In quel caso la crisi di Borsa rischierebbe di avvitarsi, mettendo banche centrali ed economia al muro. Ma per ora questo livello ancora pare lontano. Fed permettendo.
SONO GIA' AL MURO !
Ormai la faccenda si fa seria: con i ripetuti crolli delle Borse, pur seguiti da
vertiginosi ma sporadici rimbalzi, anche i più incalliti ottimisti iniziano a
porsi qualche domanda. Una soprattutto: siamo di fronte a un fisiologico
ritracciamento degli indici, che erano
un po’ troppo esuberanti soprattutto
nel settore tecnologico, oppure siamo
all’alba di un vero cambio di rotta e di
una vera caduta? Insomma: una pausa o festa finita? Sul mercato, tra gli
operatori, resta un discreto ottimismo: la maggioranza resta convinta
che il 2022 sarà un anno positivo per le
Borse, pur con alti e bassi e con performance modeste.
Ma dato che nessuno ha la sfera di
cristallo, l’unica cosa da fare per dare
una risposta a quella domanda è di
cercare dati e indicatori che facciano
pendere la bilancia o verso il «ritracciamento fisiologico» oppure verso lo
scenario peggiore del cambio di rotta.
Il Sole 24 Ore l’ha fatto. E il risultato finale è solo parzialmente tranquillizzante: per ora sono maggiori gli indicatori che fanno sperare in un normale ritracciamento, ma ne stanno
emergendo alcuni più preoccupanti.
Due soprattutto: il rallentamento (per
ora abbozzato) dell’economia e alcuni
fattori tecnici in grado di far “impazzire” gli algoritmi.
I fondi non vendono
Per capire cosa stia accadendo in Borsa bisogna prima cercare di analizzare
chi stia vendendo in queste giornate
convulse. Per farlo viene in aiuto un
report che JP Morgan realizza ogni
mese, pubblicato il 20 gennaio. A
quella data, le cifre raccolte dalla banca Usa la facevano giungere alla conclusione che «per ora la fuga dal rischio degli investitori è decisamente
modesta rispetto a quanto accadde
nel 2018». Il paragone con il dicembre
2018 è molto in voga in questi giorni:
quello fu l’anno in cui il presidente
della Fed disse che avrebbe ridotto il
bilancio «con il pilota automatico»,
facendo scatenare la furia distruttiva
dei mercati fino a che la stessa Fed non
fece marcia indietro. Ebbene: secondo
JP Morgan oggi la situazione è più
tranquilla. Non c’è stato ancora un inizio di vero de-risking da parte degli
investitori. Almeno fino al 20 gennaio,
prima dei crolli di degli ultimi giorni.
JP Morgan arriva a questa conclusione incrociando una molteplicità di
dati. Se si guarda il posizionamento
dei fondi e dei grandi investitori, si
nota che la suddivisione dei loro portafogli tra cash, azioni e bond è tutt’ora simile a quella di inizio anno.
Non hanno insomma cambiato in
maniera significativa l’allocazione dei capitali tra le varie asset class. E la
conferma arriva anche dalle testimonianze di alcuni gestori. Cosa molto
diversa da ciò che accadde nel 2018,
quando ci fu una vendita massiccia di
azioni: «Oggi - scrive JP Morgan - i
fondi restano molto sovrappesati sul
mercato azionario».
Il motivo forse principale di questa
stabilità dei grandi investitori lo spiega Filippo Casagrande, head of insurance investment solutions di Generali: «Fintanto che i rendimenti reali
del titoli di Stato restano negativi è
difficile che ci sia una vero cambiamento di allocazione nei portafogli, e
quindi grandi cambiamenti nella risk
appetite degli investitori istituzionali.
In un contesto di tassi nominali ancora bassi e reali negativi, gli investitori
tenderanno a puntare su asset più rischiosi con prospettive di maggiore
redditività come le azioni e i mercati
dei private asset». Un po’ più significative sono invece le posizioni speculative: sebbene a Wall Street la fuga
dal rischio al 20 gennaio fosse ancora
modesta, sul Nasdaq - calcola JP Morgan - era più marcata. Ma questo in
fondo avvalora la tesi della temporaneità dei crolli: la speculazione è di
breve periodo per definizione.
Il ruolo di retail e buyback
Un altro indicatore che avvalorerebbe
la tesi del calo temporaneo è il ruolo
dei piccoli risparmiatori. Nell’ultimo
anno in Usa sono stati una componente fondamentale del rally, grazie
anche ai soldi elargiti dal Governo per
la pandemia. Ora - calcola sempre JP
Morgan incrociando vari dati - si stanno tirando indietro. Sono vari indicatori a segnalarlo: lo si vede dal mercato
delle opzioni (molto usato dai retail),
dalle posizioni su singole azioni tech,
dai panieri delle azioni più gettonate
dai retail. Questo ha contribuito ai
crolli, lasciandoli però nel campo del
temporaneo ritracciamento: i risparmiatori sono notoriamente più volubili, ma difficilmente cambiano i trend
di Borsa da soli.
Stesso discorso per i buyback, come spiega Antonio Cesarano, chief
global strategist di Intermonte: «In
questo periodo di trimestrali in Usa le
società devono sospendere i buyback
azionari per poi riattivarli poco dopo
la pubblicazione dei dati. Questo tradizionale sostegno alla Borsa ora è
dunque in parte temporaneamente
assente». Ma solo per ora.
Il crollo recente: gli algoritmi
Quest’ultima settimana, però, la situazione potrebbe essere cambiata. I
crolli, seguiti da improvvisi rimbalzi,
sono stati molto più pronunciati e generalizzati: ha sofferto molto anche
l’Europa e i settori più ciclici che erano stati risparmiati dai cali in precedenza. Non esistono dati abbastanza
freschi per capire come si siano mossi i grandi capitali rispetto alla fotografia
scattata da JP Morgan il 20 gennaio.
Ma una cosa si può dire: «Le cadute
vertiginose di questi ultimi giorni e i
veloci cambi di rotta indicano che ad
agire sono stati soprattutto gli algoritmi - testimonia Matteo Ramenghi,
chief investment officer di Ubs Wm -.
Gli algoritmi solitamente producono
violenti assestamenti sui listini, che
però durano poco». Questo potrebbe
dunque essere un altro indizio favorevole per la tesi del ritracciamento
temporaneo: se sono stati gli alogoritmi a vendere, allora la bufera potrebbe durare poco. Giusto il tempo di
ribilanciare i loro portafogli.
I due fattori critici
Tutto questo cauto ottimismo, però,
può essere spazzato via da due elementi: un’improvvisa caduta dell’economia (causata magari da uno
shock energetico per effetto della crisi
in Ucraina o dalla stretta Fed) e/o il via
a vendite automatiche e a tutti quei
meccanismi tecnici autodistruttivi
che i mercati hanno mostrato per
esempio nel febbraio 2020.
L’andamento dell’economia è cruciale: la rotazione settoriale che ha tenuto in piedi le Borse anche durante i
cali delle scorse settimane (cioè vendite sui tech e acquisti sui titoli ciclici e
old economy) è basata sulla narrazione che l’economia continui a crescere.
Ma se questo non accade, allora la fuga
degli investitori potrebbe colpire anche i settori legati al ciclo economico.
Con un vero de-risking generalizzato.
Lo teme Keith Wade, Chief Economist
e Strategist di Schroders, secondo il
quale «Omicron rischia di spingere gli
Usa e l’economia mondiale verso uno
scenario di stagflazione». Lo teme anche Jon Maier, Cio di Global X. Altri sono invece più ottimisti, come Thomas
Hempell, Head of Macro & Market Research di Generali Investment: «La ripresa globale continua e gli utili societari crescono ulteriormente (anche se
più lentamente), per cui la recente
correzione offrirà opportunità di acquisto». Vedremo chi ha ragione. Certo è che una frenata economica, se le
banche centrali non tornassero subito
espansive, andrebbe a colpire la narrazione dominante oggi in Borsa.
L’altro tema delicato è quello degli algoritmi e dei meccanismi automatici di vendite. Fintanto che i trader automatici aggiustano i portafogli, non è un dramma. Ma se la volatilità restasse elevata (il Vix è salito
oltre i 30 punti), allora potrebbero
scattare le vendite forzate di tanti
fondi (per esempi i risk parity) che
hanno l’obbligo di tenere un certo livello di volatilità. Questo farebbe
forse scattare i «margin call» (reintegro dei margini) sui debiti degli investitori (secondo i dati di Yardeni
stanno calando ma restano pari al
2,3% della capitalizzazione di Wall
Street) e ulteriori vendite automatiche. In quel caso la crisi di Borsa rischierebbe di avvitarsi, mettendo
banche centrali ed economia al muro. Ma per ora questo livello ancora
pare lontano. Fed permettendo.
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