Non vi è solo l’incognita
politica legata all’esito della
partita sul Quirinale, con
annesso il destino del governo e
della legislatura, a indurre il
presidente del Consiglio, Mario
Draghi e il ministro dell’Economia,
Daniele Franco alla massima
prudenza su un nuovo scostamento
di bilancio a più riprese richiesto da
diversi settori della maggioranza.
Pesano almeno un’altra serie di
fattori concomitanti: il timore che
un nuovo ricorso all’indebitamento
possa indebolire la posizione
negoziale del nostro Paese in sede
europea nella trattativa (peraltro
solo alle prime battute) sulla
revisione del Patto di stabilità, cui
vanno ad aggiungersi altri due
elementi. Il primo è che l’asse
Roma-Parigi, così come delineato
dall’iniziativa congiunta assunta da
Draghi e dal presidente francese
Emmanuel Macron, abbia bisogno
di consolidarsi da qui ai prossimi
mesi con un’intesa che raccolga il
consenso del neo cancelliere
tedesco Olaf Scholz e del premier
spagnolo Pedro Sanchez. Solo così
si potrà puntare a un ragionevole
compromesso con i paesi “frugali”,
in vista della scadenza del triennio
di sospensione delle regole di
bilancio europee. Ma prima di tutto
occorrerà attendere l’esito delle
presidenziali francesi in
programma ad aprile. Il secondo ha
a che fare con l’andamento
dell'economia. Secondo la Banca
d’Italia, il Pil del 2022 dovrebbe
attestarsi attorno al 3,8%, contro il
4,7% previsto dal Governo nel suo
profilo programmatico. Ma al
momento, è arduo prevedere come
andrà, stante l’incognita politica,
l’andamento della pandemia,
l’impatto dell'impennata del costo
dell’energia e delle materie prime, la
ripresa dell'inflazione. Se fosse
necessario rivedere al ribasso le
stime di crescita per l'anno in corso
e gli anni a venire, occorrerebbe
ricalibrare anche il percorso di
rientro dal debito. E non è
questione secondaria. Anche se –
come pare probabile – il timing di
riduzione sarà rivisto rispetto alla
vecchia disciplina di bilancio che ne
imporrebbe il taglio di un
ventesimo l’anno, sarebbe
complicato sedersi al tavolo delle
trattative con un debito che (per
effetto della minore crescita e del
rialzo dei tassi che prima o poi
investirà anche l’Europa) non
risultasse proiettato verso una
credibile traiettoria di rientro. Sullo
sfondo permangono le incertezze
sul destino del Pnrr in un anno in
cui sono in gioco 40 miliardi di
fondi europei da ottenere grazie a
66 riforme e 102 obiettivi da
raggiungere. È da mettere nel conto
una possibile reazione negativa dei
mercati, qualora il quadro che
emergerà dal passaggio politico-
istituzionale in corso non sia
ritenuto sufficientemente
tranquillizzante dal punto di vista
della stabilità del governo, in un
anno preelettorale in cui la spinta a
ricorrere all’aumento della spesa si
farà più pressante. Il rispetto degli
impegni assunti con il Piano
nazionale di ripresa e resilienza è
decisivo – ecco l’altra
preoccupazione di Draghi e Franco
– per il successo dell’intera
operazione messa in campo con il
Next Generation EU anche in vista
di una sua auspicabile (ma per ora
solo ipotetica) stabilizzazione come
strumento ordinario di politica
economica dell’Unione.
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