Il reddito di
cittadinanza è
stato un falli-
mento morale,
e c o n o m i c o e
s o c i a l e . N o n
solo per i tanti casi di truffa
che sono emersi ma per la
sua intrinseca immoralità
e impraticabilità: non si
può retribuire l’inattività e
perfino incentivarla, come
di fatto succede. Ogni eser-
cente o imprenditore può
raccontare la sua esperienza di offerte di la-voro a disoccupati che vengo-
no rifiutate o tradotte in nero,
per usufruire del reddito di
Stato. Resta però vero che una
società non può abbandonare
chi se la passa male, deve esse-
re solidale con chi non trova
lavoro. Da qui la proposta: per-
ché non trasformare il reddito
di cittadinanza in un’att iv i tà
lavorativa in modo da meritar-
si il reddito? Un tempo c’era -
no i lavori socialmente utili.
Meglio quelli che il reddito pa-
rassitario, che non serve affat-
to, come abbiamo visto in que-
sti anni, a inserire o reinserire
nel lavoro.
Ma si potrebbe pensare an-
che ad altro. Per esempio, ci
sono milioni di anziani in Ita-
lia abbandonati a sé stessi,
dalla famiglia, dalla società e
dalle istituzioni. Percepisco-
no una pensione, spesso scar-
sa, ma non godono di una vera
assistenza sociale e non si po-
trebbero permettere badanti
o assistenti. Dico gli anziani
che non necessitano di cure e
assistenza medica o che non
sono economicamente e so-
cialmente indipendenti. Ce ne
sono milioni, proprio come i
disoccupati. Non si può stu-
diare un modo per venire in-
contro ai bisogni degli anziani
e allo stesso tempo offrire ai
giovani una prima opportuni-
tà di guadagno? Tanti vecchi
hanno bisogno di compagnia,
di aiuto, di assistenza e di vigi-
l a n za .
I livelli d’aiuto sono diversi:
c’è chi ha bisogno di qualcuno
che dia loro voce e non li faccia
cadere in quella depressione
incomunicante che fa galop-
pare i mali dell’anziano, a co-
minciare dalla demenza seni-
le. Qualcuno che magari li
porti in giro o ai giardini pub-
blici, qualcuno che li aiuti con
la tecnologia, legga loro il gior-
nale, un libro o vada a far loro,
o insieme a loro, la spesa, porti
i sacchetti e i rifiuti; li accom-
pagni dal medico, dal barbiere
o alla posta a ritirare la pensio-
ne; e li assista per strada per-
ché hanno incertezze a cam-
minare, vacillano, a volte per-
dono l’orientamento o non ci
vedono. C’è chi ha bisogno di
aiuto in casa, perché sono soli,
vedono e sentono poco, hanno
bisogno di qualcuno che curi
la casa o la cucina, vanno assi-
stiti e hanno bisogno di senti-
re un fiato. Poi c’è chi è malato,
di quelle brutte malattie che
colpiscono i vecchi e hanno bi-
sogno notte e giorno di vigi-
lanza, ma lì entra un altro tipo
di assistenza specializzata.
Un tempo il problema dei
vecchi c’era meno per tre ra-
gioni: perché si moriva prima
e non c’erano cure per prolun-
gare la vita; perché si finiva
all’ospizio se si era poveri o
perché c’erano famiglie pa-
triarcali riunite intorno ai
vecchi, con figli e nuore che si
prodigavano per loro e coi ni-
poti numerosi che per devo-
zione e per rispetto (oltre che
per qualche regalìa) fungeva-
no da bastoni della vecchiaia.
Oggi queste tre condizioni,
per nostra fortuna e disgrazia,
non ci sono più.
Così i vecchi sono in balia
della sorte e dell’oblio. Se han-
no soldi a sufficienza, o figli
generosi e facoltosi, se la cava-
no; in caso contrario no. Allo-
ra dico: non è possibile avviare
una grande riforma sociale
dei redditi di cittadinanza,
fondata su un patto generazio-
nale? Ovvero assegnare un
giovane a un vecchio, e vice-
versa; sarebbe un dono e un
vantaggio per entrambi. Una
reciproca adozione. E al posto
dei navigator, inutili parassiti
al quadrato, cooperative con
snelli uffici di smistamento,
per la gestione e il controllo,
l’assegnazione, l’ispezione e la
selezione di badanti e assisti-
ti, divisi per tipologie.
Insomma, visto che la so-
cietà è cambiata, la famiglia
pure, e scarseggiano le nasci-
te, istituiamo il nipote a paga-
mento, anzi il nipote di citta-
dinanza. Sarebbe bello che il
ragazzo lo facesse più per
amore che per i soldi, sarebbe
dolce che ascoltasse i racconti
dell’anziano con affetto e si
curasse di lui per gentilezza
d’animo e magari anche di
sangue, come se fosse suo
nonno. Ma a parte ciò, c’è biso-
gno di prima occupazione.
Perché allora non riprodurre
nei tempi d’oggi un legame ge-
nerazionale benefico recipro-
camente? E chissà che a via di
frequentarsi, alla fine non fio-
risca anche un legame vero di
complicità affettuosa tra età
diverse, come ormai non si ve-
de più. Sarebbe un investi-
mento sociale e umano, soli-
dale e produttivo di grande ef-
fetto. Diamo ai ragazzi la pos-
sibilità di meritarsi quel che
ricevono, diamo agli anziani
una compagnia e un aiuto, dia-
mo alla società la possibilità di
diventare più umana, più co-
municativa, riaprendo il dia-
logo tra le generazioni. E chis-
sà che le adozioni possano
continuare e si possano aprire
altri scenari. Tra l’altro, i vec-
chi hanno poche frecce al loro
arco malconcio ma dispongo-
no del pacchetto di maggio-
ranza dei voti, perché siamo il
paese più vecchio d’occiden -
te: fatelo per questo almeno,
curatevi di loro e del vostro fu-
turo. Date un nipote di riferi-
mento ai vecchi. Dio ve ne ren-
derà merito, e anche le urne.
Un’altra prospettiva da stu-
diare potrebbe essere l’incen -
tivazione e il sostegno a chi fa
figli ma non ha mezzi, in una
società malata di denatalità.
Se fai un figlio e ti curi di lui, lo
Stato può aiutarti in varie for-
me e gradi. Ho fatto solo un
paio di esempi fruttuosi per
affrontare tre temi: la disoc-
cupazione giovanile (e non so-
lo), l’assistenza ai vecchi e l’in -
coraggiamento alle nascite.
Tutto meno che il reddito pa-
rassitario di oggi. Lo dico so-
prattutto a chi si limita a dire
di no al reddito di cittadinan-
za, ben sapendo che non è rea-
listico pensare di poterlo abo-
lire e tornare indietro; e se
provassero a elaborare alter-
native, se cercassero di ripri-
stinare la meritocrazia ma
senza sopprimere la solida-
rietà sociale? Riacquistereb-
be punti una politica fattiva e
riformatrice che pensasse alla
gente e ai bisognosi e non ai
sondaggi e alle proprie carrie-
re.
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