L’allargamento a Est di Europa e Nato è stato uno dei
combustibili dell’i n ce n dio
divampato in Ucraina: dal
miope espansionismo economico di Angela Merkel, al
caos nei Balcani ereditato da
Federica Mogherini. Sullo
sfondo, i moniti inascoltati
dei politologi realisti: portare l’Alleanza atlantica fino ai
confini russi avrebbe provocato una tragedia.Eravamo stati avvisati. Ce lo
avevano detto i più brillanti
studiosi di politica internazionale: portargli la Nato sulla soglia di casa avrebbe spinto Vla -
dimir Putin a scatenare la
guerra. Nella percezione del
Cremlino, per esigenze difensive, più che per ambizioni imperialiste: l’Orso, già indebolito dallo sgretolamento dell’Urss, pretendeva una cintura
di sicurezza attorno ai propri
confini. Stringerlo a tenaglia
significava indurlo a reagire
con una zampata.
Già nel 1997, il teorico del
contenimento, George Kennan, fu esplicito: allargare a
Est la Nato «sarebbe il più tragico errore della politica americana» nell’era postsovietica.
Il diplomatico, che invero, nel
1949, criticò l’idea stessa di
istituire l’Alleanza atlantica,
sapeva che l’espansione verso
Oriente avrebbe «infiammato
le tendenze nazionalistiche,
anti occidentali e militariste
nell’opinione pubblica russa»,
danneggiando il processo di
democratizzazione nella Federazione e restaurando «l’at -
mosfera della guerra fredda».
Una profezia inascoltata:
nonostante, dopo la caduta del
Muro di Berlino, Michail Gorbac iov avesse incassato l’assi -
curazione verbale che la Nato
non si sarebbe «spostata a Est
di un millimetro», l’ammini -
strazione Clinton, negli anni
Novanta, diede nuovo impulso
all’ampliamento del sodalizio
militare. All’epoca, persino il
presidente del Consiglio italiano, Romano Prodi, lucidamente invocava un approccio cauto: l’accrescimento dell’A lleanza non doveva suscitare
più tensioni di quante ne
avrebbe potute eliminare.
Niente da fare: anzitutto ci fu
la ratifica dell’ingresso di Repubblica Ceca, Ungheria, Polonia; poi, arrivarono Bulgaria,
Estonia, Lettonia, Lituania,
Romania, Slovacchia, Slovenia. Finché, nel 2008, Washington iniziò a premere per l’am -
missione di Georgia e Ucraina.
L’accelerazione di Tblisi, con
tanto di riannessione di Abcasia e Ossezia del Sud, innescò
la prima reazione armata di
Mosca. Un incidente che
avrebbe dovuto far suonare, a
Occidente, un campanello
d’allarme. Invece, Stati Uniti
ed Europa hanno continuato a
perseguire l’imprudente strategia anche con Kiev.
Nel 2014, all’indomani degli
eventi di piazza Maidan e della
destituzione del governo filorusso, fioccarono gli interventi critici della scuola realista.
John Mearsheimer, ad esempio, vergò un saggio dal titolo
eloquente: Perché la crisi
ucraina è colpa dell’O c c id e n te.
A suo parere, Putin sa rebbe
passato alle vie di fatto, occupando la Crimea, per tre motivi: primo, perché la Nato si stava trasferendo «nel giardino
della Russia»; secondo, perché
l’Ue si stava espandendo e, terzo, perché essa aveva sostenuto «il movimento pro democrazia», a partire dalla Rivoluzione arancione del 2004.
«Quando i russi guardano all’ingegneria sociale occidentale in Ucraina», scriveva Mear -
s h ei m e r, «temono che il loro
Paese possa essere il prossimo
sulla lista. E tali paure difficilmente risultano infondate».
Alla faccia del Puti n auto c rate
psicotico: «L’Ucraina svolge la
funzione di Stato cuscinetto,
che è di enorme importanza
strategica per la Russia. Nessun leader russo sarebbe rimasto immobile, mentre l’Oc -
cidente dava una mano a installare un governo determinato a integrare l’Ucraina» con
Usa ed Europa. E intravedendo
la prospettiva che la Federazione, tenuta sotto tiro da missili e truppe, fosse tagliata fuori dagli sbocchi sui mari caldi.
Il punto, osservò M ea rsh eim e r, era che «Washington può
non gradire la posizione di Mosca, ma dovrebbe comprendere la logica che c’è dietro». Ecco: «comprendere». L’alterna -
tiva è la spirale degli slogan psicologisti e moraleggianti: Pu -
ti n pazzo, dittatore, male assoluto. Sarà vero, ma ciò non esenta dal bisogno di ricorrere
all’analisi razionale.
Otto anni fa, anche Henr y
K i s s i n ge r, sul Washington Post , intervenne nel dibattito sulla crisi ucraina, aperto dall’editoriale bellicista di Zbig niew
Brzez i n s k i , consigliere per la
sicurezza nazionale durante la
presidenza di Jimmy Carter.
Con molto equilibrio, il veterano della diplomazia americana tirava le orecchie sia all’in -
quilino del Cremlino («Dovrebbe capire che, quali che
siano le sue rimostranze, una
politica di imposizioni militari produrrebbe un’altra guerra
fredda»), sia agli Usa e all’Eu -
ropa, che non potevano ignorare il legame storico e strategico di Kiev con la Russia. Kis -
s i n ge r, meno radicalmente di
M ea rs h ei me r, sosteneva che
l’Ucraina, pur non condannata
al ruolo di Stato cuscinetto, potesse essere, sì, lasciata libera
di aderire all’Ue, ma non alla
N at o.
Negli ultimi giorni, su Forei -
gn Policy, è intervenuto pure
Stephen Walt, che era stato
chiarissimo già nel 2015: allargare la Nato ai Paesi dell’ex
blocco sovietico è «un obiettivo pericoloso e non necessario». Il politologo ha contestato le perniciose ideologiche illusioni della diplomazia liberal, rimarcandone l’i n c apac i tà
di convincere Mosca delle «benevole intenzioni della Nato».
La Russia non ci ha mai creduto - e non per una perversa malizia dello zar. «I russi si guardano indietro», spiega alla Ve -
rità Germano Dottori, docente di studi strategici alla Luiss.
«Ricordano che, negli anni
Venti del Novecento, i loro soldati si addestravano con l’eser -
cito di Weimar. Poi, con i tedeschi, nel 1939, si spartirono la
Polonia. Eppure, il 22 giugno
del 1941, Adolf Hitler attac c ò
l’Unione sovietica. Le intenzioni cambiano nel tempo». E
il Cremlino non solo non vuole
offrire un vantaggio strutturale agli avversari, ma ha pure
paura dell’«esportazione del
modello delle rivoluzioni colorate». Eugenio Di Rienzo, autore, nel 2015, per Rubbettino, di
un volume sul Conflitto russoucraino: geopolitica del nuovo
dis(ordine) mondiale, sostiene
addirittura che «Puti n , in una
qualche misura, sia stato costretto a questo conflitto. Gli
era stato assicurato che non
fosse nell’agenda l’entrata dell’Ucraina nella Nato. Lui, però,
pretendeva una garanzia
scritta, pensando a quello che
era successo a G o r bac iov e paventando che l’impegno dichiarato si riducesse a un protocollo diplomatico».
Il messaggio degli esperti,
da anni, è inequivocabile: piaccia o meno il regime di Puti n ,
portare l’Alleanza atlantica alle frontiere dello zar è un azzardo. La Russia considera tale intento una minaccia esistenziale. Quel monito è stato
ignorato. Il prezzo della temeraria sfida, oggi, è il sangue.
NEL 2012 NON CI SARA' LA FINE DEL MONDO IN SENSO APOCALITTICO,MA UN CAMBIAMENTO A LIVELLO POLITICO ED ECONOMICO/FINANZIARIO. SPERIAMO CHE QUESTA CRISI SISTEMICA ,CI FACCIA FINALMENTE APRIRE GLI OCCHI SUL "PROGRESSO MATERIALE:BEN-AVERE""ECONOMIA DI MERCATO" FIN QUI RAGGIUNTO E SPERARE IN UN ALTRETTANTO "PROGRESSO SPIRITUALE:BEN-ESSERE"ECONOMIA DEL DONO,IN MODO DA EQUILIBRARE IL TUTTO PER COMPLETARE L'ESSERE UMANO:"FELICITA' NELLA SUA COMPLETEZZA".
STUPIDA RAZZA
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