Attività venatoria selettiva e – soprattutto – un
lungo lavoro diplomatico e negoziale per giungere a
regole condivise con i paesi che non riconoscono il
principio di regionalizzazione. Questo il quadro che
si prospetta per l'Italia per fronteggiare i nuovi casi
(tre accertati forse un quarto) di peste suina
riscontrati nelle scorse settimane tra basso
Piemonte e Liguria in carcasse esclusivamente di
cinghiali selvatici e non di suini allevati. Altrimenti,
come previsto dall'ordinanza prontamente adottata
dai ministri Patuanelli e Speranza, sarebbero
dovute scattare le misure di abbattimento. Intanto
proprio ieri il governo ha stanziato un primo fondo
da 50 milioni per risarcire gli allevatori.
La peste suina africana (Psa) in Italia è presente
almeno dal 1978 e una delle regioni che più ne è
stata colpita è la Sardegna. Una malattia che non si
trasmette all'uomo e neanche ad altre specie
animali ma molto contagiosa e letale per cinghiali e
suini ma probabilmente derivata da esemplari di
facocero. In Europa ha riguardato oltre all'Italia, il
Belgio, la Germania e diversi paesi dell'Est europeo.
L'unico che finora è riuscito a debellarla è il Belgio.
Questo ritorno della Psa in Italia è legato
soprattutto ai cinghiali. Ormai da qualche anno il
tema dell'eccessiva fauna selvatica che spesso
danneggia i campi coltivati è all'ordine del giorno e
viene sollevato con continuità dalle richieste di
intervento degli agricoltori. Ad aggravare la
situazione c'è ora anche la variabile della Psa. «Ma a
differenza di un generale contrasto al proliferare
della fauna selvatica – ha spiegato il direttore di
Assica (l'associazione degli industriali dei salumi),
Davide Calderone – in questo caso l'attività
venatoria va sospesa nelle zone interessate. Nel
senso che l'attività di caccia con i cani è
assolutamente da evitare perché metterebbe in fuga
gli animali facendoli disperdere sul territorio.
Occorre quindi adottare modalità più selettive e che
si propongano innanzitutto di monitorare i
movimenti dei capi sospetti cercando in ogni modo
di evitare contatti con gli allevamenti suini».
Le problematiche legate alla Psa sono quindi
innanzitutto di salute animale per quanto riguarda
il rischio contagio per gli allevamenti (l'epidemia di
Psa negli scorsi anni in Cina ha portato
all'abbattimento di centinaia di milioni di capi con
pesanti conseguenze sui listini mondiali delle carni
suine). Aspetto che fa capire come le principali
difficoltà siano soprattutto di mercato. Cina,
Giappone, Taiwan, Corea del Sud, Messico, Cuba e
Sud Africa hanno bloccato le importazioni dai paesi
colpiti compresa quindi l'Italia con un danno
all'export made in Italy che Assica stima in circa 20
milioni di euro al mese.
D'altro canto, su un fatturato estero che per i
salumi italiani è di circa 1,7 miliardi, le vendite
effettuate nei paesi Terzi (compresi gli Usa)
ammontano a circa 600 milioni. «Il problema –
spiega ancora Calderone - è che il principio chiave
della regionalizzazione che vige in Europa, nel
Regno Unito e negli Stati Uniti non è riconosciuto
dai paesi asiatici. Questo principio prescrive che, in
presenza di alcuni casi di Psa, come ad esempio in
Piemonte e in Liguria non si bloccano tutte le
esportazioni di carni suine dalle due regioni o
dall'intero Paese, ma solo quelle dalle zone a rischio.
In questo caso quindi vengono congelate le vendite
di prodotti realizzati con carni suine di capi allevati
nelle zone interessate. Ma se tra Piemonte e Liguria
sono presenti salumifici che utilizzano materie
prime provenienti ad esempio da Mantova, le regole
Ue prevedono che la loro attività non possa essere
bloccata. In Asia invece non riconoscendo questo
principio si bloccano tutte le importazioni di salumi
made in Italy». Su questo fronte non resta che la
strada della diplomazia e del lavoro negoziale. Un
percorso complesso ma non impossibile. La
Francia, ad esempio, ha appena stretto un accordo
bilaterale con la Cina nel quale Pechino riconosce il
principio di regionalizzazione nei confronti di
Parigi. Ma le trattative per arrivare all'accordo
chiuso qualche giorno fa sono partite nel 2019.
NEL 2012 NON CI SARA' LA FINE DEL MONDO IN SENSO APOCALITTICO,MA UN CAMBIAMENTO A LIVELLO POLITICO ED ECONOMICO/FINANZIARIO. SPERIAMO CHE QUESTA CRISI SISTEMICA ,CI FACCIA FINALMENTE APRIRE GLI OCCHI SUL "PROGRESSO MATERIALE:BEN-AVERE""ECONOMIA DI MERCATO" FIN QUI RAGGIUNTO E SPERARE IN UN ALTRETTANTO "PROGRESSO SPIRITUALE:BEN-ESSERE"ECONOMIA DEL DONO,IN MODO DA EQUILIBRARE IL TUTTO PER COMPLETARE L'ESSERE UMANO:"FELICITA' NELLA SUA COMPLETEZZA".
STUPIDA RAZZA
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