STUPIDA RAZZA

lunedì 1 novembre 2021

Il formalismo della Cassazione è un problema

 

Quando si arriva all’ultima istanza di giudizio, cioè, alla Cassazione, in Italia tutto sembra scoraggiarti a bussare alla porta della giustizia suprema: dall’asp etto minaccioso del «Palazzaccio» di piazza Cavour, al dedalo di stanze, ascensori e corridoi in cui ti perdi e rischi persino di non trovare l’aula dove si discuterà la tua causa. Ma quel che è veramente difficile è superare la soglia di ingresso del «Palazzaccio»: ogni anno circa il 70% dei ricorsi presentati alla Cassazione vengono dichiarati inammissibili. Vuol dire che il giudice, a causa di un qualche vizio di forma, non si esamina nemmeno la questione che sollevi. Ti ferma letteralmente sulla porta. E di formalità che occorre rispettare a pena di inammissibilità, ce n’è un’infinità. Alcune straordinariamente cavillose. Tra le tante c’è il rispetto del principio di autonomia o «autosufficienza» del ricorso (cioè si deve riportare tutta, ma proprio tutta, la questione per intero, fin dai primi gradi di giudizio, senza che il giudice debba andare a leggere altri atti e documenti della causa). Al tempo stesso però si deve rispettare il principio opposto, di sinteticità (i ricorsi non possono essere più lunghi di tot pagine). Il che può essere molto complicato: o scrivi tutto o sei sintetico. E allora gli avvocati devono camminare sul filo del rasoio e trovare il giusto compromesso. C’è persino un vademecum su come devono essere scritti i ricorsi, con tanto di indicazioni sui caratteri tipografici, sulla struttura dell’atto, etc. Le ragioni di tanta formalità? Troppi carichi di lavoro. Occorre «sfrondare» tutto quello che si può sfrondare. Allo scopo è stata anche creata una «sezione filtro»: solo se la causa supera il «test di ingresso» della sezione e non sarà fatta fuori come inammissibile, il ricorso verrà esaminato ed eventualmente accolto o rigettato. Alla Corte europea dei Diritti dell’uomo questo sistema non convince molto e con una sentenza del 28 ottobre 2021, ha condannato l’Italia per violazione dell’art. 6 della Cedu. Secondo la Corte di Strasburgo l’i nterpretazione eccessivamente formalistica dei criteri di redazione dei ricorsi per Cassazione costituisce una violazione del diritto ad un equo processo. In sintesi, dice la Corte europea, è vero che il principio di autosufficienza mira a semplificare l’attività della Cassazione, a garantire la certezza del diritto e la corretta amministrazione della giustizia. In concreto, tuttavia, secondo i giudici di Strasburgo, la Cassazione ha dimostrato un eccessivo formalismo che non si giustifica rispetto a quella che dovrebbe essere la specifica finalità del principio di autosufficienza (cioè, garanzia della certezza del diritto e corretta amministrazione della giustizia). Una sentenza che di sicuro farà dire a molti avvocati: «quanno ce vò, ce vò».

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