STUPIDA RAZZA

mercoledì 26 gennaio 2022

Il delicato equilibrio tra diritti e innovazione dell’Europa digitale

 

L’ approvazione del Digital services act (Dsa) segna una evoluzione nella governance europea dei contenuti digitali, e solo per certi versi si pone in continuità rispetto al regime di esenzione di responsabilità degli intermediari online definito dalla direttiva e-Commerce del 2001. Un secolo nel mondo dei bit. Pur mantenendo il menzionato regime di esenzione di responsabilità, la proposta pone l’accento sulla dimensione procedurale dell’attività di moderazione. Non sorprende trovare, tra le nuove regole, meccanismi che cercano di assicurare maggiore trasparenza nella moderazione attraverso tecnologie algoritmiche nonché, per le piattaforme considerate «very large», di valutazione del rischio, secondo un modello che richiama quello del Gdpr e dell’Artificial intelligence act. Il punto che risulta centrale nella proposta è costituito dall’accento su una maggiore responsabilizzazione degli intermediari. Più che di una riforma sostanziale del regime degli intermediari online, le misure proposte dal Dsa tendono a richiedere una soglia più alta di accountability nell’attività di moderazione dei contenuti. A dimostrare questo punto contribuisce non solo la scelta di seguire il percorso tracciato dalla direttiva e-Commerce basata sul regime di esenzione di responsabilità a favore delle piattaforme, ma anche il rinnovato meccanismo di notice and action. Quest’ultimo non si focalizza solo sulla rimozione dei contenuti del notice and take down, ma richiede agli intermediari di prevedere meccanismi procedurali al fine di garantire che la rimozione – o, meglio, la moderazione – dei contenuti non risponda solo a esigenze di natura privatistica, ma anche al rispetto dei diritti fondamentali, in particolare la libertà di espressione. Qui si affronta una questione centrale nella proposta normativa, ossia l’allineamento tra interessi privati e tutela dei diritti fondamentali. In particolare, il Dsa richiede agli intermediari che rispettino la libertà di espressione, il pluralismo dei media e gli altri diritti sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Ue. Tuttavia, nonostante l’accento sulla tutela della libertà di espressione, il Dsa non mira a un approccio assolutistico, come negli Stati Uniti, ma menziona il rispetto di altri diritti fondamentali, riflettendo di conseguenza quell’operazione di bilanciamento, alla luce del principio proporzionalità. La struttura portante della proposta tuttavia solleva interrogativi riguardo alla rimozione di contenuti che possono essere nocivi, ma non illegali. Il Dsa non sembra limitarsi alla moderazione di contenuti contrari alla normativa rilevante, ma anche quelli legali ma ritenuti nocivi, come nel caso della disinformazione. In quell’ottica di bilanciamento già menzionata, verrebbe quindi a mancare il principio di legalità quale condizione che impone la presenza di una base giuridica al fine di interferire con la tutela della libertà di espressione. In questo caso, il rischio derivante dall’approccio introdotto dal Dsa è costituito da un depotenziamento del principio di rule of law e dell’emersione di standard che vengono definiti da soggetti privati. Nonostante la rilevanza del punto, è opportuno osservare come il Dsa introduca dei meccanismi che controbilanciano la discrezionalità degli intermediari, secondo una logica che riconosce la necessità di maggiore accountability in base alla definizione di «very large online platforms». Non è un caso che solo tali attori saranno chiamati a introdurre ulteriori meccanismi procedurali quali la valutazione dei rischi sistemici che derivano dalla moderazione dei contenuti, nonché audit indipendenti. Giova osservare che un tale approccio al rischio sembra richiamare quello di altre misure europee, in primis il Gdpr, che lascia al titolare del trattamento ampi margini di discrezionalità nella definizione delle misure che dimostrino il rispetto dei princìpi generali. In questo scenario, a metà tra una dimensione pubblicistica e una privatistica, i codici di condotta svolgono un ruolo centrale. Il Dsa prevede che la Commissione e il Consiglio incoraggino la redazione di tali codici su base volontaria, tenuto conto delle sfide specifiche derivanti dalla eterogeneità dei contenuti illegali o nocivi. Si tratta di un punto cruciale che definirà il percorso di co-regolamentazione, contribuendo a mitigare il rischio di far leva su approcci che siano basati su hard regulation o self-regulation. Potrebbe essere lo strumento per regolamentare quella estesa zona grigia di ciò che nel digitale non è illegittimo, ma ha un elevato potenziale di nocività, ponendo spesso problematiche di carattere etico e valoriale. L’approvazione del Dsa è una conferma del percorso cooperativo che mira a plasmare il futuro digitale europeo, contemperando impatto propulsivo sull’innovazione e tutela dei diritti. Se contemperamento deve essere, deve passare per la natura procedurale del costituzionalismo digitale.

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