STUPIDA RAZZA

giovedì 2 dicembre 2021

L’inflazione galoppa. E Giorgetti evoca il blackout

 

SECONDO IL MIO PUNTO DI VISTA E' UN'INFLAZIONE TRANSITORIA A CAUSA DELLA SPECULAZIONE,SIAMO IN PIENA DEFLAZIONE DA DEBITI !

Mentre tutti i partiti ieri mattina chiedevano al premier di aggiungere fondi in manovra per calmierare le bollette, Giorgetti ha deciso di evocare i blackout energetici. Un’ipotesi molto realistica che cresce con l’aumentare dell’inflazione e dei colli di bottiglia lungo le catene produttive. Il dato inflattivo negli Usa ha superato il 6%, in Germania il 5 e ieri l’Istat ha certificato il nostro: 3,8%. Inserire in manovra 1 miliardo in più contro l’aumento dell’en erg ia non servirà a nulla. Il problema, come ha detto il capo della Fed, è strutturale. È dovuto all’impossibilità di gestire l’approvvigionamento e alla transizione ecologia che L’Ue e lo stesso Draghi promettono di fare a misura d’azienda. Di certo, sarà un inverno freddo.L’inverno appena iniziato rischia di rimanere appeso a due termini inglesi. Blackout e lockdown. Due facce di una stessa medaglia che si chiama inflazione. Partiamo dal primo termine. Mentre tutti i partiti politici ieri mattina chiedevano a Mario Draghi, in vista della manovra, di mettere più soldi per calmierare il prezzo delle bollette (un miliardo in più rispetto ai circa tre già stanziati, che si sommano ai due messi sul tavolo prima dell’estate), il ministro dello Sviluppo economico, Gian - carlo Giorgetti, se ne esce con una frase semplice semplice: «I blackout energetici non sono da escludere rispetto all’at - tuale assetto dell’approvvigio - namento. Lo sforzo che dobbiamo fare», ha detto, «è quello di sterilizzare questo tipo di impatto nei confronti delle famiglie, al netto di quanto spetti fare in Europa per evitare conseguenze peggiori come arrivare a un blackout». Purtroppo, i due presupposti contenuti nella frase sembrano essere molto labili. Calmierare i prezzi delle bollette ha senso se si tratta di inflazione transitoria. Da mesi scriviamo che non è così, ma a dirlo ieri è stato addirittura il numero uno della Fed, Jerome Powel l , il quale apertamente ha consigliato di archiviare il termine «transitoria». L’altro assunto della frase è la speranza che il carnefice fornisca anche la cura. Uno degli elementi dell’impennata dell’inflazione e de ll ’aumento dei costi dell’energia è propria la transizione voluta e sostenuta dalla Commissione Ue. A questo punto sarebbe il caso anche in Italia di avviare una seria riflessione sui problemi che la nostra economia si trova ad affrontare. Sempre ieri a Portovesme (Sardegna), lo stabilimento della multinazionale dello zinco Glencore, ha avviato lo spegnimento. A dicembre nessuna produzione e 400 dipendenti in cassa integrazione. Lasciando perdere tutti i soldi pubblici destinati all’economia dell’iso - la, la scelta di Glencore è solo anticipatrice. Sempre più aziende chiuderanno i battenti perché non sono in grado di sostenere gli aumenti in bolletta. Certo, il fermo della produzione riduce il rischio di blackout energetici, ma alla fine si tratta di un altro tipo di blackout. Poco cambia. E peggio ancora il fermo della produzione delle multinazionali non esclude comunque i rischi di oscuramento. Le piccole medie aziende spesso non possono permettersi di fermarsi. Scelgono di lavorare anche in perdita perché sono instabili finanziariamente. Questa scelta può di contro portare a blackout elettrici. Ovviamente ci auguriamo che non sia così. Però è bene dire che le premesse ci sono tutte. I governi non riescono a raffreddare i costi delle materie prime ed evitano di ammetterlo ma si sono resi conto che le catene logistiche (le supply chain) si sono spezzate. Pandemia e improvvisi tentativi di reshoring (la rilocalizzazione sul territorio nazionale di attività o lavorazioni precedentemente trasferite all’estero) hanno creato colli di bottiglia che ormai sembrano strutturali o comunque di difficile scioglimento. La globalizzazione come è stata pensata a partire dal Duemila a oggi si sta rivelando una zavorra. Mancano carta, prodotti farmaceutici, metalli per l’industria, microchip ma anche grano, frumento e mais. Quando non mancano, riportano prezzi raddoppiati o triplicati. Non è un caso che l’in - flazione negli Usa abbia superato già il 6%, in Germania il 5, in Brasile il 10, in Polonia il 7, in Australia il 3 e così pure in Giappone e Corea. Ieri l’Istat ha diffuso i nostri dati e siamo già al 3,8 e veleggiamo verso il 5. Un treno di gomme negli Stati Uniti oggi costa il 15% in più rispetto a novembre del 2020. Le auto nuove si stentano a vendere e il mercato dell’usato (indice che misura perfettamente la salute delle classi meno abbienti) vede listini impennati del 40%. Ed è qui che fa eco l’altro termine che rischiamo di incrociare nelle prossime settimane: lockdown. La variante Covid Omicron è stata da subito pompata e ha avuto un duplice effetto sui mercati. Giù gli indici di Borsa, che comunque erano tutti ai massimi, e giù pure i prezzi di petrolio e gas. La sola idea di un possibile nuovo lockdown ha raffreddato le materia prime. Un effetto benefico se si pensa alle bollette di famiglie e azienda. Ma attenzione. Gli investitori si sono mossi sul breve termine. Nessun impatto sui future a lungo termine. Il che significa che fra due settimane l’e f fetto Omicron sarà già svanito con il rischio di portare con sé rimbalzi importanti sul prezzo delle materie prime. Tradotto, ancor più inflazione che segretamente è benedetta dalle banche centrali perché sgonfia i debiti pubblici. Ma diventa benzina se non si fanno salire in parallelo gli stipendi. E in Europa le buste paga sono al palo. È chiaro a questo punto che ciò che non si riesce a fare contro l’inflazione si può fare contro i consumi. E i lockdown comprimono appunto i consumi. Abbattono l’inflazione, ma portano tanta povertà.

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