«Al netto di illustri eccezio-
ni, c’è una preoccupante di-
sconnessione tra la prepara-
zione sul Covid rivendicata da-
gli esperti che vanno in televi-
sione e le loro reali competen-
ze accademiche». Parola di
John Ioannidis, uno dei più au-
torevoli epidemiologi al mon-
do, professore all’università di
Stanford. In un paper pubbli-
cato su Bmj (il British Medical
Jo u r n al , una delle più antiche
e autorevoli riviste scientifi-
che al mondo), l’e pid e m io l ogo,
insieme con altre due scien-
ziate, ha dimostrato che la
maggioranza dei cosiddetti
«esperti» che vanno in tv han-
no poca solidità accademica,
in particolare sul Covid. La lo-
ro sovraesposizione mediatica
sembrerebbe inversamente
proporzionale alle loro com-
petenze sul virus. A che titolo,
dunque, vengono chiamati a
parlare a milioni di cittadini,
soprattutto sul servizio pub-
blico, questi esperti?
Il paper di I oa n n id i s p re n d e
in considerazione quattro Pae-
si: Stati Uniti, Danimarca, Gre-
cia e Svizzera. Su 76 virologi
televisivi americani, soltanto
23 occupano posizioni alte nel
ranking, mentre 37 di loro non
hanno mai pubblicato nulla
sul Covid in riviste indicizzate;
solo 18 su 76 esperti presenti
nei media sono donne. Ioanni -
dis osserva anche che in Ame-
rica ci sono ben 55 top scienti-
sts altamente titolati per par-
lare di Covid che non vengono
mai chiamati in tv. Le stesse
proporzioni le ritroviamo in
Danimarca: solo 10 scienziati,
sui 50 che vanno in tv, hanno
titoli accademici per parlare di
Covid, altri 15 in compenso
non hanno mai scritto pubbli-
cazioni scientifiche; soltanto 6
di questi 50 esperti televisivi
sono donne, mentre nel Paese
ci sono almeno 5 top scientists
ignorati dai media danesi.
Nessuna delle due virostar che
parlano di Covid nella televi-
sione svizzera risultano alta-
mente qualificate per parlare
di virus. E in Grecia ci sono al-
meno 64 scienziati titolati che
non vengono mai chiamati in
t v.
E in Italia? Purtroppo il no-
stro Paese non è oggetto del-
l’indagine del professor Ioan -
nidis. Basta però fare una ri-
cerca su Scopus (il database
che raccoglie e indicizza le ci-
tazioni e le pubblicazioni degli
scienziati) per scoprire che le
proporzioni sono le stesse, se
non peggio. Il portale Scopus
mostra, per ogni scienziato,
l’h-index, ossia l’indice che
quantifica le citazioni di un au-
tore e l’impatto delle sue pub-
blicazioni. Per carità, non è un
valore assoluto, ma più è alto,
più lo scienziato è titolato, te-
nendo presente che per un ac-
cademico pubblicare è parte
centrale del suo lavoro, per un
non accademico è attività del
tutto secondaria. Sull’h- i n d ex
il biologo Neil Hall ha costrui-
to, con intenti ironici, un altro
indice chiamato «indice Kar -
d as h i an » (attrice americana
«famosa per essere famosa»)
che dimostra quanto questo,
nel mondo della scienza, sia
inversamente proporziona-
le... ai follower su Twitter.
L’aumento dell’h-index non è
lineare: per passare da 1 a 2 bi-
sogna avere una pubblicazio-
ne citata due volte, ma per pas-
sare da 100 a 101 bisogna che
l’ultima pubblicazione sia sta-
ta citata 101 volte. Nella classi-
fica mondiale dei top scienti-
sts, il massimo immunologo
americano Anthony Fauci ha
182 di h-index. Lo stesso Joh n
I oa n n id i s , epidemiologo e pro-
fessore di statistica, ha 168. Fa -
brizio Pregliasco, D irettore
Sanitario dell’Istituto Ortope-
dico Galeazzi e divulgatore
scientifico, ha collaborato ad
alcune sperimentazioni clini-
che sui vaccini, ma resta im-
piantato a un h-index 18. Il vi-
rologo del San Raffaele Rober -
to Burioni, star domenicale
nel programma televisivo di
Fabio Fazio e apprezzato per la
sua eleganza sul red carpet del
Festival di Venezia, ha h-index
28 (ma «indice Ka rd ash ia n»
altissimo, intorno a 500). Mas -
simo Galli, già direttore delle
malattie infettive all’ospedale
Sacco di Milano, ha un h-index
pari a 39. E Matteo Bassetti,
direttore della Clinica per le
Malattie Infettive dell’Ospeda -
le Policlinico San Martino, re-
gistra un h-index 66, sfoggiato
nelle apparizioni televisive in
fascia mattutina, pomeridia-
na, pre-serale, serale e nottur-
na. Questi medici hanno com-
pletamente invaso i palinsesti
televisivi italiani in qualità di
«divulgatori scientifici». Non
sono invece mai stati coinvolti
nella comunicazione accade-
mici come Luca Scorrano, po-
stdottorato ad Harvard e ora
professore di Biochimica a Pa-
dova (h-index 78), Fran c e s c o
Cecconi, ordinario di Biologia
dello Sviluppo a Tor Vergata e
direttore a Copenhagen pres-
so il Danish Cancer Society Re-
search Center (h-index 59), Sa -
ra Gandini, epidemiologa allo
Ieo e professoressa di statisti-
ca medica (h-index 58) o Mau -
rizio Rainisio, statistico (non
accademico) che ha lavorato
nella ricerca clinica e nell’epi -
demiologia per molte grandi
industrie farmaceutiche, tra
cui Novartis e Roche (h-index
23). Sparito dai media Alber to
Zangrillo, ordinario e Diretto-
re di Anestesia e Rianimazione
Generale dell’Ospedale San
Raffaele (h-index 61, ben più
del suo collega del San Raffaele
Roberto Burioni), e meno pre-
sente in tv anche il professor
Giovanni Di Perri, ordinario di
malattie infettive e Direttore
della Scuola di Specializzazio-
ne dell’Università di Torino (h-
index 54). L’Italia è piena di
scienziati qualificati: se il di-
battito scientifico vuole essere
pubblico e orizzontale, che sia
almeno equilibrato. La scienza
è ricerca, tesi e antitesi, ed è
matematicamente impossibi-
le che vada davvero nell’u n ic a
direzione indicata dai pochi,
(onni)presenti in tv.
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