STUPIDA RAZZA

mercoledì 26 gennaio 2022

Su debito, Pnrr, riforma fiscale e pensioni cresce il peso dell’incognita Draghi

 



Il voto quirinalizio al via da domani condensa le proprie incognite sul futuro di governo e legislatura negli stessi giorni in cui comincia a piovere sulle previsioni economiche del Paese. Venerdì Bankitalia ha prospettato per il Pil 2022 un +3,8%, nove decimali sotto l’obiettivo del governo. Ieri Confindustria ha ipotizzato uno stop della crescita nel primo trimestre, e un conto di -0,8% sulla dinamica 2022 presentato solo dal caro-bollette. L’esplosione dei prezzi energetici, che i 10,9 miliardi stanziati fin qui dal governo nel conto aggiornato con il decreto di venerdì riescono solo a tamponare, si accompagna alla moltiplicazione di contagi, isolamenti e quarantene prodotta dalla variante Omicron, che schiaccia la domanda interna. In un contesto del genere, è inevitabile che analisti e investitori internazionali e domestici cerchino di estrarre dalla girandola tattica di questi giorni la risposta a una sola domanda: che cosa accadrà al debito? Perché a un obiettivo di crescita del 4,7% che appare ogni giorno più ambizioso è agganciata la promessa governativa di realizzare quest’anno la più netta riduzione del rapporto debito/Pil nei grandi Paesi europei. Il programma di bilancio francese, per esempio, punta a far scendere quel rapporto dell’1,8%, dal 115,3 al 113,5%. La Germania si accontenta di un taglio dell’1%: può farlo perché si tratta di passare dal 72,2% al 71,1%. L’Italia ha fissato invece un -4,1%, un taglio pari a due volte e mezzo quello francese e quattro volte quello tedesco, per atterrare a fine anno al 149,4%. Solo la Spagna mostra un obiettivo superiore a quello italiano (-4,4%): ma lo spread fra i Bonos e i Bund, che venerdì ha chiuso a 74 punti con un aumento del 19% rispetto a metà ottobre, basta da solo a misurare la differenza di peso rispetto ai BTp, che nello stesso periodo hanno visto crescere lo spread del 45% e viaggiano oggi 141 punti sopra i rendimenti tedeschi.Basterebbe crescere nel 2022 quanto dice Bankitalia invece che quanto sperava il governo a ottobre per veder evaporare circa mezzo punto di riduzione del debito/Pil. In un calcolo solo teorico che tiene conto degli stabilizzatori automatici ma non della richiesta di nuovo deficit avanzata coralmente dai partiti. Mentre la Bce ripone progressivamente l’armamentario non convenzionale della politica monetaria da pandemia e la spinta dell’inflazione spinge in archivio la lunga epoca dei tassi piatti, la relativa calma che sui mercati ha fin qui circondato i nostri titoli di Stato ora non più coperti integralmente dall’ombrello di Francoforte nelle emissioni nette si spiega in gran parte con le garanzie offerte dal governo di unità nazionale affidato a Mario Draghi 11 mesi fa. Che secondo i programmi concordati con gli altri Paesi Ue dovrebbe ora accompagnare il rispetto dei 7 obiettivi al mese fissati nel primo semestre 2022 per ottenere i 24,1 miliardi (11,5 di sussidi e 12,6 di prestiti) della rata Pnrr di giugno. E dovrebbe far crescere del 23,6% rispetto all’anno scorso gli investimenti fissi lordi realizzati dai ministeri e dalle altre amministrazioni statali. Già la vigilia dell’appuntamento con i grandi elettori sembra in realtà aver rallentato la corsa, in area Pnrr e non solo. In Senato è ferma la prima legge sulla concorrenza che, approvata dal governo dopo molte discussioni, dovrebbe diventare secondo i piani un appuntamento annuale. Alla Camera attende invece di partire la discussione sulla delega fiscale, con i 454 emendamenti dei gruppi che hanno superato l’esame di ammissibilità. Mentre sulle pensioni, che senza un nuovo intervento vedranno il ritorno pieno della legge Fornero dal 1° gennaio 2023, il confronto prosegue tranquillo sui tavoli tecnici (nuove riunioni sono in programma il 27 gennaio e il 3 febbraio). In attesa di decisioni politiche che hanno bisogno di un governo. E di una maggioranza disponibile a condividere le scelte.

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