STUPIDA RAZZA

giovedì 27 gennaio 2022

Attesa per la Fed e crisi Ucraina: tempesta perfetta sui mercati

 

Ondata di vendite ieri sulle Borse, con indici in profondo rosso: in Europa Milano la peggiore -4%, Parigi -3,9%, Francoforte -3,8. L’indice Stoxx 600 ha chiuso in calo del 3,6%, pari a 386 miliardi di capitalizzazione persi. A Wall Street gli indici hanno chiuso in positivo, dopo una seduta nervosa con il Dow Jones che è arrivato a perdere oltre 1000 punti. Sotto pressione le criptovalute che in 24 ore hanno bruciato 130 miliardi di dollari. La giornata, già nervosa per l’attesa delle indicazioni della Fed domani sul rialzo dei tassi, è stata condizionata dai venti di guerra tra Russia e Ucraina. Lo spettro di nuove sanzioni occidentali ha affondato anche la Borsa di Mosca (-6%) e il rublo, ai minimi da 14 mesi sul Di questi tempi i mercati finanziari sembrano coltelli che cadono. I grafici mostrano indici e titoli in picchiata, soprattutto sugli asset più rischiosi, quali azioni, materie prime e criptovalute. Il lunedì nero ha portato via dalle Borse europee 386 miliardi di euro di capitalizzazione a fronte di un ribasso medio (indice Stoxx 600) del 3,6%. A Piazza Affari il Ftse Mib ha perso 4,02%, peggiore seduta dal 26 novembre. Profondo rosso in giornata anche dalle parti di Wall Street con cali intraday fino al 4% per l’S&P 500 e al 5% per il Nasdaq, che però in chiusura sono tornati in positivo. In poco meno di un mese l’indice tecnologico è arrivato a perdere (-18%) quasi tutto quanto incamerato nel 2021 (+22%). È la riprova che i mercati salgono con le scale e, quando scendono sul serio, prendono l’ascensore. Non si è salvato neppure il petrolio (in calo fino a -3% a 82 dollari al barile) mentre il prezzo di Bitcoin ha perso a tratti i 34mila dollari (per poi recuperare in serata) andando praticamente a dimezzare la performance rispetto ai massimi storici del 9 novembre (articolo su cripto-arte a pagina 24). Sullo sfondo dati macro in calo per gli Usa con la lettura preliminare dell’indice Pmi servizi di gennaio sceso a 50,9 punti rispetto ai 57,6 del mese precedente. In contrazione anche il manifatturiero, da 57,7 a 55 punti. Quella di ieri è stata una chiara seduta di de-risking. Gli investitori hanno ridotto l’esposizione nei settori risk-on e più volatili. A farne le spese sono stati anche i titoli value, quelli più agganciati al ciclo economico che erano invece stati acquistati nei ribassi delle sedute precedenti, che avevano evidenziato una rotazione dei portofagli più che vendite generalizzate. La volatilità delle azioni a Wall Street è balzata del 35%, vicina a quei 40 punti che non si vedevano da ottobre 2020. Hanno tenuto invece i titoli di Stato che hanno rivestito i panni di bene rifugio. Sono stati acquistati i Treasury Usa tanto nelle brevi scadenze (i tassi a 2 anni sono scesi nuovamente sotto l’1%) quanto sulle lunghe (il decennale si è portato all’1,7% dopo un picco all’1,9% a metà mese). Anche il Bund tedesco ha attratto capitali spaventati tanto che il tasso è tornato a -0,1% dopo essersi azzerato qualche giorno prima. L’oro, invariato, ha tenuto botta in una giornata per cuori forti dove, tra le valute, franco svizzero, dollaro e yen si sono comportati come da copione, ideali parcheggi della liquidità in fasi di turbolenza. Come si spiega questa delicata fase? Il pressing sulla Fed Gli investitori attendono l’esito del Fomc, il comitato operativo della Federal Reserve, che parte oggi e si concluderà domani sera. A quel punto il governatore Jerome Powell aggiornerà la politica monetaria. Di quanto (e quando) verranno alzati i tassi di interesse? È questo il primo dubbio degli investitori. Goldman Sachs prevede un ritmo più rapido di inasprimento della Fed con la possibilità intraprenda azioni restrittive ad ogni riunione a partire da marzo fino a quando il quadro dell’inflazione non cambierà. Ma i dubbi non riguardano solo la sfera dei tassi, dato che 3-4 rialzi sono ormai già nei prezzi dei principali asset. La più grande fonte di incertezza riguarda le intenzioni della Fed su un’eventuale riduzione del proprio bilancio che, gonfiato dai numerosi titoli acquistati durante questi ultimi anni di espansione monetaria, sfiora ormai la cifra monstre di 9mila miliardi (oltre il doppio rispetto ai livelli pre-pandemici). Dalle minute relative al precedente Fomc (rese note ad inizio anno) è emerso che un numero crescente di banchieri all’interno della Fed vorrebbe accelerare nella riduzione del bilancio, riducendo il reinvestimento dei titoli in portafoglio man mano che scadono. Stiamo per certi versi rivivendo lo stesso copione del 2018 quando, a fine novembre, Powell indicò che la Fed avrebbe proceduto spedita nella riduzione del bilancio. I mercati non la presero bene con un fragoroso -20% a dicembre che “costrinse” il governatore a fare marcia indietro nel 2019. In questo senso l’attuale ribasso di Wall Street potrebbe essere visto come una sorta di pressione affinché la Fed ammorbidisca le intenzioni, non tanto sui tassi quanto sul bilancio che difatti costituisce quell’abbondante liquidità sulla quale galleggiano i listini. La crisi Russia-Ucraina In questo contesto già incerto non aiuta l’escalation delle tensioni geopolitiche tra Stati Uniti e Russia. Il New York Times ha riferito che il presidente Joe Biden sta valutando l’invio di un massimo di 50mila soldati da combattimento in Ucraina. La Borsa di Mosca ha perso l’8% e il rublo è colato a picco sul dollaro, scendendo per il quinto giorno consecutivo e costringendo la Banca di Russia a sospendere per un periodo indefinito gli acquisti strategici di valuta straniera. Da novembre la divisa russa ha perso il 15% sul biglietto verde. E anche questo fa parte della partita a scacchi tra i due Paesi dollaro.

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