STUPIDA RAZZA

giovedì 24 febbraio 2022

Il Brent sfiora 100 dollari al barile Alluminio e nickel a prezzi record

L’escalation della crisi in Ucraina infiamma i prezzi dell’energia, proiettando il petrolio a un soffio da 100 dollari al barile: il Brent si è spinto fino a quota 99,50 dollari, in rialzo di circa il 4% rispetto a lunedì e di quasi il 30% da inizio anno, per poi concludere la seduta intorno a 97 dollari. Un passo indietro legato alla relativa rassicurazione offerta dalle prime sanzioni occidentali, che non sembrano porre ostacoli all’export di combustibili (né di altre materie prime) dalla Russia. A frenare il rally c’è anche la possibilità di un accordo imminente sul nucleare iraniano, che consentirebbe a Teheran di riportare sul mercato più di un milione di barili al giorno di greggio. Ma l’appuntamento con quotazioni del barile a tripla cifra – mai più raggiunte dal 2014 – appare solo rinviato. La domanda petrolifera corre, mentre l’offerta non riesce a tenere il passo. E le tensioni geopolitiche non fanno che aggravare il rischio di carenze: in caso di “incidenti” (che coinvolgano la Russia o meno) l’attuale capacità produttiva di riserva, quasi tutta in mano all’Arabia Saudita, potrebbe non bastare. Anche il mercato del gas intanto rimane in tensione: il prezzo ieri è balzato di oltre il 10% al Ttf per riportarsi intorno a 80 euro per Megawattora, più o meno ai livelli di inizio febbraio. Le forniture del resto continuano a scorrere indisturbate verso il mercato europeo e – purché la situazione non precipiti ulteriormente – dovrebbero continuare a farlo: in teoria anche dalla Russia, sia pure con i flussi ridotti cui siamo ormai abituati (e che oggi compensiamo con arrivi record di Gnl). Il fatto che la Germania abbia congelato l’iter autorizzativo del Nord Stream 2 ha un forte peso politico ma non incide troppo sul mercato, che aveva già scontato un rinvio a tempo indefinito dell’avvio del gasdotto nel Mar Baltico, completato da Gazprom a settembre. Inoltre la primavera avanza: presto spegneremo i termosifoni, dimezzando i consumi europei di gas, e le scorte Ue dovrebbero tornare su livelli “normali” a giorni, grazie alle importazioni di Gnl che hanno ridotto il ritmo dei prelievi. La sicurezza degli approvvigionamenti resta comunque fragile, appesa agli sviluppi della crisi in Ucraina. E per questo c’è da aspettarsi volatilità sul mercato. Il presidente russo Vladimir Putin ieri è tornato a rassicurare che Mosca «vuole continuare senza interruzioni a rifornire il mercato di gas, anche in forma di Gnl, a migliorare le relative infrastrutture e ad accrescere gli investimenti nel settore». Ma non si può escludere che ulteriori sanzioni in futuro vadano a colpire, magari in modo indiretto, le esportazioni di combustibili. Il Cremlino stesso potrebbe usare l’energia come arma per eventuali ritorsioni. E la Ue sarebbe particolarmente vulnerabile. La Russia infatti non solo soddisfa quasi il 40% del nostro fabbisogno di gas, ma è un nostro fornitore chiave anche di petrolio e derivati, oltre che di prodotti agricoli (soprattutto grano) e di molti metalli. Non a caso ieri anche alluminio e nickel hanno aggiornato i record al Lme, spingendosi rispettivamente a 3.380 dollari – massimo dal 2008 – e a 24.555 dollari per tonnellata, massimo dal 2011. Nel settore petrolifero ci sono molte Major occidentali che operano in Russia (la più esposta è Bp, che possiede il 19,7% di Rosneft, ma hanno interessi importanti anche Shell, TotalEnergie e l’americana ExxonMobil). Sono di origine russa un quarto delle importazioni europee di greggio, per un totale di circa 2,5 milioni di barili al giorno. E ancora più forte è la nostra dipendenza per i prodotti raffinati: le importazioni di diesel e altre varietà di gasolio ci arrivano addirittura per il 50-60% dalla Russia, al ritmo di 4-6 milioni di tonnellate al mese secondo Argus. Cambiare fornitore in corsa potrebbe essere non solo costoso, ma ai limiti dell’impossibile.


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