L’inflazione, quindi, arrivava più dall’offerta (aumenti dei prezzi delle materie prime) che dalla domanda.
E L'ECONOMIA STA ANDNADO BENE.......? (🤔🤣🤔🤣)
La Fed non cambia linea e traccia un
percorso di strette monetarie. Quel
che è ormai certo è che si parte «a
breve». La durata del programma
invece verrà scandita dagli eventi,
dai dati macro, in particolare da inflazione ed occupazione, i due sorvegliati speciali dalla banca centrale
statunitense.
Tassi più alti fanno rima con rendimenti obbligazionari più attraenti. Questo vuol dire che i mercati
azionari sono destinati a soffrire la
competizione dei bond? Il passato,
che certo non può essere mai considerato anticipatore del futuro, offre
comunque importanti spunti di riflessione. Soprattutto se consideriamo che, contrariamente a quanto si
possa immaginare, nei 12 cicli di
rialzo dei tassi impostati dalla Federal Reserve dagli anni ’50, in 11 casi
su 12 (quindi il 91%) l’S&P 500 ha registrato un rialzo annuo del 9%. Il
dato più elevato risale al 1958-1959
quando l’indice azionario realizzò
una performance annua del 24,5%.
Molto bene anche il responso del periodo 1987-1989 (+16,2%). Nell’ultima tornata di strette - quando dal
2015 al 2018 la Fed ha alzato per nove
volte il costo del denaro portandolo
dallo 0,5% al 2,5% - il più grande paniere azionario statunitense è salito
ogni anno al ritmo dell’8,4%. L’unico
precedente in rosso risale al 1972-
1974, quando la Borsa si avvitò con
un calo annuo dell’8,6%.
I dati quindi ci raccontano che
Wall Street, al contrario delle apparenze, è abituata a convivere piuttosto bene con le fasi in cui la Fed
stringe la cinghia. Come mai? Innanzi tutto perché il nemico numero
uno degli investitori non sono i tassi
ma l’incertezza. Quindi la volatilitÃ
e le correzioni azionare solitamente
arrivano prima che il sentiero venga
tracciato con chiarezza. Lo dimostra
questo turbolento inizio d’anno.
Prima del meeting terminato ieri -
con il governatore Jerome Powell
che difatti anticipato il piano che intenderà seguire nei prossimi mesi,
con la fine del tapering a marzo e
rialzo dei tassi a breve - i mercati sono arrivati molto nervosi e pieni di
dubbi tanto sul fronte tassi (quanti
aumenti e quando?) quanto sul
fronte della riduzione del bilancio,
arrivato alla cifra monstre di 9mila
miliardi di dollari e simbolo inequivocabile dell’espansione monetaria senza freni degli ultimi anni. Un
nervosismo che ha portato il Nasdaq
ad arrivare a perdere nel momento
di volatilità più acuto fino al 18% e
l’S&P 500 quasi al 10%. Quando il
quadro è fosco, in preda all’incertezza e all’ansia, gli investitori vanno
spesso a scontare gli scenari peggiori possibili. Per non essere poi colti
alla sprovvista.
C’è poi un altro motivo, meno
psicologico e più di natura fondamentale. Non va dimenticato che
quando una banca centrale alza il
costo del denaro, nella maggior
parte delle casi lo fa per evitare che
l’effervescenza dell’economia generi un livello di inflazione troppo
elevato. Il dato di fondo è però molto buono: un’economia in salute.
Fin troppa. Ciò vuol dire che le
aziende quotate in Borsa stanno
generando utili e ricavi in crescita
e di conseguenza le quotazioni tendono ad apprezzarsi.
Questo vuol dire che anche al
nuovo giro che la Fed sta per avviare
andrà tutto bene? Nessuno ha la sfera di cristallo per dirlo. Tuttavia bisogna fare molta attenzione. La lezione che ci dà il passato è, infatti,
che nell’unico caso in cui Wall Street
è andata giù durante le fasi di rialzo
dei tassi risale al 1972-1974. Un periodo molto delicato per il mondo occidentale che dovette affrontare una
brusca carenza di petrolio e il conseguente aumento spropositato dei
prezzi dell’energia. L’inflazione,
quindi, arrivava più dall’offerta (aumenti dei prezzi delle materie prime) che dalla domanda. E questo è
un punto che accomuna quella difficile fase storica con i tempi attuali.
Perché dietro quel 7% di inflazione
generata a dicembre negli Usa una
fetta importante è legata ai prezzi
dell’energia. E dietro quel 5,5% di inflazione “core” (depurata da alimentari ed energetici) c’è comunque il rincaro di tante altre materie
prime i cui valori nell’ultimo anno si
sono impennati per i vari colli di
bottiglia alla catena di produzione.
Quindi anche adesso ci troviamo ad
affrontare un’inflazione che nasce
da problemi legati all’offerta. Quelli
più difficili da affrontare per un
mercato azionario. C’è però una
grande differenza rispetto 1972-
1974: allora non c’era quell’abbondante liquidità che circola oggi nelle
sale finanziarie. In questo contesto
i mercati avranno quindi il loro bel
da fare nei prossimi mesi.
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