STUPIDA RAZZA

giovedì 27 gennaio 2022

Le prime vittime della turbolenza: i Paesi più poveri

 

Mentre i mercati finanziari guardano preoccupati al Nasdaq e alla caduta delle Borse, ci sono parti del mondo e Paesi che davvero rischiano grosso ma nessuno - o quasi - li degna di uno sguardo. Sono i Paesi più poveri, sui quali rischia di abbattersi la tempesta finanziaria perfetta causata dal mix di Covid, poche vaccinazioni, prezzi delle materie prime e alimentari alle stelle, turismo bloccato, debito elevato, tassi in risalita e fuga dal rischio. Paesi come il Ghana, lo Sri Lanka, lo Zambia, l’Etiopia, El Salvador, mete turistiche rinomate come le Bahamas o l’Ecuador o Paesi più grandi come l’Argentina e la Tunisia. Stati diversi, in luoghi differenti del mondo, ma tutti uniti da un denominatore comune sui mercati finanziari: hanno raggiunto coi loro titoli di Stato livelli di rendimenti da allarme rosso. I bond in dollari dell’Argentina sono ormai costretti a pagare più di 3mila punti base oltre i rendimenti dei titoli di Stato Usa per trovare qualcuno disposto a comprarli, Etiopia e Zambia hanno uno spread superiore ai 2mila punti base mentre El Salvador e lo Sri Lanka sono poco sotto i 2mila. Abbandonati dal mercato Sono i numeri a dimostrare che questi Paesi rischiano di diventare le prime vittime della turbolenza finanziaria. Se si guardano gli indici dei Paesi emergenti, si nota che quelli con rating speculativo (high yield) hanno aumentato in media gli spread sui titoli Usa di 150 punti base rispetto a metà 2021 (arrivando in media a 600 punti), mentre quelli più solidi con rating elevati hanno aggiunto solo 30 punti base (arrivando ai 140 attuali). Questo significa che il mercato si sta divaricando: sta abbandonando i Paesi più deboli, ma non quelli più solidi all’interno del variegato mondo denominato «emergente». All’interno dei Paesi più deboli, ce ne sono alcuni debolissimi. Per esempio lo Zambia, che ha registrato un aumento dello spread vertiginoso dei suoi titoli in dollari rispetto a quelli Usa: il bond con scadenza nel 2026 pagava fino a non molto tempo fa 369 punti base più dei titoli di Stato Usa, mentre ora ne offre 1.207. Non va meglio ad altri. Il costo della polizza per assicurarsi contro il default dell’Etiopia (in gergo Cds) è passata dai 509 punti base minimi toccati nell’ultimo anno a 2.095. Quella di El Salvador da 409 a 1.912. Il Cds dell’Argentina è triplicato dai minimi dell’ultimo anno, da 1.170 a oltre 3mila punti base.Le cause della tempesta Il problema è che di motivi per questa crisi finanziaria ce ne sono molti.Troppi. Innanzitutto il Covid. La pandemia ha colpito tutti, ma i Paesi più poveri, che hanno attualmente tassi di vaccinazione molto bassi, soffrono di più: le doppie dosi si fermano in media al 5%, salendo ad un ancora molto modesto 36% nei Paesi a reddito medio-basso. Questo pesa sui Paesi più poveri. «Non vanno inoltre trascurati gli impatti sull’economia - osserva Filippo Casagrande, head of insurance investment solutions di Generali -. Molti Paesi dipendenti dal turismo sono entrati in profonda crisi, venendo a mancare la fonte principale di entrate statali e di valuta forte». In base alle ultime stime dell’Organizzazione Mondiale del Turismo (UNWTO), gli arrivi di turisti internazionali segnano ancora un -70-75% rispetto ai livelli del 2019. Pensate a quanto possa pesare questo su Paesi come le Bahamas. Non solo. A preoccupare è anche un altro fattore: il mix tra l’aumento generalizzato dei prezzi (alla produzione e al consumo) e la stretta delle politiche monetarie da parte delle banche centrali. Il prezzo dei prodotti agricoli monitorati dalle Nazioni Unite ha segnato un aumento del 43,4% da giugno 2020, avvicinando i picchi storici visti durante il 2008 e il 2011. Anche i prezzi dell’energia segnano forti aumenti, e mentre i Paesi produttori possono trarne un beneficio gli altri soffrono. Questi rincari hanno spinto molte banche centrali nei Paesi emergenti ad aumentare in misura molto significativa i tassi d’interesse: «Sebbene questa mossa abbia il beneficio di medio-lungo termine di ridurre il perpetrarsi di pericolosi squilibri economici - continua Casagrande -, l’impatto sulla crescita economica e sulla coesione sociale nel breve termine appare tutt’altro che positivo». Tutto questo si inserisce in un contesto di Paesi con un elevato debito, oggi in molti Paesi sui massimi da almeno 20 anni. Effetto domino? La tempesta rischia di scatenarsi in primo luogo sui Paesi interessati. «Riteniamo che nei prossimi trimestri e anni gli episodi di ristrutturazione nei Paesi emergenti più fragili siano destinati a crescere, anche in ragione delle previste riduzioni della liquidità da parte delle banche centrali nei paesi sviluppati, Federal Reserve in primis - prevede Casagrande -. Questa minore liquidità ridurrà, infatti, il supporto degli investitori in questi mercati, riducendo le fonti di rifinanziamento». C’è il rischio di un effetto domino sui mercati internazionali, oppure le ridotte dimensioni di questi Paesi e la loro marginalità sui mercati finanziari rende immune il resto del mondo? La risposta che verrebbe da dare a caldo è la seconda: è improbabile che il Ghana o le Bahamas possano creare alcuna turbolenza sui mercati globali. Ma Casagrande suggerisce cautela: «Il mondo finanziario sta cambiando, il riprezzamento in questa fase di grande incertezza è generalizzato - osserva Casagrande -. Non è dunque da escludere un effetto contagio su altri Paesi emergenti».

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