L’Europa orientale si conferma il fronte più caldo per l’Unione dei 27. Non c’è solo la grave crisi istituzionale e diplomatica con la Polonia a preoccupare Bruxelles. Qualche giorno fa la Russia ha bloccato le forniture di carbone per produzione termoelettrica verso l’Ucraina. Il fatto, annunciato dal capo del comitato per l’energia ucraino, mette in crisi la produzione di energia elettrica del Paese, che per il 30% dipende dal carbone importato dalla Federazione. Le riserve sono quasi esaurite, ma in soccorso dell’Ucraina dovrebbero arrivare ben cinque navi americane che tra un paio di settimane, secondo l’agenzia Interfax, scaricheranno nel Paese che si affaccia sul Mar Nero circa 280.000 tonnellate di carbone. Un sollievo momentaneo che però non risolve il problema. Allo stesso tempo, gli operatori della rete elettrica di Russia e Bielorussia si sono rifiutati di esportare elettricità verso l’Ucraina, proprio mentre Ukrenergo, il gestore elettrico locale, ritirava il divieto di importazione di elettricità dai due Paesi confinanti. A novembre dunque niente importazioni di energia elettrica. C’è il serio rischio che il Paese possa restare senza energia, tanto che il governo del presidente Volodymyr Zel e n s’ky j, secondo indiscrezioni, starebbe pensando a un piano di fermate programmate delle aziende e limiti all’uti - lizzo dell’energia anche per le famiglie. Il piano sarebbe attuato a dicembre o anche prima se il freddo dovesse farsi sentire. La questione energetica mette l’Ucraina sotto una forte pressione, i cui riflessi investono in pieno l’a ll eata Unione europea e il suo sogno di indipendenza energetica, coltivato importando il 90% del proprio fabbisogno energetico da Paesi extra Ue. In questi primi giorni di novembre si assiste a una diminuzione del flusso di gas dalla Russia all’entry point ucraino di Sudzha, che provoca un calo nell’export verso l’Ue a Velke Kapusany, in Slovacchia. All’entry point tedesco di Mallnow, sul confine con la Polonia, dal 30 ottobre scorso si è verificata addirittura un’i nversione del flusso, per cui il gas anziché entrare in Germania ora ne esce verso la Polonia. A completare il quadro, martedì si è appreso che Gazprom non ha partecipato all’asta di capacità trimestrale aggiuntiva di trasporto gas per i primi tre trimestri 2022 via Ucraina e Polonia. Questo significa che il grande operatore russo si tiene le mani libere per agire sul mercato europeo del gas nel breve termine, senza assumersi obblighi ulteriori a lunga scadenza. Considerata l’estrema instabilità dei mercati e l’al ta volatilità, infatti, la primavera del 2022 di fatto assume le caratteristiche di una scadenza di lungo termine. Anche perché l’algerina Sonatrach ha deciso nel frattempo di chiudere uno dei due gasdotti che portano il gas in Spagna. A causa del peggioramento dei rapporti diplomatici con il Marocco rimane aperto solo il gasdotto Medgas, che approda in Spagna dopo aver attraversato il Mediterraneo direttamente dall’Algeria e che porta però minori volumi. Con tali prospettive per nulla tranquillizzanti ci si aspetterebbe di vedere il prezzo del gas in Europa di nuovo sui livelli record visti un mese fa. Invece, i prezzi sono sostanzialmente stabili e ieri il future sul primo trimestre 2022 quotava 72,5 euro/Mwh (-20 euro/Mwh rispetto a una settimana fa). Come si spiega questa apparente contraddizione? Osservando i bilanci giornalieri della materia prima nei vari Paesi europei si desume che le aspettative negative sono superate dalla realtà. I fondamentali economici alla lunga vincono, in questo caso la domanda fisica di gas. In quasi tutti i Paesi dell’Unione infatti si sta ancora iniettando gas in stoccaggio, grazie al fatto che le temperature non sono ancora scese e la domanda di gas è contenuta. In media gli stoccaggi europei sono pieni al 77%, ancora ben sotto la media degli ultimi cinque anni ma in una situazione migliore rispetto a un mese fa (+2%). Inoltre, qualche giorno fa lo stesso Vladimir Putin ha affermato che a partire dalla prossima settimana Gazprom contribuirà al riempimento degli stoccaggi europei nella disponibilità dell’operatore russo, cosa che in minima parte sta già avvenendo. Infine, il prezzo del gas risente anche del crollo delle quotazioni del carbone, dovuto alla decisa reazione del governo cinese alla scarsità di materia prima. Mobilitando ingenti risorse per rivitalizzare l’indus tr ia estrattiva nazionale, la Cina ha aumentato l’offerta di carbone, alleggerendo le tensioni sul gas. Siamo comunque ancora in una situazione di prezzi altissimi, il triplo del precedente massimo storico, con il mercato spot dell’elettric ità che in Italia non accenna a scendere (oggi il prezzo è a 191 euro/Mwh), dopo avere chiuso il mese di ottobre con una media record di 217,63 €/ M wh . Quello del mercato energetico europeo è un equilibrio assai fragile, di natura esterna, ben lontano da una intrinseca solidità strutturale. Diverse sono le incognite potenzialmente dirompenti che restano sullo sfondo, dall’a r r ivo del freddo invernale alle tensioni geopolitiche. Il fallimento dell’Unione europea nel definire un quadro stabile di mercato è sotto gli occhi di tutti. L’Unione contravviene persino ai propri principi, contenuti nella pomposa comunicazione della Commissione al Parlamento europeo del 2015, «Una strategia quadro per un’Unione dell’ener - gia resiliente, corredata da una politica lungimirante in materia di cambiamenti climatici» (Com/2015/080). In una frase che poi è diventata il preambolo di ogni provvedimento in materia energetica la Commissione si propone di «fornire ai consumatori dell’Ue energia sicura, sostenibile e competitiva a prezzi accessibili». Nessuna di queste condizioni è vera, oggi: le forniture sono a rischio interruzione, l’energia è prodotta in gran parte a carbone e gas e i prezzi sono alle stelle. In Italia diverse aziende energivore stanno pianificando la sospensione delle produzioni per via dei costi esagerati dell’energia, minando la competitività dell’intero sistema industriale nazionale. Mentre da G20 e Cop26 giungono le usuali dichiarazioni di intenti più o meno realistiche, forse occorre riconoscere che difficilmente soluzioni efficaci possono arrivare da chi ha combinato un disastro di tali proporzioni.
NEL 2012 NON CI SARA' LA FINE DEL MONDO IN SENSO APOCALITTICO,MA UN CAMBIAMENTO A LIVELLO POLITICO ED ECONOMICO/FINANZIARIO. SPERIAMO CHE QUESTA CRISI SISTEMICA ,CI FACCIA FINALMENTE APRIRE GLI OCCHI SUL "PROGRESSO MATERIALE:BEN-AVERE""ECONOMIA DI MERCATO" FIN QUI RAGGIUNTO E SPERARE IN UN ALTRETTANTO "PROGRESSO SPIRITUALE:BEN-ESSERE"ECONOMIA DEL DONO,IN MODO DA EQUILIBRARE IL TUTTO PER COMPLETARE L'ESSERE UMANO:"FELICITA' NELLA SUA COMPLETEZZA".
STUPIDA RAZZA
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