STUPIDA RAZZA

domenica 30 gennaio 2022

Solo vuoti d’aria o vera crisi? Perché la Borsa impazzisce

 

In quel caso la crisi di Borsa rischierebbe di avvitarsi, mettendo banche centrali ed economia al muro. Ma per ora questo livello ancora pare lontano. Fed permettendo.

SONO GIA' AL MURO !

Ormai la faccenda si fa seria: con i ripetuti crolli delle Borse, pur seguiti da vertiginosi ma sporadici rimbalzi, anche i più incalliti ottimisti iniziano a porsi qualche domanda. Una soprattutto: siamo di fronte a un fisiologico ritracciamento degli indici, che erano un po’ troppo esuberanti soprattutto nel settore tecnologico, oppure siamo all’alba di un vero cambio di rotta e di una vera caduta? Insomma: una pausa o festa finita? Sul mercato, tra gli operatori, resta un discreto ottimismo: la maggioranza resta convinta che il 2022 sarà un anno positivo per le Borse, pur con alti e bassi e con performance modeste. Ma dato che nessuno ha la sfera di cristallo, l’unica cosa da fare per dare una risposta a quella domanda è di cercare dati e indicatori che facciano pendere la bilancia o verso il «ritracciamento fisiologico» oppure verso lo scenario peggiore del cambio di rotta. Il Sole 24 Ore l’ha fatto. E il risultato finale è solo parzialmente tranquillizzante: per ora sono maggiori gli indicatori che fanno sperare in un normale ritracciamento, ma ne stanno emergendo alcuni più preoccupanti. Due soprattutto: il rallentamento (per ora abbozzato) dell’economia e alcuni fattori tecnici in grado di far “impazzire” gli algoritmi. I fondi non vendono Per capire cosa stia accadendo in Borsa bisogna prima cercare di analizzare chi stia vendendo in queste giornate convulse. Per farlo viene in aiuto un report che JP Morgan realizza ogni mese, pubblicato il 20 gennaio. A quella data, le cifre raccolte dalla banca Usa la facevano giungere alla conclusione che «per ora la fuga dal rischio degli investitori è decisamente modesta rispetto a quanto accadde nel 2018». Il paragone con il dicembre 2018 è molto in voga in questi giorni: quello fu l’anno in cui il presidente della Fed disse che avrebbe ridotto il bilancio «con il pilota automatico», facendo scatenare la furia distruttiva dei mercati fino a che la stessa Fed non fece marcia indietro. Ebbene: secondo JP Morgan oggi la situazione è più tranquilla. Non c’è stato ancora un inizio di vero de-risking da parte degli investitori. Almeno fino al 20 gennaio, prima dei crolli di degli ultimi giorni. JP Morgan arriva a questa conclusione incrociando una molteplicità di dati. Se si guarda il posizionamento dei fondi e dei grandi investitori, si nota che la suddivisione dei loro portafogli tra cash, azioni e bond è tutt’ora simile a quella di inizio anno. Non hanno insomma cambiato in maniera significativa l’allocazione dei capitali tra le varie asset class. E la conferma arriva anche dalle testimonianze di alcuni gestori. Cosa molto diversa da ciò che accadde nel 2018, quando ci fu una vendita massiccia di azioni: «Oggi - scrive JP Morgan - i fondi restano molto sovrappesati sul mercato azionario». Il motivo forse principale di questa stabilità dei grandi investitori lo spiega Filippo Casagrande, head of insurance investment solutions di Generali: «Fintanto che i rendimenti reali del titoli di Stato restano negativi è difficile che ci sia una vero cambiamento di allocazione nei portafogli, e quindi grandi cambiamenti nella risk appetite degli investitori istituzionali. In un contesto di tassi nominali ancora bassi e reali negativi, gli investitori tenderanno a puntare su asset più rischiosi con prospettive di maggiore redditività come le azioni e i mercati dei private asset». Un po’ più significative sono invece le posizioni speculative: sebbene a Wall Street la fuga dal rischio al 20 gennaio fosse ancora modesta, sul Nasdaq - calcola JP Morgan - era più marcata. Ma questo in fondo avvalora la tesi della temporaneità dei crolli: la speculazione è di breve periodo per definizione. Il ruolo di retail e buyback Un altro indicatore che avvalorerebbe la tesi del calo temporaneo è il ruolo dei piccoli risparmiatori. Nell’ultimo anno in Usa sono stati una componente fondamentale del rally, grazie anche ai soldi elargiti dal Governo per la pandemia. Ora - calcola sempre JP Morgan incrociando vari dati - si stanno tirando indietro. Sono vari indicatori a segnalarlo: lo si vede dal mercato delle opzioni (molto usato dai retail), dalle posizioni su singole azioni tech, dai panieri delle azioni più gettonate dai retail. Questo ha contribuito ai crolli, lasciandoli però nel campo del temporaneo ritracciamento: i risparmiatori sono notoriamente più volubili, ma difficilmente cambiano i trend di Borsa da soli. Stesso discorso per i buyback, come spiega Antonio Cesarano, chief global strategist di Intermonte: «In questo periodo di trimestrali in Usa le società devono sospendere i buyback azionari per poi riattivarli poco dopo la pubblicazione dei dati. Questo tradizionale sostegno alla Borsa ora è dunque in parte temporaneamente assente». Ma solo per ora. Il crollo recente: gli algoritmi Quest’ultima settimana, però, la situazione potrebbe essere cambiata. I crolli, seguiti da improvvisi rimbalzi, sono stati molto più pronunciati e generalizzati: ha sofferto molto anche l’Europa e i settori più ciclici che erano stati risparmiati dai cali in precedenza. Non esistono dati abbastanza freschi per capire come si siano mossi i grandi capitali rispetto alla fotografia scattata da JP Morgan il 20 gennaio. Ma una cosa si può dire: «Le cadute vertiginose di questi ultimi giorni e i veloci cambi di rotta indicano che ad agire sono stati soprattutto gli algoritmi - testimonia Matteo Ramenghi, chief investment officer di Ubs Wm -. Gli algoritmi solitamente producono violenti assestamenti sui listini, che però durano poco». Questo potrebbe dunque essere un altro indizio favorevole per la tesi del ritracciamento temporaneo: se sono stati gli alogoritmi a vendere, allora la bufera potrebbe durare poco. Giusto il tempo di ribilanciare i loro portafogli. I due fattori critici Tutto questo cauto ottimismo, però, può essere spazzato via da due elementi: un’improvvisa caduta dell’economia (causata magari da uno shock energetico per effetto della crisi in Ucraina o dalla stretta Fed) e/o il via a vendite automatiche e a tutti quei meccanismi tecnici autodistruttivi che i mercati hanno mostrato per esempio nel febbraio 2020. L’andamento dell’economia è cruciale: la rotazione settoriale che ha tenuto in piedi le Borse anche durante i cali delle scorse settimane (cioè vendite sui tech e acquisti sui titoli ciclici e old economy) è basata sulla narrazione che l’economia continui a crescere. Ma se questo non accade, allora la fuga degli investitori potrebbe colpire anche i settori legati al ciclo economico. Con un vero de-risking generalizzato. Lo teme Keith Wade, Chief Economist e Strategist di Schroders, secondo il quale «Omicron rischia di spingere gli Usa e l’economia mondiale verso uno scenario di stagflazione». Lo teme anche Jon Maier, Cio di Global X. Altri sono invece più ottimisti, come Thomas Hempell, Head of Macro & Market Research di Generali Investment: «La ripresa globale continua e gli utili societari crescono ulteriormente (anche se più lentamente), per cui la recente correzione offrirà opportunità di acquisto». Vedremo chi ha ragione. Certo è che una frenata economica, se le banche centrali non tornassero subito espansive, andrebbe a colpire la narrazione dominante oggi in Borsa. L’altro tema delicato è quello degli algoritmi e dei meccanismi automatici di vendite. Fintanto che i trader automatici aggiustano i portafogli, non è un dramma. Ma se la volatilità restasse elevata (il Vix è salito oltre i 30 punti), allora potrebbero scattare le vendite forzate di tanti fondi (per esempi i risk parity) che hanno l’obbligo di tenere un certo livello di volatilità. Questo farebbe forse scattare i «margin call» (reintegro dei margini) sui debiti degli investitori (secondo i dati di Yardeni stanno calando ma restano pari al 2,3% della capitalizzazione di Wall Street) e ulteriori vendite automatiche. In quel caso la crisi di Borsa rischierebbe di avvitarsi, mettendo banche centrali ed economia al muro. Ma per ora questo livello ancora pare lontano. Fed permettendo.

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