STUPIDA RAZZA

martedì 30 novembre 2021

«Nessuna rivoluzione fiscale Anche da Draghi solo ritocchi»

 

Il calendario di Carlo Cottarelli segna già 2022: «Il prossimo sarà un anno cruciale per l’Ita - lia: le leggi delega alle quali si sta lavorando richiedono decreti legislativi da approvare, non possiamo permetterci troppa instabilità politica», spiega il direttore dell’Osservatorio sui conti pubblici italiani, già direttore esecutivo al Fondo monetario internazionale per il nostro Paes e. Professor Cottarelli, dopo giorni di fumate grigie è arrivata u n’intesa politica sulle tasse: 7 miliardi sulla nuova Irpef a quattro aliquote e il miliardo residuo su l l ’Irap. Imprese e sindacati non l’hanno accolta con favore, la coperta è ancora troppo corta? «A dir la verità, pensavo che lo stanziamento sarebbe stato inferiore. Per gli 80 euro di Renzi sul piatto c’erano 10 miliardi, la manovra del governo Draghi ne destina 8 per la riduzione della pressione fiscale. Non siamo troppo lontani. La crescita economica più forte ha favorito un aumento delle entrate, lasciando spazio a un taglio delle aliquote. Speriamo che continui di questo passo». Insomma, un buon inizio secondo lei? «Più che un buon inizio, un altro passo in avanti. Da qualche anno si è imboccata la strada che porta alla riduzione della pressione fiscale: gli 80 euro di Renzi, l’eliminazione dell’Imu sulla prima casa, l’abbassamento dell’aliquota di tassazione sulle imprese. Passi graduali, non c’è una rivoluzione fiscale». Per quella cosa servirebbe? «Nel complesso, credo che l’Ita - lia potrebbe puntare a una riduzione di 2 punti percentuali di Pil delle tasse, che vuole dire più di 35 miliardi. Quello sarebbe un grosso cambiamento. Quando si parla di un taglio delle tasse che vuole essere strutturale, bisogna però trovare delle fonti di finanziamento permanenti». Per esempio quali? «Due, fondamentali: riduzione stabile dell’evasione fiscale e spending review. Sulla prima qualcosa si è mosso, con una riduzione dell’evasione sull’Iva di 8-9 miliardi tra il 2017 e il 2019. Della revisione della spesa pubblica non parla ormai più nessuno, siamo fermi a 8 anni fa». Da ex commissario alla spending review, per quale motivo pensa si preferisca tenere l’a rgo - mento in soffitta? «Quando hai a disposizione tanti finanziamenti dalle istituzioni europee, come in questo momento, diventa difficile pensare a tagliare qualcosa. Dal punto di vista macroeconomico non è neanche il momento, visto che siamo in una fase di consolidamento della ripresa. Quando i tassi di interesse sono così bassi, non si pensa che potranno aumentare » . Si sta peccando di scarsa vision e? «Forse, non mi spingo molto in là con le previsioni. Fatto sta che adesso di spending review proprio non si parla. Ci sono alcune cose nel Pnrr, alcune azioni minori: una delle condizioni per questo trimestre, per avere la prossima tranche di finanziamenti, è quella di aumentare il ruolo del ministero dell’Economia nelle prossime spending review». Che cosa è stato fatto? «È stata creata una commissione guidata dal ragioniere generale dello Stato, con un rappresentante della Banca d’Italia, uno della Corte dei conti, eccetera». Le commissioni non mancano mai. «Credo che non abbiano neanche iniziato a lavorare. È una commissione che svolgerà un ruolo maggiore in futuro, una cosa del tutto formale». Secondo l’Ufficio pa rl a m e nta - re di bilancio, gli interventi della manovra «presentano elementi di indeterminatezza». «Non c’è dubbio, ci sono diverse decisioni che vengono rinviate: le pensioni, innanzitutto, per le quale si decide qualcosa solo per il 2022; non c’è una riforma fondamentale del reddito di cittadinanza; infine, la legge delega sul fisco resta talmente ampia da consentire di fare un po’ di tutto». Sulle pensioni si sarebbe aspettato una scelta più struttura l e? «Bisogna fare i conti con i vincoli politici che anche questo governo ha: un accordo su ciò che accadrà dopo il 2022 avrebbe probabilmente generato uno scontro interno con la Lega e uno esterno con i sindacati. Si sarebbe turbata, in qualche modo, la ripresa economica. E allora si è preferito r i nv i a re » . «Kick the can down the road», lei ha scritto. Cioè, «calcia la lattina lungo la strada»: per evitare frizioni, meglio rimandare il probl e m a . «Spero non si sia arrabbiato nessuno. Mi rendo conto delle difficoltà che esistono a livello politico e mi rendo benissimo conto del fatto che bisogna fare le cose gradualmente, però…». È favorevole al sistema delle qu o te? «Dipende. Quando si parla di pensioni, è bene guardare alle implicazioni che ogni proposta genera sui conti, sulla spesa. E spesso non viene fatto. Il sistema delle quote comporta un adattamento di tutti i contribuenti alla stessa situazione. Io sarei favorevole a un sistema che tuteli di più chi svolge lavori gravosi. L’a s p ettat iva di vita è aumentata ed è più alta per chi ha redditi alti, di ciò bisognerebbe tenere conto». «La revisione del reddito di cittadinanza operata con il ddl di bilancio lascia immutate le principali criticità», ha spiegato in audizione Giuseppe Pisauro, p re - sidente dell’Ufficio pa rl a m e nta - re di bilancio. Anche in questo caso, meglio rinviare? «A mio giudizio, ci sono due cose sbagliate. Innanzitutto, le scale di equivalenza: il reddito è relativamente troppo poco generoso con le famiglie e relativamente troppo generoso con i single. Inizialmente, i soldi a disposizione avrebbero dovuto essere 15 miliardi. Quando ci si è accorti che in cassa c’era poco meno della metà, hanno tagliato le scale di equivalenza perché non si poteva toccare il numero simbolo: 780 per i single». E il secondo problema? «Questo strumento dovrebbe essere volto a portare le persone al di sopra della soglia di povertà. Come certifica l’Istat, la soglia di povertà cambia in base alla grandezza delle città, alla posizione geografica dei luoghi in cui le persone vivono. Uniformare tutto è sba g l i ato » . Secondo il direttore ge n e ra l e di Confindustria, Francesca Mariotti, la «manovra di bilancio, nonostante alcuni interventi positivi, non fa segnare un passo avanti significativo verso la modernizzazione del Paese». Che ne CARLO COTTARELLI p e n s a? «Nella manovra ci sono poche cose strutturali. Ci sono misure espansive per circa 37 miliardi, tre quarti delle quali sono rifinanziamenti di cose che già c’e ra n o oppure interventi temporanei legati all’uscita dalla crisi. Le misure strutturali si contano soltanto per un quarto e sono fondamentalmente due: il taglio delle tasse, poco ma almeno qualcosa c’è, e la riforma degli ammortizzatori sociali. A parte questo, non c’è moltissimo». Lei ha espresso pareri critici contro l’assuefazione da bonus a cui l’Italia è stata abituata in questi mesi. Cosa si poteva evitare? «Il bonus terme dato a pioggia, per esempio. Il bonus vacanze, che è arrivato nel momento sbagliato. E anche il bonus 110% per me è esagerato». Popolare ma costoso, con un «elevato rischio di comportamenti fraudolenti» per il capo del servizio struttura economica di Bankitalia, Fabrizio Balassone. «Prima o poi, i bonus che sono stati introdotti per l’edilizia dovranno essere interrotti, non possono andare avanti per sempre. La domanda è: che cosa succede a quel punto? Tutto d’un colpo i soldi finiscono e l’economia smette di crescere? Il punto fondamentale è vedere se quello che sta facendo il governo va bene, cioè se il debito è buono. La cartina di tornasole si vedrà quando i soldi finiranno: se hai speso bene, l’economia va avanti da sé. Se hai speso male, quando i soldi finiscono - e prima o poi finiranno - l’economia si ferma». A proposito di buona spesa, diversi Comuni italiani sono alle prese con enormi buchi di bilancio: alcuni sono messi così male da non riuscire a garantire l’at - tuazione dei progetti che l’Un io - ne europea ci chiede nell’a m bi to del Pnrr. Come se ne esce? «Forse si è messa troppa carne al fuoco, o forse l’Unione europea ci ha chiesto di mettere troppa carne al fuoco. Il Pnrr è una cosa molto complessa da gestire e c’è un problema di capacità: alcune amministrazioni si troveranno ad affrontare difficoltà notevoli con le risorse a disposizion. In alcune zone d’Italia, per via di assunzioni spesso clientelari, ci ritroviamo delle persone al posto sbagliato » . Cosa si può fare? «Una possibile soluzione, alla quale credo si stia già lavorando, potrebbe essere il rafforzamento del nucleo centrale, per garantire addestramento e assistenza alle amministrazioni locali». L’inflazione sta raggiungendo livelli preoccupanti. La crescita è a rischio secondo lei? «Per non prendere rischi dal punto di vista della crescita, governi e banche centrali stanno immettendo nell’economia una grande quantità di potere d’ac - quisto, che mette pressione sulla domanda. Finché si andrà avanti su questa strada, l’inflazione rimarrà alta. Prima o poi dovranno cambiare. Se, per averla ritardata troppo, si arrivasse poi a una stretta forte della politica monetaria, con un aumento dei tassi di interesse, è chiaro che si potrebbe d e s tabi l i z za re l ’economia. Ci siamo abituati ai tassi di interesse zero, addirittura negativi. Prima di aumentarli le banche centrali aspetteranno parecchio, ma più aspettano più sale il rischio che l’aumento possa avvenire tutto d’un colpo. Insomma, è una situazione molto difficile da gestire».

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