A 1 4 g i o r n i
dall’articolo del
Washington Po-
st di Harlan e Pi-
trelli sull’Ita l i a
«spinta su di un
inedito territorio per le de-
mocrazie occidentali» e do-
po che soltanto Maurizio Bel-
pietro ne ha dato risalto, pare
di poter affermare che il dato
di maggiore importanza non
sia più lo (sconvolgente) con-
tenuto dell’articolo bensì
l’assenza della sua ricezione
nel Paese di cui si denuncia la
privazione di libertà. E se si
trattasse di pudore? Se in
molti si fossero astenuti dal
salutare entusiasticamente
l’idea che in Italia si stia spe-
rimentando sulla popolazione fino a
che punto la libertà sia
comprimibile? O si tratta al
contrario di decadentismo
da tardo impero? Forse qui
i nostri solerti analisti sono
talmente consapevoli della
transizione in atto verso il
sistema sociale di sorve-
glianza e controllo che un
articolo del Washington Po-
st che ne indica i rischi non
riesce a distoglierli dalle
dichiarazioni indignate di
Chiara Ferragni e di suo
marito sulla bocciatura del-
la legge Zan. Il fatto che «la
società italiana sia stata di-
visa in vari livelli di libertà»
evidentemente non basta a
interrogarsi sulla legittimi-
tà di tale situazione.
Qui il rischio maggiore,
dal 1940 in poi, è sempre
stato quello del disfattismo
e la gara è sempre stata a
chi è più organico alla nar-
razione. Visto che siamo in
stato d’emergenza da due
anni e visto che hanno già
detto che lo estenderanno
contro ogni possibilità nor-
mativa - niente, tutto a po-
sto anche qui non c’è pro-
blema - l’unica è mettersi in
ascolto di Radio Londra
perché, complici i media
italiani che per sostenere il
green pass si sono inventati
la Gran Bretagna cattiva
che se ne frega dei contagi,
lì la stampa da qualche
giorno sta «rispondendo»
osservando come l’e m e r-
genza la vedano solo gli
italiani perché là gli ospe-
dali sono sotto controllo e
conta solo quello. Natural-
mente il G ua rd ia n deve re-
citare la parte di quello che
attacca il governo per la
gestione della pandemia,
ma lo fa sulla base dell’a r-
gomento del «record di
morti» e si guarda bene
dall’auspicare le misure ita-
liane, viste più come un
singolare omaggio alla Cina
che come una decisione
scientifica. L’idea brunet-
tiana di molestare le perso-
ne per spingerle a vaccinar-
si non riesce a farsi strada
oltremanica. Incidental-
mente Boris Johnson nel
question time di mercoledì
scorso ha fatto notare come
l’introduzione del green
pass comporterebbe 18 mi-
liardi di perdite. Strano
perché in Italia «si riparte
col green pass».
E mentre in Spagna i tri-
bunali hanno precorso il
Washington Post a n nu l l a n-
do il green pass proprio
perché «portatore di restri-
zioni della libertà» e in Ger-
mania Angela Merkel r i p e-
te da giorni che «siano i
cittadini tedeschi a decide-
re cosa sia meglio fare per
la propria salute», la setti-
mana scorsa Le Figaro r i ba-
diva come il green pass
francese, fonte di aspri
scontri, sia in realtà impa-
ragonabile per durezza a
quello italiano perché limi-
ta gli ingressi ma si guarda
bene dal menzionare i luo-
ghi di lavoro. Belgio e Au-
stria riflettono se avvici-
narsi all’Italia, ormai vero e
proprio punto di riferimen-
to della restrizione delle
libertà nell’Unione euro-
pea, ma dopo i primi an-
nunci ci si sta interrogando
se non sia meglio prevedere
misure più mirate e quindi
più efficaci.
E mentre salutiamo il re-
cente furto delle chiavi di
generazione del Qr code e
la relativa scomparsa per
dissolvenza del tema sui
media italiani, possiamo fi-
nalmente trovare un Paese
che ha apprezzato la strada
italiana sino ad assumere
decisioni pressoché simili
alle nostre: la Grecia. Certo
viene da pensare alle tante
analogie culturali tra la cul-
la della civiltà ateniese e
spartana e quella della ci-
viltà romana e del Rinasci-
mento. Possiamo essere
quasi sicuri che la com-
pressione delle libertà sia
frutto dalla cultura classica
dei due Paesi, anche perché
di altre analogie tra Italia e
Grecia, particolarmente in
seno al consesso economi-
co dell’Unione europea,
proprio non riusciamo a
c og l ie r n e.
dall’articolo del
Washington Po-
st di Harlan e Pi-
trelli sull’Ita l i a
«spinta su di un
inedito territorio per le de-
mocrazie occidentali» e do-
po che soltanto Maurizio Bel-
pietro ne ha dato risalto, pare
di poter affermare che il dato
di maggiore importanza non
sia più lo (sconvolgente) con-
tenuto dell’articolo bensì
l’assenza della sua ricezione
nel Paese di cui si denuncia la
privazione di libertà. E se si
trattasse di pudore? Se in
molti si fossero astenuti dal
salutare entusiasticamente
l’idea che in Italia si stia spe-
rimentando sulla popolazione fino a
che punto la libertà sia
comprimibile? O si tratta al
contrario di decadentismo
da tardo impero? Forse qui
i nostri solerti analisti sono
talmente consapevoli della
transizione in atto verso il
sistema sociale di sorve-
glianza e controllo che un
articolo del Washington Po-
st che ne indica i rischi non
riesce a distoglierli dalle
dichiarazioni indignate di
Chiara Ferragni e di suo
marito sulla bocciatura del-
la legge Zan. Il fatto che «la
società italiana sia stata di-
visa in vari livelli di libertà»
evidentemente non basta a
interrogarsi sulla legittimi-
tà di tale situazione.
Qui il rischio maggiore,
dal 1940 in poi, è sempre
stato quello del disfattismo
e la gara è sempre stata a
chi è più organico alla nar-
razione. Visto che siamo in
stato d’emergenza da due
anni e visto che hanno già
detto che lo estenderanno
contro ogni possibilità nor-
mativa - niente, tutto a po-
sto anche qui non c’è pro-
blema - l’unica è mettersi in
ascolto di Radio Londra
perché, complici i media
italiani che per sostenere il
green pass si sono inventati
la Gran Bretagna cattiva
che se ne frega dei contagi,
lì la stampa da qualche
giorno sta «rispondendo»
osservando come l’e m e r-
genza la vedano solo gli
italiani perché là gli ospe-
dali sono sotto controllo e
conta solo quello. Natural-
mente il G ua rd ia n deve re-
citare la parte di quello che
attacca il governo per la
gestione della pandemia,
ma lo fa sulla base dell’a r-
gomento del «record di
morti» e si guarda bene
dall’auspicare le misure ita-
liane, viste più come un
singolare omaggio alla Cina
che come una decisione
scientifica. L’idea brunet-
tiana di molestare le perso-
ne per spingerle a vaccinar-
si non riesce a farsi strada
oltremanica. Incidental-
mente Boris Johnson nel
question time di mercoledì
scorso ha fatto notare come
l’introduzione del green
pass comporterebbe 18 mi-
liardi di perdite. Strano
perché in Italia «si riparte
col green pass».
E mentre in Spagna i tri-
bunali hanno precorso il
Washington Post a n nu l l a n-
do il green pass proprio
perché «portatore di restri-
zioni della libertà» e in Ger-
mania Angela Merkel r i p e-
te da giorni che «siano i
cittadini tedeschi a decide-
re cosa sia meglio fare per
la propria salute», la setti-
mana scorsa Le Figaro r i ba-
diva come il green pass
francese, fonte di aspri
scontri, sia in realtà impa-
ragonabile per durezza a
quello italiano perché limi-
ta gli ingressi ma si guarda
bene dal menzionare i luo-
ghi di lavoro. Belgio e Au-
stria riflettono se avvici-
narsi all’Italia, ormai vero e
proprio punto di riferimen-
to della restrizione delle
libertà nell’Unione euro-
pea, ma dopo i primi an-
nunci ci si sta interrogando
se non sia meglio prevedere
misure più mirate e quindi
più efficaci.
E mentre salutiamo il re-
cente furto delle chiavi di
generazione del Qr code e
la relativa scomparsa per
dissolvenza del tema sui
media italiani, possiamo fi-
nalmente trovare un Paese
che ha apprezzato la strada
italiana sino ad assumere
decisioni pressoché simili
alle nostre: la Grecia. Certo
viene da pensare alle tante
analogie culturali tra la cul-
la della civiltà ateniese e
spartana e quella della ci-
viltà romana e del Rinasci-
mento. Possiamo essere
quasi sicuri che la com-
pressione delle libertà sia
frutto dalla cultura classica
dei due Paesi, anche perché
di altre analogie tra Italia e
Grecia, particolarmente in
seno al consesso economi-
co dell’Unione europea,
proprio non riusciamo a
c og l ie r n e.
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