STUPIDA RAZZA

domenica 21 novembre 2021

L’emergenza finisce, i pieni poteri restano

 

È vero che, al governo, cento ne pensano e solo una ne fanno. Quelle che pensano, però, sono inquietanti. E rischiano di essere peggiori di quelle che hanno già fatto. L’ultima idea è del forzista Renato Brunetta: anziché prolungare lo stato d’emergenza, suggerisce lui, diamo «tutti i poteri straordinari a una struttura di missione di Palazzo Chigi». Il ministro della Pubblica amministrazione, sentito dal Co rrie re della Sera, ha assicurato che l’esecutivo ci «sta riflettendo, ne ho parlato con S p e ra n - za e altri colleghi». E nel pomeriggio di ieri  ha ribadito di aver «chiesto in Consiglio dei ministri di superare lo stato d’emergenza», mantenendo, nondimeno, «gli strumenti commissariali». Da rabbrividire: una toppa peggiore del buco. Lungi dall’aver dato «buona prova di sé anche nei momenti più bui», come argomenta Br u n etta , lo stato d’emergenza è stato la breccia nel l’impalcatura costituzionale, da cui sono passati provvedimenti abominevoli, persecutori, discriminatori: la pletora di dpcm firmati da Giuseppe Conte; le cervellotiche Faq su «congiunti» e quantificazione dei metri di distanza da casa entro i quali era lecito sgranchirsi le gambe; le insopportabili, interminabili e scientificamente infondate quarantene domestiche (alla fine, hanno capito che se si rimane all’aperto e non ci si ammucchia, il contagio è quasi impossibile); il super green pass, che ormai sta per diventare «super super», con l’abolizione del tampon e. Peraltro, come ha notato Massimo Cacciari, lo stato d’emergenza, di proroga in proroga, si è trasformato in stato d’eccezione. Ossia, una situazione in cui il potere tiene a bagnomaria i contrappesi istituzionali e le perplessità dell’opinione pubblica. Uno stallo perenne, che è una risorsa preziosa per governi deboli alle prese con problemi complessi: la gente pretende delle risposte, invece le si danno allarmi, paura, minacce, sorveglianza, militar i z za z io n e. Il ministro azzurro ha ragione: le emergenze «hanno un inizio e hanno una fine» e questa non può protrarsi oltre, «se non a costo di forzature istituzionali». Insomma, u n’emergenza è per definizione una crisi improvvisa e imprevedibile. Se si prolunga, bisogna imparare a gestirla con strumenti ordinari. Ed è indubbiamente urgente riportare l’eccezionale nell’alveo dell’amm inistrazione quotidiana. Ma il diavolo si nasconde nei dettagli: tutto dipende da come si declina il saggio proposito. Segnaliamo allora due validi motivi per essere quasi più preoccupati dell’aus picato cambio di paradigma, che non della pressoché scontata riconferma del già vigente stato d’emergenza fino al 31 gennaio. Cui seguirebbe, con una probabilità altrettanto alta, una seconda legge, per dichiarare un nuovo stato d’emergenza, a sua volta prorogabile per 24 mesi. 1 Una «struttura di missione» alle dipendenze della presidenza del Consiglio, svincolata dalla sussistenza de iure di un regime speciale, potrebbe consolidarsi come u n’agenzia parallela, dotata appunto di «poteri straordinari», dal carattere permanente. Negli ultimi decenni, la cifra di governo delle democrazie liberali è diventata proprio l’incessante successione delle emergenze; è lecito temere che, a pandemia archiviata, l’ente «brunettiano» venga riconvertito per sovrintendere, parallelamente al Consiglio dei ministri e al riparo dallo sguardo vigile del Parlamento, ad altri dossier delicati. Ad esempio, la partita ambientale - l’emergenza del futuro - o l’inflazione - quanto fanno comodo, in chiave deflativa, i l o c kd ow n? Il passato insegna che per le scorie giuridico-politiche di un’emergenza vale lo stesso principio che si applicava anticamente al maiale: non si butta via niente. Quel che dapprima è temporaneo diventa definitivo: da un’ac c i s a sui carburanti per far fronte a un disastro locale, a un corpus di norme sulla pubblica sicurezza, come quelle approvate in Italia durante gli anni di piombo, o il Patriot act americano, introdotto dopo l’11 settembre 2001. Così, piuttosto che farci uscire dalla «cappa dell’emergenza», la struttura di missione con poteri speciali ricalibrerebbe la normalità sulle frequenze dell’emergenza stessa. Citofonare agli antichi romani: cosa diventa un «commissario», quando il suo incarico si protrae in tempi non emerge n z i a l i ? 2 Siamo già circondati di task force facenti capo a Palazzo Chigi, a cominciare dalla cabina di regia e dalla segreteria tecnica per l’attu a z io n e del Pnrr, coordinate con Mef e Ragioneria dello Stato. Aggiungere un’ennesima struttura di missione vorrebbe dire blindare la riconfigurazione surrettizia dei poteri pubblici, per cui l’esecutivo agisce, affiancato da gruppi di tecnici, sia scavalcando alcuni ministeri, sia, soprattutto, in sostanziale autarchia nei confronti delle Camere. Le quali sono già ridotte a mere vidimatrici di decisioni centralizzate: lo si è sperimentato con il Recovery fund, lo si sta verificando con la manovra. Nelle democrazie dell’emergenza perpetua, in fondo, c’è sempre un’ottima scusa per eludere certi orpelli formali: bisogna «fare presto». Lo scenario para-assolutista che s’intravede all’o r i zzonte è aggravato dalle considerazioni personali di Br un etta , non si sa se condivise dai colleghi di governo. Creare la suddetta struttura di missione, suggerisce il ministro, avrebbe «un enorme potere simbolico». Dio ce ne scampi e liberi: cosa intende? Cerchiamo un segno tangibile della potenza veneranda e terribile dello Stato? Un surrogato postmoderno del Leviatano, della spada e del pas to ra l e? Noi saremo un po’ sempliciotti, ma ci atteniamo alla massima liberale di Lord Ac - to n : il potere tende a corrompere, il potere assoluto corrompe in modo assoluto.

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