motore termico a partire dal 2035. In queste pagine sono raccolti alcuni esempi degli effetti temuti dalla filiera in termini di chiusura di aziende e perdita di posti di lavoro. Il ministro dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, parla di «decisione ideologica» che non ha tenuto conto della necessità di «percorsi più lenti per affrontare meglio questo delicato passaggio verso il “green” che la guerra sta inasprendo». Al consiglio Ambiente della Ue del 28 giugno l’italiana porterà tutte le sue preoccupazioni sullo stop alle auto a motore termico a partire dal 2035. Una decisione descritta come una pericolosa fuga in avanti sia da Giorgetti sia da Roberto Cingolani, ministro della Transizione ecologica. Il ruolo del governo, insieme a quello dei paesi a maggiore vocazione manifatturiera, e in particolare con forte incidenza dell’automotive, sarà decisivo nel negoziato con il Parlamento europeo. «L’impostazione europea - secondo il ministro leghista - vuole imporre ritmi e ideologie che impattano negativamente su alcuni paesi come Italia, Germania e Francia. Non possiamo far sì che la preoccupazione delle imprese si trasformi in grida di disperazione, il rischio è l’eutanasia della nostra industria». Come prima risposta l’esecutivo Draghi, con il coinvolgimento di più ministri, può mettere sul tavolo il nuovo decreto attuativo del Fondo automotive. Stavolta, dopo le risorse sbloccate per gli incentivi all’acquisto di vetture a basso impatto ambientale, si lavora proprio sulla politica industriale, cioè sugli aiuti alla filiera, quindi su misure che incentivino la ricerca e sviluppo per la  transizione ai motori elettrici. Un mix di interventi che nel periodo 2022-2024 dovrebbe avere un impatto finanziario di 750 milioni (50 milioni per il 2022, 350 milioni per il 2023 e altrettanti per il 2024). Ulteriori fondi saranno poi distribuiti per gli anni successivi, fino al 2030. Il provvedimento atteso è un Dpcm (decreto della presidenza del consiglio) previsto dal decreto legge energia di marzo che ha istituito un Fondo automotive da 8,7 miliardi in nove anni. Per i primi tre anni sono previsti 2,7 miliardi: un primo Dpcm, emanato ad aprile, ne ha destinati 1,95 agli incentivi. La quota restante nel triennio, quindi 750 milioni, dovrà andare alla filiera. Il ministero punta a rifinanziare, tagliandoli meglio sul settore, contratti di sviluppo e accordi di innovazione. Le imprese del comparto hanno chiesto un potenziamento dei crediti di imposta per la ricerca e delle misure di deduzione sugli investimenti in macchinari considerando anche che da giugno 2023 si dirà addio al credito d’imposta sui beni strumentali tradizionali, quello che una vola era noto come superammortamento fiscale. Di certo sul nuovo Dpcm il governo è chiamato a evitare quanto accaduto con il decreto attuativo incentivi, rimasto impantanato per qualche mese nel difficile incrocio dei pareri dei ministeri competenti (Sviluppo economico proponente, con il concerto di Economia, Infrastrutture e Transizione ecologica). La stessa formulazione dovrà essere usata per il prossimo Dpcm e Giorgetti fa capire di essersi già mosso: «Abbiamo sottoposto da tempo le nostre proposte per la riconversione industriale dell’automotive agli altri ministeri». Nel frattempo il ministero dello Sviluppo aspetta nuove proposte dalle aziende per progetti di ricerca che possono essere finanziati con le risorse del Piano di ripresa e resilienza a valere sull’investimento Ipcei (grandi progetti di ricerca di comune interesse europeo). Per le batterie elettriche ci sono a disposizione 500 milioni. Ma anche su questo fronte i tempi dettati dall’Europarlamento, a giudizio di Giorgetti, rischiano di spiazzare l’industria italiana, non ancora pronta, a vantaggio di alcuni paesi asiatici, Cina in primis, che hanno già una filiera collaudata sull’elettrico. «Perderemmo autonomia produttiva - dice - e vedremmo quello che stiamo vivendo con il gas avendo scelto, tempo fa come Italia, di affidarci agli approvvigionamenti dalla Russia secondo una logica finanziaria e non politicamente strategica. Dovremmo tutti fermarci e riflettere su questo». 

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