STUPIDA RAZZA

sabato 6 novembre 2021

La lotta alle emissioni è la scusa perfetta per fare affondare la nostra agricoltura

 

Alla fine un colpevole anche senza nominarlo lo hanno trovato: è l’allevamento di bestiame. Se la conclusione della Cop26 di cui era sponsor anche Microsoft - non è un particolare del tutto trascurabile, ma molte erano le company in odore di green washing in passerella e si sono anche lamentate perché il loro marketing è stato poco proficuo - è che le uniche misure prese sono la riduzione delle emissioni di metano entro il 2030 e gli interventi contro la deforestazione, viene il dubbio che si pensi all’agricoltura come unica fonte di inquinamento da mettere sotto controllo. A Glasgow oltre 100 Ong, ma nessuno ne parla, si sono mobilitate per chiedere un giro di vite sui sistemi agricoli responsabili, a loro dire, del 26% delle emissioni di gas serra. Non va trascurato che già all’assemblea dell’Onu di settembre alcune multinazionali avevano provato a forzare la mano per globalizzare i modelli alimentari. L’Europa peraltro non vede l’ora di dare corso al Farm to fork - il programma agricolo e alimentare all’interno del Green deal - per rendere obbligatoria l’et i - chetta a semaforo: penalizza i prodotti dell’agricoltura di qualità come quella italiana e promuove i cibi Frankenstein delle multinazionali zeppi di chimica e ricavati da proteine vegetali pagate pochi spiccioli ai contadini dei continenti meno inquinati e più svantaggiati che però subiscono una deforestazione selvaggia. Nessuno se n’è accorto, ma a Glasgow è andato in scena un nuovo round della guerra delle proteine. L’Italia con il ministro alla Transizione ecologica Roberto Cingolani, insieme a Gran Bretagna e Danimarca e a una serie di organizzazioni internazionali, sta dentro il progetto G lo b al energy alliance finanziato anche da Ikea e Rockefeller foundation per aiutare la transizione energetica dei Paesi in via di sviluppo. Ma è proprio in quei Paesi che le multinazionali della nutrizione stanno costruendo gli «arsenali vegetali» per condurre la guerra alle proteine. Di fronte alla richiesta di abbattere il metano nell’at - mosfera e di fermare la deforestazione, l’Italia avrebbe dovuto rivendicare la sua diversità positiva e anzi proporsi come modello agricolo alternativo. Il nostro Paese è tra quelli che maggiormente hanno accresciuto il patrimonio boschivo (in dieci anni le foreste sono aumentate di quasi 600.000 ettari e coprono il 37% della superficie) ed è quello che ha gli allevamenti zootecnici a più basso impatto ambientale. Le nostre stalle - come confermano tanto l’Ispra quanto l’Ac cad em ia dei Georgofili - impattano sul clima solo per il 5,65% delle emissioni e va detto che il metano emesso dagli animali viene totalmente riassorbito dalle piante in undici anni. In due decenni i nostri allevamenti hanno ridotto il loro impatto ambientale del 36% e anche per quel che riguarda l’acqua blu (cioè potabile estratta dalla falda) consumata dagli allevamenti è inferiore alla quantità assorbita dalle coltivazioni. Il consumo va calcolato in base alle proteine equivalenti: un etto di carne vale 5 chili d’insalata e la verdura beve di più. Il fatto è a che a Glasgow erano in gioco altri interessi. Ad esempio quelli di Bill Gate s che si è lanciato nella produzione di carne sintetica, un business da 25 miliardi di dollari giustificato solo dall’a llarme climatico, o quelli della cosiddetta finanza verde che sta finanziando tutte le start up che ruotano attorno allo stile vegan. Per avere un’id ea: la scommessa dei fondi d’investimento in aziende vegan è que s t’anno pari a 35 miliardi di dollari, il fatturato del settore vale 65 miliardi di dollari, ma gli analisti attendono incrementi del 30% l’anno nei prossimi dieci anni. Proprio grazie all’allarme climatico. L’Europa che si dà agli insetti come proteine, alla carne sintetica, ai legumi arricchiti chimicamente potrebbe ben opporre il suo complessivo modello agricolo ma non lo fa. Nota Luigi S c o rda m a g li a , consigliere delegato di Filiera Italia: «C’è il rischio che l’Eu - ropa accodandosi a questo allarme su metano e deforestazione, emergenze che non ci riguardano, finisca per abolire la sua produzione zootecnica e così incentivare gli allevamenti cinesi e brasiliani contribuendo a inquinare di più. È tempo di difendere il nostro modello agricolo e in particolare quello italiano che è anche il solo capace di risolvere l’emergenza alimentare nei Paesi più poveri restituendo ai piccoli agricoltori la potestà delle loro produ z io n i » . Alla Cop26 nessuno ha chiarito - eppure c’è un recentissimo rapporto Fao - che la deforestazione più forte si è avuta in Africa per un totale di 3,9 milioni di ettari per l’ampliarsi dei parchi minerari alla ricerca delle terre rare (servono per fare i microchip). I 2,6 milioni di ettari persi in America meridionale non sono solo dovuti alle colture per alimentare gli allevamenti, ma sono conseguenza dell’espandersi dell’u rba n i z - zazione, della coltivazione di droga e della produzione di oli da industria. Brasile a parte, dove effettivamente c’è stata una forte incidenza zootecnica, i Paesi che hanno perso più foreste sono Repubblica del Congo, Indonesia, Angola, Tanzania, Paraguay, Myanmar, Cambogia, Bolivia e Mozambico, dove la Cina domina, mentre quelli che hanno aumentato di più il patrimonio forestale sono Cina, Australia, India, Cile, Vietnam, Turchia, Stati Uniti, Francia, Italia e Romania. Appare dunque evidente che dietro taluni obbiettivi della Cop26 non ci sono solo preoccupazioni ambientali, ma anche importanti prospettive di business. Compresa la guerra delle proteine.

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