STUPIDA RAZZA

sabato 20 novembre 2021

Alla cultura è mancato il coraggio di una ribellione con atti concreti

 

Il Drago non è più figura de ll ’Apocalisse. Anzi, annunzia seraficamente l’Età della Salute. «Grazie ai vaccini la fine della pandemia è vicina» (8 ottobre). Purtroppo, dati alla mano, non pare di spirito profetico dotato. E sarà arduo mantenere le promesse di salvezza e libertà: i vaccini sono a obsolescenza precoce, se non genialmente programmata. Pazienza: ormai siamo abituati alle profezie balorde e alle promesse fasulle. E anche alle bestialità pseudo scientifiche. «Il green pass dà la garanzia di ritrovarsi tra persone che non sono contagiose» (22 lug l io ) . L’inconscio del Drago, però, dice la verità: «Il green pass non è un arbitrio». Classico caso di excusatio non petita . Che sottintende sempre una c ulp a manifesta. Già: uno scivolone freudiano da manuale. Per come oggi è concepito, il green pass è proprio un arbitrio. Vergognoso in campo lavorativo. Pericoloso in campo sanitario. E stendiamo un velo di civile pietà su altre folli declinazioni che già si intravedono all’o r i z zo nte. In effetti, il green pass è una «misura geniale» (Renato Brunetta) se persegue l’intento di discriminare e di controllare in modo permanente i cittadini. Perché ha il potere di trasformarli in sudditi. Costretti al baratto: una prona obbedienza in cambio di diritti. A settembre, non esibendo il green pass, ho provocato la mia sospensione dall’università per continuare a sentirmi un libero cittadino. E per questo, a distanza di due mesi, mi permetto un breve consuntivo. Concentrato, però, sull’o pposizione al green pass nel mondo della cultura. Come la gran parte degli italiani, anche la gran parte degli opinionisti, degli intellettuali e dei professori universitari ha accettato senza riserve il green pass. Se questo è un dato di fatto, non ne consegue che il dissenso, specie se pacifico e ragionato, debba essere stigmatizzato, ridicolizzato e sottoposto al linciaggio verbale. Questa è una tecnica da regime totalitario, in particolare se orchestrata senza sosta dal circo mediatico. Come, del resto, la subdola costruzione del nemico interno, il sempre utile capro espiatorio. Detto questo, la minoranza di voci del mondo della cultura che si è opposta al green pass ha miseramente perso l’attimo e l’occasione. Per inerzia e mancanza di coraggio, non si è dissociata con nettezza. Anzi, paradossalmente, dopo il 15 ottobre si è resa complice dell’a rbi tr io. Passare all’atto, si sa, ha un costo. Molti accademici si sono ribellati a parole contro il green pass. Più di mille hanno firmato un fervido appello. Alcuni scrivono intelligenti articoli sui giornali. Altri organizzano convegni, raccolgono firme per un referendum, immaginano persino nuove aggregazioni politiche. Me ne rallegro e sono solidale con tutte queste forme di civile resistenza: è fondamentale che ci sia qualcuno, specie fra gli uomini di cultura, che non volta altrove lo sguardo. Eppure, tutti quanti esibiscono con regolarità il QRcode. Tutti quanti hanno accettato, nei fatti e negli atti, l’empio baratto. Ridurre la questione alla salvaguardia dello stipendio - legittima e comprensibile, per carità! - sarebbe offensivo. E tuttavia, mi concedo la battuta: tutti nobili parresiasti - o, per i più, cattivi maestri - a costo zero. Pronti ad esporsi per schietto impeto intellettuale. Ma solo dialetticamente. Senza la croce dell’atto radicale. Che pure, lo ricordo, ha una positiva funzione liberato r i a . Purtroppo, anche l’att o mancato - un errore d’a z io - ne, in termini psichici - costa. E, sul piano politico collettivo, costa ancor più caro. Nessuno me ne voglia, mi limito solo a valutare ciò che poteva accadere. E che, purtroppo, non è accaduto. Se davvero è un momento storico decisivo, se davvero l’Ita l i a è un laboratorio dove si sperimentano rischiose forme di regressione democratica, allora dovrebbe essere un imperativo categorico, per chi esercita e insegna il pensiero critico, far seguire alla responsabilità della parola la responsabilità dell’atto. Non voglio scomodare il vecchio concetto di egemonia culturale. Ma, diciamolo chiaramente: i fascisti, i violenti, le macchiette, gli utili idioti... Tutto questo, forse, se molti avessero reso visibile la purezza dell’atto, oltre che l’au - torevolezza della parola, poteva essere risparmiato al Paese. Che in queste settimane di ben strumentalizzata confusione si è ulteriormente lacerato e incattivito. Rendendo ancor più agevole la deplorevole limitazione dei diritti fondamentali delle p e r s o n e. Le manifestazioni ce lo dicono: il green pass è un catalizzatore di disagi ben più profondi. Molti hanno capito di doversi impegnare in una serena ma ferma opposizione all’emergenza perpetua. E alle derive autoritarie a largo spettro che, come noto, sono in atto da anni. L’Ita l i a ha più che mai bisogno di spiriti laici e di figure all’altezza, meglio se giovani. E il movimento politico-culturale che si è coagulato nella lotta al green pass vanta già presenze di prestigio. Bene, dunque, che si provi a vincere il dogma con il dubbio, la paura con la ragione. Bene che si lavori per una democrazia più salda e consapevole, per una società più libera e informata. Ma si prenda nota per il futuro che aver obbedito obtorto collo ad un arbitrio, limitandosi a borbottare i principi costituzionali traditi, a denunciare le distopie orwelliane, a citare I l l ich o Foucau lt , è stato più patetico che utile. E neppure è bastato, credo, per salvarsi l’anima. 

Nessun commento:

Posta un commento