STUPIDA RAZZA

giovedì 25 novembre 2021

«Booster da fare ogni 6 o 12 mesi»

 

Terza dose di vaccino antiCovid dopo cinque mesi dalla seconda per tutti. La circolare del ministero è chiara su questo, ma il punto è che la terza potrebbe non essere l’ultima e definitiva contro il Sars-Cov2. «È troppo presto per saperlo», secondo Antonio Ferro, presidente della Società italiana di igiene e medicina preventiva (Siti). Serve proprio il booster, il terzo richiamo? «La protezione dal contagio, a sei mesi dalla seconda dose, in chi ha più di 40 anni, arriva al 40%. Certo il sistema immunitario è diverso in ciascuno, ma è la media di quello che succede. In termini di sanità pubblica, prima si dà un altro impulso, meglio è perché, fino a quando il virus gira, può mutare e infettare». Fatta la terza iniezione possiamo chiudere con i richiami per l’a nti - C ov id? «Molte vaccinazioni prevedono l’iniezione booster che, di solito, aumenta la protezione teoricamente per più di sei mesi, ma si spera di arrivare all’anno e anche di pi ù » . Dovremo fare l’a nti - C ov id ogni autu n n o come l’a nti - i n - f lue n za l e? «È prematuro pensare che sia annuale. Bisogna vedere come evolve la situazione. È normale che ci siano i richiami per i vaccini. Dal mio punto di vista spero che il booster funzioni come per gli altri e dia un’immunità dai 12 mesi in su. Qui però abbiamo l’incognita varianti, che non si ha generalmente per tetano e altre patologie in cui il vaccino funziona sul core, cioè su un elemento del microorganismo che non muta. Per questo virus, come per quello influenzale, il vaccino attiva l’immunità per gli antigeni di superficie, strutture che muta n o » . Sapendolo, non potevano s piega r c el o su bi to che serviva un terzo richiamo? «Non c’erano elementi per capire quanto durava l’i mmunizzazione. Dire un anno fa che l’immunità durava sei mesi era prematuro, speravamo durasse di più». I dati però mostrano che, pur aumentando il rischio di infettarsi a sei mesi dalla seconda dose, la protezione dalla forma grave resta intorno all’80%. Non è già un buon risultato? «La copertura va definita in base agli obiettivi: la capacità di infettarsi, evitare la forma grave della malattia e il ricovero in terapia intensiva. Il ragionamento va fatto su tutti questi elementi. Il vaccinato si infetta, ed era atteso perché gli anticorpi che si sviluppano non sono nel naso - per bloccare il virus all’ingresso - ma sono circolanti nell’organismo, quindi tolgono i sintomi, non l’i n fez io n e. Per la sanità pubblica conta l’impatto sul sistema sanitario: devi evitare ricovero e rianimazione. Sulla terapia infettiva funziona ancora al 90% dopo i sei mesi, anche in termini di mortalità, che è sopra gli 80 anni». È quindi una questione di risorse: il costo di tre dosi di vaccino è al massimo di 100 euro mentre evitare la rianimazione significa poter curare altre malattie. Pe rò anche i vaccinati finiscono in rianimazione. Cosa rispond e? «Il tema è la contagiosità. Sapendo che anche il vaccinato trasmette, come società scientifica, insistiamo sulla necessità della mascherina soprattutto nei luoghi chiusi, anche per i vaccinati perché il virus che gira può mutare. Il numero dei ricoveri dipende dai soggetti contagiati. Adesso il rapporto fra contagiati che si ammalano è 11 non vaccinati a un vaccinato, siamo intorno a 9-10 volte di meno per chi ha gli anticorpi». Come si esce da questa pa n d e m i a? «Con una strategia mondiale. Si dovrebbe vaccinare rapidamente la popolazione, soprattutto chi ha più di 80 anni, perché un sistema che funziona lentamente - visto che al massimo posso vaccinare il 90% della popolazione - favorisce la formazione di varianti e infezioni. Bisognerebbe vaccinare rapidamente più persone possibili. In questo momento abbiamo i vaccini, anche troppi, visto che ci sono difficoltà di stoccaggio. Quello però che potrebbe mancare a dicembre e gennaio sono i vaccinatori e gli hub».

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