STUPIDA RAZZA

giovedì 24 febbraio 2022

Borse, finale piatto: il mercato scommette su sanzioni leggere

 

Chi più, chi meno. Chi più esplicitamente, chi più velatamente. Ma sul mercato è diffusa l’idea (e non da oggi) che alla fine l’escalation diplomatico-militare tra Russia, Ucraina, Europa e Stati Uniti si possa rivelare più rumore che altro. (BINGO !) O, comunque, qualcosa che in fin dei conti potrebbe causare danni limitati all’economia e ai mercati. Lo dimostra innanzitutto l’andamento di ieri delle Borse: se in mattinata avevano aperto in deciso calo, con l’indice Stoxx 600 dei listini europei che aveva raggiunto il minimo da 7 mesi, alla fine le Borse europee hanno chiuso piatte andando anche in positivo in certi momenti della giornata: Milano -0,02%, Francoforte -0,26%, Parigi -0,01%. Tanto che alla fine è rientrata anche la corsa verso i beni rifugio, come Bund tedeschi (che hanno registrato rendimenti in lieve rialzo da 0,2% a 0,24%) e oro (poco mosso). Peggio è andata alle Borse Usa, appesantite dalle parole serali di Biden e dal riconoscimento dell’intero Donbass da parte della Russia. Ieri i mercati europei sono stati rincuorati soprattutto dal fatto che le sanzioni varate da Stati Uniti ed Europa contro la Russia si sono rivelate – almeno per ora – poca cosa rispetto  agli annunci dei giorni scorsi e dalle rassicurazioni di Putin sulla continuità delle forniture di gas. Ma in realtà è dall’inizio dell’escalation che i mercati sembrano guardare alla vicenda geopolitica senza eccessiva preoccupazione. (E SE LO DICONO I MERCATI.....!) La volatilità nei giorni scorsi è stata elevata, certo. Lunedì i ribassi sono stati consistenti, vero. Ma i mercati non sono mai sfociati nel panico. Lo dimostrano i cali tutto sommato contenuti: nell’ultima settimana, nonostante l’escalation con tutti i possibili risvolti energetici dannosi per l’Europa, le Borse europee hanno perso il 2,6%. Solo quella russa ha davvero patito questa situazione. E se si guardano i sondaggi più recenti tra i gestori e le dichiarazioni di investitori e analisti, il messaggio che emerge è sempre lo stesso: preoccupazione sì, ma contenuta. «Sebbene il rischio di conflitto sia elevato, dovrebbe avere un impatto limitato sulle Borse globali», sintetizza JP Morgan cogliendo un pensiero dominante sul mercato. Preoccupazioni contenute Gli indizi di questa relativa tranquillità sui mercati sono tanti. Innanzitutto arrivano dai sondaggi. In quello realizzato da Bank of America il 15 febbraio tra i gestori europei, il conflitto in Ucraina figurava solo al quinto posto tra i principali rischi per le Borse. A preoccuparli di più sono le banche centrali, l’inflazione, le bolle finanziarie e la recessione. (👍👍👍) Risultato analogo arriva da un altro sondaggio, realizzato da JP Morgan il 16 febbraio tra i gestori globali: l’83% degli intervistati pensa che un conflitto militare possa causare vendite sui mercati globali, ma la maggioranza di questi resta convinta che l’impatto possa restare limitato. E chiedendo loro se hanno intenzione di aumentare o diminuire l’esposizione sul mercato azionario, il 71% dei gestori ha risposto «aumentare». Preoccupazione sì, insomma, ma contenuta.Stesso risultato si ottiene se si guarda l’allocazione dei portafogli. Col calo degli ultimi tempi l’esposizione sul mercato azionario è certo diminuita, ma non in maniera significativa se paragonata ad altre situazioni ribassiste del passato. Il monitor di Deutsche Bank lo conferma: lo “scarico” di azioni è ben lontano non solo dal picco della crisi per Covid di marzo 2020, ma anche dalle passate turbolenze di gennaio 2019, del 2018 e del 2015-16. Anzi, più c’è turbolenza più qualcuno pensa che possano esserci occasioni di acquisto. (AVVOLTOI !) Lo dimostra anche il principale Etf sulla Borsa russa, che – nonostante i crolli dell’indice in questi giorni – ha registrato afflussi netti di capitali nelle ultime cinque settimane.I due scenari I casi sono due. O le Borse sottovalutano i rischi derivanti da questa escalation, che potrebbe avere un impatto pesante in Europa sul fronte energetico. Oppure le Borse hanno ragione, perché scommettono sul fatto che nessuna delle parti in causa abbia intenzione di portare le tensioni (e soprattutto le sanzioni) oltre certi livelli dato che nessuno ne uscirebbe davvero vincitore. Il punto vero è che i danni economici che potrebbero arrivare in Europa negli scenari peggiori sono tutto tranne che confortanti. Capital Economics stima che il prezzo del petrolio possa salire a 120 dollari al barile. JP Morgan fa una stima analoga, ma arriva a prevedere – nello scenario peggiore ipotizzabile – che possa addirittura arrivare a 150 dollari. In tal caso, stima la banca americana, la crescita globale verrebbe frenata nel primo semestre del 2022 dal 4,1% previsto attualmente allo 0,9% e l’inflazione arriverebbe a livello globale al 7,2%. Certo, questo è uno scenario estremo. Ma in ogni caso l’impatto di un ulteriore rincaro dell’energia (che arriva quando i prezzi sono già alle stelle) potrebbe essere significativo. Eppure sul mercato l’opinione prevalente propende per la seconda ipotesi: cioè che non si arriverà ad un’escalation tale da causare seri problemi energetici e dunque economici. Perché né la Russia né l’Europa ne hanno l’interesse. Dipenderà molto dagli Stati Uniti, ma il mercato tende a restare relativamente sereno su questo punto. Basta elencare un po’ di commenti arrivati ieri. Per esempio Mark Haefele, Cio di Ubs Global wealth management: «Sebbene sia troppo presto per trarre conclusioni, crediamo che gli scenari peggiori restino per ora relegati nel concetto di rischi estremi». «Tail risk»: qualcosa di improbabile insomma. Oppure Sean Darby, Global equity strategist di Jefferies: «Sebbene un’escalation non sia auspicabile, difficilmente potrà alterare più di tanto le variabili economiche globali». E così via. Vedremo se hanno ragione.


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