STUPIDA RAZZA

giovedì 2 dicembre 2021

Gli ultrà sanitari collezionano flop ma continuano a propinarci divieti




Chiunque si applichi a esaminare lo stato presente dell’e me rgenza Covid, e lo faccia - beninteso - con animo libero da pregiudizi, si troverà davanti a u n’equazione con un numero piuttosto elevato di incognite. Per dirla ancora più chiaramente: sono tantissime le cose che non sappiamo. Non sappiamo esattamente la forza e l’impatto della cosiddetta variante Omicron: o meglio, dopo alcuni giorni, crediamo di sapere che essa sia molto meno pericolosa di come era stata descritta in prima battuta dalle autorità politiche e sanitarie. Tuttavia, non sappiamo se e cosa accadrà all’ap - parire (probabilissimo) di altre varianti, che inevitabilmente si genereranno, e che circoleranno a loro volta in tempi rapidissimi, in un mondo sempre più collegato e interconnesso. Alcune (auspicabilmente) si riveleranno meno insidiose, altre potrebbero invece (speriamo di no) rivelare una maggiore dannosità o comunque una superiore e più rapida facilità di contagio. Ancora: non sappiamo (e questo è un punto di debolezza oggettivo) quanto sia davvero temporalmente ampio l’o mbrello della protezione vaccinale offerto a chi abbia ricevuto mesi fa la seconda dose. Se assumiamo come parametro una protezione di sei mesi, e quindi consideriamo in via di scadenza la tutela offerta a chi abbia avuto il secondo richiamo entro fine maggio, in questo momento ci sarebbero circa 5 milioni e mezzo di italiani - di fatto - «scoperti», per quanto dotati dell’inutile pezzo di carta chiamato green pass. E se per caso accorciamo la durata presuntiva della protezione a cinque mesi, e quindi riteniamo «scoperto» chi abbia ricevuto il secondo richiamo entro fine giugno, il numero degli italiani «greenpassati» ma ormai non più protetti si avvicinerebbe a 12 milioni. Il che, come questo giornale scrive da mesi, rende ancora più macroscopici gli errori del governo: anziché scatenare una crociata estiva e autunnale contro no vax e no green pass, l’esecutivo si sarebbe dovuto affrettare con 2-3 mesi di anticipo, seguendo gli esempi israeliano e britannico, a offrire le terze dosi ai più anziani e ai più fragili. Ancora: sappiamo che il livello di occupazione delle terapie intensive è basso, il che dovrebbe confortarci e dissuadere dalle ondate di panico. Al tempo stesso, non possiamo sottovalutare il rischio futuro di malaugurate accelerazioni della pressione ospedaliera nell’una o nell’al - tra Regione. Come si vede, le incognite sono effettivamente numerose e tutt’altro che trascurabili per importanza. Ecco, proprio questa fotografia mossa, non chiara, non nitida, non a fuoco, dovrebbe indurre i decisori a un sovrappiù di moderazione, a risposte miti e pronte ad essere eventualmente modulate. È davvero il caso di dirlo: servirebbe quello che per antonomasia è il metodo scientifico, e cioè un procedere per approssimazioni successive, per aggiustamenti costanti, per verifiche, secondo una logica induttiva, e cioè quella per cui ogni passo ulteriore deriva dalla acquisizione e dall’esame degli elementi di conoscenza che via via sopragg i u n go n o. E invece? E invece le nostre autorità sembrano fare esattamente il contrario. Non metodo induttivo, ma deduttivo, con verità precostituite, tesi imposte dall’alto e programmaticamente non discutibili. Non approcci empirici, improntati al dubbio, ma atteggiamenti dogmatici, quasi religiosi: con relativa messa al rogo degli eretici, e cioè di chiunque osi sollevare dubbi, incluse personalità scientifiche (uno per tutti, il professor An - drea C r i s a nti ) ascoltate con rispetto fino a qualche giorno prima. Non risposte miti, ma scelte politiche improntate a una durezza esplicitamente punitiva. Non ha funzionato il green pass? E allora ecco il super green pass. Ed ecco l’impo - sizione della mascherina all’aperto: scelta, questa, letteralmente surreale, chiaramente priva di qualunque base scientifica. Ma tutto il ventaglio degli strumenti adottati ha questo sapore: punire i «cattivi», senza che peraltro scatti alcun premio per i presunti «buoni»; tenere tutti sulla corda, imponendo regole sempre più draconiane, pur in presenza del fallimento delle regole precedenti. L’importante è imporre l’obbedienza e affermare un clima «esemplare» di repressione del dissenso. Per paradosso, non siamo a una nuova versione degli «anni del consenso»: ciò che conta è la repressione - visibile a tutti, dunque educativa - di ogni eventuale dissenziente. Così, il gioco è fatto, ottenendo un rovesciamento delle parti vantaggiosissimo per chi sta al potere, per almeno due ragioni. Primo: se le cose andranno bene, sarà merito dei governanti illuminati; se invece andranno male, sarà colpa dei cittadini che non le hanno rispettate abbastanza. Secondo: con una simile pressione politica, anche il sistema mediatico (rare e meritorie eccezioni a parte) si presta a non essere più strumento dei cittadini per realizzare uno scrutinio sull’azione di chi sta al potere, ma uno strumento di chi sta al potere per realizzare uno scrutinio sul grado di obbedienza dei sudditi. La sensazione è che non sarà facile né indolore uscire da questo circolo vizioso.

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