Siamo dentro al Giorno della marmotta. Solo che la marmotta ha il Covid (nonostante la seconda dose). Viene voglia di scherzarci su per non cadere nella disperazione, ma la funesta realtà è che il virus, tra gli innumerevoli disagi, sembra aver prodotto anche un cambiamento nella concezione del tempo: siamo entrati in una dimensione circolare della storia in cui gli eventi si ripetono sostanzialmente uguali, e soltanto lo scenario si modifica. Basta dare u n’occhiata veloce alla rassegna stampa e, all’i m p rov - viso, non si capisce più se ci si trovi nel 2020 o nel 2021. Sembra, appunto, che le lancette dell’orologio siano tornate indietro da sole, e che tutto stia ricominciando daccapo, proprio come avveniva nel celebre film di Bill Murray. Ma quello, almeno, era un capolavoro: questo invece è soltanto un pessimo remake, e a salvarlo non basterebbe nemmeno il miglior Bud Spencer. Partecipate all’i n qu ieta nte esperimento e leggete con attenzione il titolo di Re p ub b l ic a di ieri: «Covid, pronto il piano per salvare il Natale». Per caso provate una strana sensazione, come di déjà vu? Fate bene. Perché quel titolone di prima pagina è sostanzialmente identico a quello che scodellò il Fatto Quotidiano c i rca un anno fa, per la precisione il 25 ottobre 2020: «Arriva il dpcm per salvare il Natale». Ma è anche praticamente lo stesso titolo che proprio Re p ub b l ic a fece il 14 novembre 2020: «Mezza Italia in zona rossa. Un piano per salvare il Natale». Incredibile vero? In un soffio siamo stati sbalzati indietro nel tempo di 12 mesi: stessi titoli eccellenti, stesse ambiziose promesse. Solo che l’attuale «nuovo piano» è incentrato sulla terza dose e sulla vaccinazione dei bambini, mentre nel 2020 si pensava a chiusure e coprifuoco. A dirla tutta, però, c’è anche un’altra differenza rispetto al passato. Il 25 ottobre di un anno fa, infatti, i nuovi contagi erano 21.273 (e a stretto giro sarebbero quasi raddoppiati) e i morti erano 128. Nel giorno in cui Repubblica ha composto il suo titolo altisonante, cioè venerdì, la situazione era la seguente: 6.764 test positivi al coronavirus e 52 vittime. Di fronte a questi numeri viene da chiedersi: ma quanto hanno intenzione di prolungare l’allarme? Come è possibile che oggi si alzi la tensione e si tengano conferenze stampa col batticuore quando abbiamo una marea di positivi in meno di un anno fa e meno della metà dei morti? Non solo: anche la crescita della curva dei contagi è decisamente meno pronunciata. Certo: sappiamo che le infezioni e i casi di malattia anche gravi non sono spariti, ma sappiamo pure che non spariranno mai. Il fatto è che a situazione radicalmente diversa rispetto al 2020, tuttavia la pressione (mediatica e politica) sui cittadini non si allenta, anzi leggiamo titoli spaventosi sulla peste che flagella l’Europa. Curioso, se non altro. Aspettate, che non è mica finita. Vale la pena, infatti, di dare uno sguardo anche alle dichiarazioni dei responsabili della gestione della pandemia, giusto per capire con che spirito affrontassero la sfida un anno fa più o meno in questo periodo. Prendiamo Franco Locatelli, attuale coordinatore del Comitato tecnico scientifico. Come noto, in questi giorni ha suonato la campana per mettere un p o’ d’ansia ai cittadini. Ha detto che bisogna spingere sulla terza dose e ha fatto capire che l’iniezione ai bambini tra i 5 e gli 11 anni è ormai inevitabile. Insomma, non è apparso molto tranquillo, anzi ha rilanciato le teorie tedesche sulla «pandemia di non vaccinati», non tralasciando di pronunciare qualche affermazione falsa sui ric ove r i . Ebbene, visto il suo attuale comportamento, viene spontaneo pensare che un anno fa, di questi tempi, il nostro Locatelli fosse in preda a crisi di panico e corresse per Roma gridando a perdifiato che il mondo sarebbe finito molto presto. E invece, pensate un p o’, L o catel l i nell’autu n n o 2020 buttava acqua sul fuoco. Il 18 ottobre dell’anno scorso dichiarava quanto segue: «Che ci sia stata u n’accelerazione negli ultimi 10-15 giorni è indubitabile, però prima di parlare di crescita esponenziale ci andrei cauto. Non siamo in questa situazione. È giusto guardare ai numeri con attenzione massima ma non siamo in una situazione né di panico, né di allarme». E ancora: «Abbiamo 700 persone nelle terapie intensive, nemmeno paragonabile al momento del picco con più di 4.000 pazienti. Degli 11.000 casi registrati ieri, un pochino meno di un terzo riguarda soggetti sintomatici». Perché abbiamo scelto la data del 18 ottobre per il nostro paragone? Semplice: quel giorno, un anno fa, la situazione era vagamente paragonabile a quella odierna. I contagi sarebbero cresciuti notevolmente di lì a poco, ma il 18 ottobre i nuovi positivi erano 10.925, i morti 47 e la persone in terapia intensiva 705. In sostanza, avevamo il doppio di malati gravi, quasi il doppio di contagi e (questo colpisce) più o meno gli stessi morti. Però allora L o catel l i era sereno, mentre oggi si sbraccia e fa salire l’ansia. Aveva torto nel 2020 a essere ottimista? Può darsi, ma non era l’unico. Anche D omenico Arcuri r ibad iva: «Non siamo in una fase drammatica. La seconda ondata è diversa dalla prima». Nello stesso giorno, era il Fatto Quotidiano a notare il miglioramento: alla fine di marzo 2020 - scriveva il giornale di Marco Trava g l io - i morti erano quasi 1.000 al dì, a ottobre meno di 50. E allora di nuovo ci domandiamo: perché si stava meglio quando si stava peggio? Perché, visti i clamorosi cambiamenti avvenuti rispetto a 12 mesi fa, si deve ancora spargere terrore e urlare che non siamo abbastanza vaccinati? Qualcosa non torna. Notiamo (magra consolazione) che L o catel l i , benché abbia funambolicamente cambiato opinione, è stato almeno un poco più onesto di Roberto Speranza. Il ministro della Salute ha continuato imperterrito per due anni a predire il peggio: lo faceva nel novembre 2020 e lo fa oggi. Sbaglierebbe chi ci vedesse una sorta di malata coerenza: se sei sempre in allarme, è come se non ci fossi mai (e i risultati si vedono). Un po’, tuttavia, S p e ra n za lo capiamo: aveva scritto un libro per dire che il virus era sconfitto, poi lo ha dovuto ritirare e la cosa lo ha un po’ trau m at i z zato. In ogni caso, il punto è uno solo: occorre fissare un limite. Non si può gridare sempre al disastro. Non si può mandare nel panico la popolazione anche se la situazione è infinitamente migliore di un anno fa. O, meglio, non si può, a meno che non si voglia giocare ancora una volta sulla paura per sottomettere i cittadini. Si, sembra di essere nel Giorno della marmotta. Ma continuano a trattarci come s o rc i .
NEL 2012 NON CI SARA' LA FINE DEL MONDO IN SENSO APOCALITTICO,MA UN CAMBIAMENTO A LIVELLO POLITICO ED ECONOMICO/FINANZIARIO. SPERIAMO CHE QUESTA CRISI SISTEMICA ,CI FACCIA FINALMENTE APRIRE GLI OCCHI SUL "PROGRESSO MATERIALE:BEN-AVERE""ECONOMIA DI MERCATO" FIN QUI RAGGIUNTO E SPERARE IN UN ALTRETTANTO "PROGRESSO SPIRITUALE:BEN-ESSERE"ECONOMIA DEL DONO,IN MODO DA EQUILIBRARE IL TUTTO PER COMPLETARE L'ESSERE UMANO:"FELICITA' NELLA SUA COMPLETEZZA".
STUPIDA RAZZA
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