STUPIDA RAZZA

lunedì 31 gennaio 2022

Gas, l’Europa rischia anche con lo scudo della Casa Bianca

 



Stati Uniti e Russia si stanno preparando per una guerra del gas. Una guerra senza esclusione di colpi, con strategie che prendono in considerazione persino l’ipotesi di un azzeramento delle forniture da Mosca, col rischio di lasciare sul terreno come prima vittima l’Europa. Entrambe le potenze sono consapevoli della grave crisi energetica che stiamo sopportando e del fatto che Gazprom soddisfa oltre un terzo del nostro fabbisogno di gas. Eppure non escludono la possibilità di una chiusura totale dei rubinetti, che sia dovuta a gravi danni alle infrastrutture in caso di operazioni militari, alle sanzioni draconiane minacciate da Washington in caso di invasione dell’Ucraina o a un estremo atto di ritorsione inflitto dal Cremlino: sviluppo improbabile, salvo una vocazione da kamikaze, visto che alla Russia l’export di gas – quasi tutto diretto in Europa – nel 2021 ha fruttato 61,8 miliardi di dollari (si sale a 240,7 miliardi, metà delle esportazioni totali, con petrolio e derivati). Eppure, benché forse solo per dar sfoggio di potenza, Mosca ha parcheggiato un enorme rigassificatore galleggiante – la nave Marshal Vasilevskiy – davanti a Kaliningrad, exclave russa racchiusa tra Polonia e Lituania, che rischierebbe di non poter rifornire con un blocco dei gasdotti verso l’Europa. L’ex città prussiana di Königsberg, che ha dato i natali a Kant, ospita anche la flotta russa del Baltico, potenziata di recente. Missili e metaniere insomma. Ma anche gasdotti. Perché al largo di Kaliningrad passano i tubi del Nord Stream 2, designato dagli Usa come bersaglio prioritario di sanzioni. Il presidente Joe Biden sta cercando di portare dalla sua parte anche l’Unione europea e in particolare la Germania. E quasi certamente approfitterà della prima visita alla Casa Bianca del neo cancelliere tedesco Olaf Sholz, messa in agenda il 7 febbraio. Ma lo stop a Nord Stream 2 sarebbe il male minore per l’Europa. Washington sta delineando scenari ben più drastici, compresa un’interruzione totale dei flussi di gas russo, da cui è convinta – a dispetto delle valutazioni di qualunque analista – di poterci schermare. C’è un piano al quale il dipartimento di Stato Usa lavora da settimane e che ormai non è più un segreto: è stata la stessa Casa Bianca a confermare le voci, mettendo a disposizione due «alti funzionari dell’amministrazione» coperti da anonimato per chiarire che cosa bolle in pentola. In sintesi Washington sta cercando «Paesi e società in giro per il mondo» disposti a darci più gas per sopravvivere a un ulteriore calo, se non addirittura azzeramento, delle forniture russe. Una delle prime porte a cui ha bussato, per «capire la capacità e la volontà di aumentare temporaneamente la produzione di gas e allocare questi volumi a clienti europei», è quella del Qatar, colosso del Gnl, che però oggi vende per tre quarti in Asia e quasi tutto su base contrattuale. L’emiro Tamim bin Hamad al-Thani vedrà comunque Biden alla Casa Bianca lunedì e forse qualcosa riuscirà a offrire. Quello che sembra sfuggire è l’enormità della sfida di sostituire il gas russo. Solo con il Gnl è impossibile, avverte Nikos Tsafos, del Center for Strategic and International Studies (Csis) di Washington: «La Russia l’anno scorso ha inviato in Europa circa 180 miliardi di metri cubi di gas, mentre al loro picco le importazioni di Gnl hanno raggiunto 120 miliardi». A gennaio potremmo vedere un nuovo record mensile e in futuro forse batterlo, ma la capacità di rigassificazione non è infinita anche se in teoria ci permetterebbe di coprire il 40% della domanda (in tutto vale 237 miliardi di metri cubi, che oggi utilizziamo al 75%). Inoltre i terminal per il Gnl non sono distribuiti in modo uniforme, ricorda Tsafos: il 30% è in Spagna, un quinto in Gran Bretagna. «Il gas va spostato in giro e non sarà facile». Ma i problemi non sono finiti. La ricerca di fornitori alternativi alla Russia è su scala globale, precisano i funzionari Usa, «da Nord Africa e Medio Oriente ad Asia e Stati Uniti». Però serve gas che «se necessario» arrivi in Europa «in una o due settimane»: tempi stretti, che mettono fuori gioco un big come l’Australia, ma forse anche gli stessi Usa, a meno di impiegare metaniere già in viaggio. Comunque sia, gran parte dei carichi – di qualunque origine – ha già un padrone, magari in Asia, che potrebbe non prestarsi a rinunciare alla consegna per aiutarci. Gli Usa dicono che basta mettere insieme «piccoli volumi da una moltitudine di fonti», magari cambiando i piani di produzione. Ma quasi tutti gli impianti di liquefazione, salvo difficoltà tecniche, stanno già lavorando ai massimi per godere dei prezzi record. Lo stesso vale per le forniture via gasdotto: solo l’Algeria forse potrebbe aprire di più i rubinetti, ma i transiti dal Marocco andrebbero riattivati. La Norvegia non riuscirebbe ad accelerare molto, tanto meno Libia e Azerbaijan. Resta l’Olanda, se il Governo (come ha già detto di voler fare) darà il permesso di aumentare le estrazioni nel mega giacimento di Groningen, comunque condannato a chiudere.

Nessun commento:

Posta un commento