STUPIDA RAZZA

domenica 23 gennaio 2022

La grande crisi dell’America ha una storia lunga 40 anni e un futuro tutto da scrivere

 

A circa un anno dalla risicata vittoria
elettorale di Joe Biden su Donald
Trump, gli Stati Uniti rimangono in
bilico. Diversi scenari politici sono
ancora possibili. Si va dalla graduale
riforma di politica ed economia, che
Biden sta portando avanti, fino alla sovversione dei
risultati elettorali e dell’ordine costituzionale tentati
da Trump nel gennaio del 2021 e che il Partito
repubblicano intende ancora perseguire.
Non è facile diagnosticare esattamente il male che
affligge così in profondità l’America da istigare il
movimento di Trump. Sono gli incessanti conflitti
culturali che dividono l’America su temi come
discriminazione razziale, religione e ideologia? È
forse l’aumento senza precedenti delle
disuguaglianze di censo e di potere? È il venir meno
del dominio globale dell’America, con l’ascesa della
Cina e i ripetuti disastri delle guerre guidate e volute
dagli Stati Uniti che ha portato la nazione a sentirsi
angosciata, frustrata e confusa?
Tutti questi fattori sono in gioco
nella tumultuosa politica
americana. Tuttavia, dal mio
punto di vista, la crisi più
profonda è quella politica, ovvero
il fallimento delle istituzioni
statunitensi volte a «promuovere
il benessere generale», come
promette la Costituzione. Negli
ultimi quattro decenni la politica
americana è diventata un gioco
riservato a pochi eletti intenti a
premiare i super ricchi e le lobby
industriali a discapito della
maggioranza della popolazione.
L’1% prima di tutto
Warren Buffett colse l’essenza della crisi nel 2006.
«È vero, stiamo attraversando una stagione di lotta
di classe – ha detto – ma è la classe a cui appartengo,
la classe ricca, che sta facendo la guerra. E stiamo
vincendo».
Il principale campo di battaglia è Washington. Le
truppe d’assalto sono i lobbisti che s’insinuano nel
Congresso degli Stati Uniti, nei dipartimenti federali
e nelle agenzie amministrative. Le munizioni sono i
miliardi di dollari che si stimano vengano spesi ogni
anno nel lobbying a livello federale (3,5 nel 2020) e
nei contributi elettorali (14,4 solo nelle scorse
elezioni). I propagandisti della guerra di classe sono
i media, con alla testa il mega-miliardario Rupert
Murdoch.
Circa 2.500 anni fa, Aristotele osservò che il buon
governo può diventare cattivo attraverso un
malfunzionamento dell’ordine costituzionale. Le
repubbliche governate dallo stato di diritto possono
diventare governi populisti od oligarchici guidati da
una classe di poche persone corrotte o dalla tirannia di un’unica persona. L’America si trova di fronte a

questi possibili tragici scenari a meno che il sistema
politico non riesca a distaccarsi dall’enorme livello
di corruzione delle lobby aziendali e delle campagne
di finanziamento da parte dei ricchi.
La guerra di classe contro i poveri non è nuova, ma
fu dichiarata per la prima volta all’inizio degli anni
70 ed è stata perseguita con brutale efficienza negli
ultimi 40 anni. Per circa tre decenni – ovvero
dall’insediamento del presidente Franklin Delano
Roosevelt nel 1933 durante il periodo della Grande
depressione fino al periodo Kennedy-Johnson
tra il 1961-68 – l’America ha seguito grossomodo
lo stesso percorso di sviluppo dell’Europa
occidentale dopo la Seconda guerra mondiale per
diventare una forma di socialdemocrazia. Le
disuguaglianze di reddito si stavano riducendo e
sempre più gruppi sociali, tra cui principalmente
gli afroamericani e le donne, stavano entrando
nella vita politica ed economica.
Poi è arrivata la vendetta dei
ricchi. Nel 1971, un avvocato
aziendale, Lewis Powell, delineò
una strategia per invertire le
tendenze di impronta
socialdemocratica che
sostenevano una
regolamentazione ambientale più
stringente, i diritti dei lavoratori e
un regime di tassazione più equo,
contro cui le grandi aziende si
opponevano. Proprio nel 1971, il
presidente Richard Nixon
nominò Powell giudice presso
la Corte suprema degli Stati Uniti.
Il suo mandato prese il via
all’inizio dell’anno successivo, il che gli permise
di mettere in pratica il suo piano.
Scacco in tre mosse
Dietro la spinta di Powell, la Corte suprema
spalancò le porte della politica ai soldi del grande
business. Il caso Buckley v. Valeo (1976) portò
all’eliminazione dei limiti a livello federale alle
spese per le campagne da parte dei candidati e dei
gruppi indipendenti, in quanto violazioni della
libertà di espressione. Nel caso First National Bank
of Boston v. Belotti (1978) Powell stesso scrisse la
sentenza, dichiarando che le spese aziendali a
sostegno della politica erano da considerarsi delle
forme di libertà di espressione e che come tali non
potevano essere soggette a limiti. L’attacco della
Corte ai tetti di spesa delle campagne culminò nel
caso Citizens United v. Federal Elections Commission
(2010) che di fatto eliminò tutti i limiti alle spese
corporate a sostegno della politica federale.
Quando Ronald Reagan divenne presidente nel 1981,
rafforzò l’attacco della Corte suprema al sistema di
welfare, riducendo le tasse sui ricchi, contrastando e organizzazioni sindacali e facendo passi indietro
sulla tutela ambientale. A oggi non c’è ancora stata
un’inversione di tendenza su questo fronte.
Di conseguenza, gli Stati Uniti si sono differenziati
dall’Europa in termini di moralità economica,
benessere e tutela ambientale. Mentre l’Europa
ha tendenzialmente continuato un percorso
socialdemocratico e di sviluppo sostenibile,
gli Stati Uniti ne hanno imboccato uno fatto di
corruzione politica, accentramento del potere,
aumento del divario tra ricchi e poveri, disprezzo
per l’ambiente e rifiuto di contrastare i cambiamenti
climatici prodotti dall’uomo.
Alcune cifre confermano queste differenze.
I governi dell’Unione europea registrano entrate in
media pari a circa il 45% del Pil, contro più o meno il
31% americano. I governi europei pertanto sono in
grado di coprire le spese per l’accesso universale alla
sanità, all’istruzione superiore, per il sostegno alle
famiglie e la formazione professionale, mentre gli
Stati Uniti non garantiscono questi servizi. La
classifica del World happiness report colloca i
cittadini europei ai vertici in termini di
soddisfazione per la propria vita, mentre gli
americani sono solo al 19esimo posto. Nel 2019,
l’aspettativa di vita nella Ue era pari a 81,1 anni,
contro i 78,8 degli Stati Uniti (che nel 1980
registravano un’aspettativa di vita superiore
all’Ue). Nel 2019, in Europa occidentale la
percentuale del reddito nazionale in capo all’1% più
ricco dei nuclei familiari era pari all’11% contro il
18,8% degli Stati Uniti. Infine, nel 2019, gli americani
hanno emesso 16,1 tonnellate di CO2 a testa, contro
le 8,3 tonnellate degli europei.
In breve, gli Stati Uniti sono diventati un Paese di
ricchi, fatto dai ricchi per i ricchi senza alcuna
assunzione di responsabilità per il danno
ambientale che sta infliggendo al resto del mondo.
Il risultante divario sociale ha portato a un’epidemia
di Morti per disperazione (come recita il titolo del
libro di Anne Case e Angus Deaton edito in Italia da
Il Mulino sul crescente fenomeno delle morti per
droga e suicidi tra il proletariato Usa, ndr); alla
riduzione dell’aspettativa di vita (anche prima della
pandemia di Covid-19); e a un aumento della
percentuale dei casi di depressione, in particolar
modo tra i giovani. A livello politico, questi squilibri
hanno spinto in varie direzioni e di queste l’aspetto
più sinistro è stata l’elezione di Trump che ha
propagato falso populismo e un culto della
personalità. Aiutare i ricchi, distraendo i poveri con
la xenofobia; fomentare le culture wars e adottare
atteggiamenti da uomo forte sono i trucchi più
vetusti del manuale della demogagia, ma
continuano a funzionare sorprendentemente bene.
La forza dei venti contrari
Questo è il contesto che Biden sta cercando di
affrontare, ma i suoi successi finora sono stati
limitati e fragili. Di fatto, tutti i Repubblicani del
Congresso e un limitato ma decisivo gruppo di
Democratici (tra cui i più noti sono i senatori Joe
Manchin della West Virginia e Kyrsten Sinema
dell’Arizona) sono impegnati a impedire qualsiasi
significativo incremento delle tasse sui ricchi e sulle
imprese, ostacolando così l’aumento delle entrate
federali che sono urgentemente necessarie per
creare una società più equa e sostenibile. In questo
modo, stanno bloccando la battaglia contro il
cambiamento climatico.
Di conseguenza, all’inizio del secondo anno di
mandato di Biden, i ricchi sono ancora ben saldi al
potere, mentre continuano a esserci numerosi
ostacoli in ogni direzione contro una tassazione
equa, un aumento della spesa sociale, la tutela
del diritto di voto e dell’ambiente. Tutti aspetti che
sono invece urgentemente necessari. Biden
potrebbe ancora mettere a segno qualche modesta
vittoria poi fare altri progressi negli anni a venire
sulla base di questi successi. È questo che vuole
l’opinione pubblica. Circa due terzi degli americani
sono a favore di un aumento delle tasse
sui ricchi e sulle grandi corporation.
Tuttavia, c’è la concreta possibilità che gli inciampi
di Biden quest’anno possano aiutare i Repubblicani
a prendere il controllo di una o di entrambe le
camere del Congresso. Un simile scenario
metterebbe fine alle riforme legislative almeno fino
al 2025 e potrebbe persino portare a un ritorno al
potere di Trump con le elezioni presidenziali del
2024, tra disordini sociali, violenza, propaganda
mediatica e soppressione del voto negli Stati
controllati dai Repubblicani.
Il tumulto che attraversa l’America ha implicazioni
negative a livello internazionale. Gli Stati Uniti non
possono promuovere riforme a livello globale, se
non sono neanche in grado di governare se stessi.
Forse, l’unica cosa che unisce gli americani oggi è il
nervosismo per il senso di minaccia proveniente
dall’estero, soprattutto dalla Cina. In questa
America allo sbando, i politici di entrambi i partiti
hanno inasprito la retorica anti-cinese, come se una
nuova Guerra fredda potesse in qualche modo
alleviare le inquietudini che attraversano il Paese.
Purtroppo invece l’unica cosa che la belligeranza
bipartisan di Washington produrrà è un incremento
della tensione globale e nuovi pericoli di conflitto
(su Taiwan, ad esempio) anziché sicurezza o
soluzioni reali ai problemi globali urgenti.
Gli Stati Uniti non sono tornati quelli di un tempo,
almeno non ancora. Sono ancora nel pieno della
lotta per contrastare decenni di corruzione politica
durante i quali i bisogni della società sono stati
trascurati. L’esito del confronto è ancora incerto e le
prospettive per gli anni a venire sono piene di
pericoli sia per gli Stati Uniti che per il mondo.

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