STUPIDA RAZZA

giovedì 25 novembre 2021

Col super pass addio privacy Chi deve pagare per lavorare adesso finirà anche schedato

 

La tempistica pare ormai acquisita: oggi stesso si svolgerà la riunione della cabina di regia (organo ibrido e del tutto informale, eppure ormai titolare di poteri estesissimi di determinazione dell’i nd i ri zzo politico del governo) e poi, forse già nella stessa giornata, sarà convocato il Consiglio dei ministri per il varo delle nuove n o r m e. Allo stesso modo, appaiono certi alcuni altri elementi delle decisioni che verranno assunte, a partire dalla durata del green pass, che sarà «aggiustata» a 9 mesi. Quanto al merito, dopo il pressing ossessivo di Regioni e media, pare ormai acclarata la direzione di marcia politica dell’interven - to: volta a punire, discriminare, isolare socialmente i non vaccinati. Nonostante che i Paesi europei più vaccinati (Portogallo, Spagna, Danimarca, Islanda, Irlanda, Danimarca, Malta, con oltre il 90% di immunizzati) abbiano un Rt ampiamente superiore a 1; e soprattutto nonostante un’evidenza che il governo cerca di scansare, perché massimamente imbarazzante, e cioè gli oltre 6 milioni di italiani vaccinatissimi (pravalentemente anziani e fragili) che hanno avuto la loro seconda dose entro il 20 maggio, ma non hanno ancora ricevuto la terza, e quindi sono quasi certamente sprovvisti di una copertura effettiva (per quanto abbiano in tasca il pezzo di carta chiamato green pass). Ma affrontare questo nodo significherebbe ammettere che il governo ha sbagliato strategia ed è in clamoroso ritardo sulla terza dose: più facile dunque percorrere la strada della colpevolizzazione a danno dei non vaccinati. È maturata così la soluzione 2G, alla base del cosiddetto super green pass, che di fatto vieterà ai soli tamponati qualunque altra attività sociale. A chi ha un tampone sarà solo permesso di andare al lavoro, a quanto pare. Resta soltanto da stabilire in presenza di quale cambio di colore scattino le misure discriminator ie. Ma, al di là dei macroscospici problemi di libertà e di compressione dei più elementari diritti delle minoranze che tutto ciò innescherà, restano almeno quattro ulteriori questioni aperte, solo apparentemente tecniche. Primo. Sul lavoro, cade definitivamente la piccola foglia di fico, il fragile paravento chiamato privacy. Finora infatti l’esibizione del green pass avveniva con modalità tali da non far sapere a nessuno se la certificazione del lavoratore fosse stata rilasciata a seguito di vaccinazione, di guarigione o di effettuazione del tampone. E adesso, invece? Al di là della modifica tecnica dell’app di verifica, che si renderà indispensabile, sarà pressoché inevitabile far sapere (e quindi per il datore di lavoro apprendere) che la persona in questione non è vaccinata. Secondo. Anche nei luoghi ricreativi o presso alcuni esercizi (ristoranti, eccetera) dove, secondo le ipotesi più restrittive che stanno sul tavolo del governo, si potrà essere ammessi solo se vaccinati, verrà meno ogni tutela della riservatezza. Di fatto, il cliente farà sapere al cameriere di essere vac c i n ato. Su tutto questo, resta da capire se l’Autorità garante per la privacy avrà delle obiezioni da svolgere o se invece si piegherà per ragioni politiche. «Ciò che va comunque evitato», aveva detto in epoca non sospetta il presidente dell’Au - torità, Pasquale Stanzione, «sono le discriminazioni in base alle scelte vaccinali e l’in - debita conoscenza, da parte di soggetti non legittimati, dei dati sanitari degli interessati». Non si vede come ora questa spiacevolissima eventualità possa essere evitata, nel momento in cui l’app dovrà essere sdoppiata o dovrà comunque segnalare l’origine (vaccinazione o tampone) dell’otte - nimento del green pass. Ma non finisce qui, perché ci sono almeno altre due criticità tutt’altro che minori o trascurabili. Il terzo problema riguarda il trattamento giuridico inspiegabilmente diverso di due cittadini, ipoteticamente nella medesima condizione di non vaccinazione, rispetto a una stessa attività, ad esempio un viaggio per ragioni di lavoro. Se il cittadino A si sposterà con mezzo proprio e privato, potrà farlo e non sarà assoggettato a nessun controllo, e dunque potrà con ragionevole tranquillità arrivare a destinazione. Se invece il cittadino B vorrà spostarsi con mezzo pubblico o comunque con un mezzo di trasporto collettivo (treno, aereo, eccetera), potrebbe essere messo dalle nuove norme nelle condizioni di non poterlo più fare. A meno di piegarsi e accettare l’ino - culazione. Con un paradosso nel paradosso: a un pendolare che viaggiasse su un mezzo a lunga percorrenza, sarebbe consentito accedere sul posto di lavoro con il solo test negativo, ma non salire a bordo del treno o dell’autobu s . Il quarto e ultimo problema è il più clamoroso, anche dal punto di vista costituzionale. Se le indiscrezioni saranno rispettate, appunto, il tampone darà accesso soltanto al posto di lavoro (sia pure con i già evocati problemi di privacy), e a n e s su n’altra attività. Non solo: una persona maggiorenne, a quel punto, dovrà spendere 15 euro ogni 48 ore (sempre ammesso che i tempi di validità del tampone non vengano ulteriormente accorciati), cioè 225 euro al mese, solo per tamponarsi. Morale: il cittadino in questione dovrà pagare per lavorare. Peggio: dovrà pagare per entrare in possesso della certificazione che gli permetterà di svolgere il suo lavoro. Resta da capire come tutto ciò possa essere accettabile dal punto di vista costituzionale, dal punto di vista liberale, e anche dal punto di vista di chi - da sinistra - ha politicamente scagliato anatemi per ottant’anni contro l’odiosa memoria della tessera fascista. 

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