SECONDO IL MIO PUNTO DI VISTA E' UN'INFLAZIONE TRANSITORIA A CAUSA DELLA SPECULAZIONE,SIAMO IN PIENA DEFLAZIONE DA DEBITI !
Mentre tutti i
partiti ieri mattina chiedevano
al premier di aggiungere fondi
in manovra per
calmierare le bollette, Giorgetti ha deciso di evocare i
blackout energetici. Un’ipotesi molto realistica che cresce con l’aumentare dell’inflazione e dei colli di bottiglia
lungo le catene produttive. Il
dato inflattivo negli Usa ha
superato il 6%, in Germania il
5 e ieri l’Istat ha certificato il
nostro: 3,8%. Inserire in manovra 1 miliardo in più contro l’aumento dell’en erg ia
non servirà a nulla. Il problema, come ha detto il capo
della Fed, è strutturale. È dovuto all’impossibilità di gestire l’approvvigionamento e
alla transizione ecologia che
L’Ue e lo stesso Draghi promettono di fare a misura d’azienda. Di certo, sarà un inverno freddo.L’inverno appena iniziato
rischia di rimanere appeso a
due termini inglesi. Blackout e
lockdown. Due facce di una
stessa medaglia che si chiama
inflazione. Partiamo dal primo termine. Mentre tutti i partiti politici ieri mattina chiedevano a Mario Draghi, in vista della manovra, di mettere
più soldi per calmierare il
prezzo delle bollette (un miliardo in più rispetto ai circa
tre già stanziati, che si sommano ai due messi sul tavolo prima dell’estate), il ministro dello Sviluppo economico, Gian -
carlo Giorgetti, se ne esce con
una frase semplice semplice:
«I blackout energetici non sono da escludere rispetto all’at -
tuale assetto dell’approvvigio -
namento. Lo sforzo che dobbiamo fare», ha detto, «è quello
di sterilizzare questo tipo di
impatto nei confronti delle famiglie, al netto di quanto spetti
fare in Europa per evitare conseguenze peggiori come arrivare a un blackout».
Purtroppo, i due presupposti contenuti nella frase sembrano essere molto labili. Calmierare i prezzi delle bollette
ha senso se si tratta di inflazione transitoria. Da mesi scriviamo che non è così, ma a dirlo
ieri è stato addirittura il numero uno della Fed, Jerome Powel l , il quale apertamente ha
consigliato di archiviare il termine «transitoria». L’altro assunto della frase è la speranza
che il carnefice fornisca anche
la cura. Uno degli elementi dell’impennata dell’inflazione e
de ll ’aumento dei costi dell’energia è propria la transizione
voluta e sostenuta dalla Commissione Ue. A questo punto
sarebbe il caso anche in Italia di
avviare una seria riflessione
sui problemi che la nostra economia si trova ad affrontare.
Sempre ieri a Portovesme (Sardegna), lo stabilimento della
multinazionale dello zinco
Glencore, ha avviato lo spegnimento. A dicembre nessuna
produzione e 400 dipendenti
in cassa integrazione. Lasciando perdere tutti i soldi pubblici
destinati all’economia dell’iso -
la, la scelta di Glencore è solo
anticipatrice. Sempre più
aziende chiuderanno i battenti
perché non sono in grado di sostenere gli aumenti in bolletta.
Certo, il fermo della produzione riduce il rischio di blackout energetici, ma alla fine si
tratta di un altro tipo di blackout. Poco cambia. E peggio ancora il fermo della produzione
delle multinazionali non esclude comunque i rischi di oscuramento. Le piccole medie aziende spesso non possono permettersi di fermarsi. Scelgono
di lavorare anche in perdita
perché sono instabili finanziariamente. Questa scelta può di
contro portare a blackout elettrici. Ovviamente ci auguriamo che non sia così. Però è bene dire che le premesse ci sono
tutte. I governi non riescono a
raffreddare i costi delle materie prime ed evitano di ammetterlo ma si sono resi conto che
le catene logistiche (le supply
chain) si sono spezzate. Pandemia e improvvisi tentativi di reshoring (la rilocalizzazione sul
territorio nazionale di attività
o lavorazioni precedentemente trasferite all’estero) hanno
creato colli di bottiglia che ormai sembrano strutturali o comunque di difficile scioglimento. La globalizzazione come è stata pensata a partire dal
Duemila a oggi si sta rivelando
una zavorra. Mancano carta,
prodotti farmaceutici, metalli
per l’industria, microchip ma
anche grano, frumento e mais.
Quando non mancano, riportano prezzi raddoppiati o triplicati. Non è un caso che l’in -
flazione negli Usa abbia superato già il 6%, in Germania il 5,
in Brasile il 10, in Polonia il 7, in
Australia il 3 e così pure in
Giappone e Corea. Ieri l’Istat ha
diffuso i nostri dati e siamo già
al 3,8 e veleggiamo verso il 5. Un
treno di gomme negli Stati Uniti oggi costa il 15% in più rispetto a novembre del 2020. Le auto
nuove si stentano a vendere e il
mercato dell’usato (indice che
misura perfettamente la salute
delle classi meno abbienti) vede listini impennati del 40%.
Ed è qui che fa eco l’altro termine che rischiamo di incrociare nelle prossime settimane: lockdown. La variante Covid Omicron è stata da subito
pompata e ha avuto un duplice
effetto sui mercati. Giù gli indici di Borsa, che comunque
erano tutti ai massimi, e giù
pure i prezzi di petrolio e gas.
La sola idea di un possibile
nuovo lockdown ha raffreddato le materia prime. Un effetto
benefico se si pensa alle bollette di famiglie e azienda. Ma attenzione. Gli investitori si sono mossi sul breve termine.
Nessun impatto sui future a
lungo termine. Il che significa
che fra due settimane l’e f fetto
Omicron sarà già svanito con il
rischio di portare con sé rimbalzi importanti sul prezzo
delle materie prime. Tradotto,
ancor più inflazione che segretamente è benedetta dalle
banche centrali perché sgonfia i debiti pubblici. Ma diventa
benzina se non si fanno salire
in parallelo gli stipendi. E in
Europa le buste paga sono al
palo. È chiaro a questo punto
che ciò che non si riesce a fare
contro l’inflazione si può fare
contro i consumi. E i lockdown
comprimono appunto i consumi. Abbattono l’inflazione, ma
portano tanta povertà.
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