È uno tsunami che ha travolto non solo
il gas, ma tutte le materie prime, a cominciare da quelle che la Commissione
europea ha identificato nel 2020 come
“critiche” (dal litio al magnesio, dalla
grafite al titanio), ribadendone la strategicità da un punto di vista economico
ma anche gli elevati rischi di approvvigionamento. E che non sono state risparmiate dall’onda lunga dei rincari:
+1.692% per il gas da aprile 2020 a dicembre dello scorso anno, +108% per
l’olio di soia, +89% per il rame. Per non
dire dell’alluminio, che ha visto crescere
le quotazioni dell’85%, mentre per lo
zucchero e il cotone lo scatto in avanti è
stato, rispettivamente, dell’88,5% e dell’84,8 per cento. Incrementi record,
quindi, per alcune materie prime, sui valori massimi da oltre 20 anni.
Ma quali sono i fattori che hanno scatenato l’impennata? A mettere in fila
cause e prospettive per l’economia europea è un report degli analisti di Cdp (“Cosa succede alle materie prime”). Che riconduce l’andamento dei prezzi a un
mix di fattori legati non solo alla geopolitica (in primis la crisi Russia-Ucraina).
Tra le ragioni che hanno spinto le quotazioni delle materie prime, lo studio di
Cassa indica innanzitutto lo squilibrio
tra l’aumento della domanda di materie
prime e semilavorati, generato dalla repentina ripresa (🤣🤣🤣) seguita all’allentamento
delle misure di contenimento della pandemia, e il livello dell’offerta che non ha
registrato un incremento adeguato. Un
mancato allineamento, dunque, su cui
hanno inciso poi alcune dinamiche temporanee come i tagli alla produzione del
petrolio greggio da parte dei paesi Opec+
e, guardando alle materie prime agricole, soggette allo stesso trend rialzista, focolai pandemici ed eventi climatici estremi che hanno generato carenze produttive a livello globale (dalla soia al mais) o
progressivi esaurimenti delle scorte (è il
caso del gas naturale). Senza contare il
peso di improvvisi colli di bottiglia lungo
le catene di fornitura globali o il verificarsi di eventi avversi lungo snodi strategici
(il blocco del canale di Suez a marzo).
Ad amplificare gli incrementi dei prezzi,
spiega la fotografia di Cdp, hanno poi
contribuito le tecnologie verdi messe al
centro dalla transizione ecologica (👍👍👍) e da
cui è scaturita una forte richiesta di metalli “critici” come il rame, il nickel, il litio,
il cobalto o il manganese, i cui livelli medi
di consumo sono destinati ad aumentare significativamente da qui al 2030 (basti pensare che solo la domanda di litio
per realizzare le batterie necessarie alle
auto elettriche crescerà di oltre 26 volte
rispetto all’asticella del 2010). E una dinamica analoga sarà determinata anche
dall’incremento di investimenti pubblici
e privati, soprattutto nelle economie
mature (Usa su tutti), per effetto di nuovi
pacchetti di stimolo che faranno ancora
aumentare la richiesta di materie prime.
Su questo quadro, complicato altresì
dai movimenti speculativi che investono
alcune commodities, considerate alla
stregua di veri e propri asset finanziari, (👍👍👍)
gravano inoltre i nuovi equilibri geopolitici disegnati dal monopolio di alcuni Paesi su importanti materie prime. E qui la
disamina di Cdp ricorda gli effetti delle
ultime mosse di paesi come la Russia (sul
gas) e la Cina (sulla componentistica) che
stanno rallentando le catene di fornitura
globali. Un aspetto, quest’ultimo, che fa il paio con l’elevatissima dipendenza
dell’Europa da Paesi terzi in termini di
approvvigionamento: delle 30 materie
prime critiche incluse nella lista stilata da
Bruxelles, solo poco più del 20% viene
fornito da Stati membri della Ue. Qualche esempio? Oltre il 98% della fornitura
di terre rare (come vengono definiti 17
elementi chimici presenti nei minerali,
ma difficili da identificare e da ottenere)
proviene dalla Cina (che, nell’ultimo periodo, complice la crisi energetica, ha anche ridotto le esportazioni di un metallo
cruciale per l’industria come il magnesio), l’87% del litio dall’Australia e il 71%
del platino dal Sud Africa. Con il risultato
che qualsiasi oscillazione a monte della
catena di fornitura può avere pesanti ripercussioni in Europa. Che può uscire
dal cul de sac, dice lo studio, solo con un
cambio di passo convincente. Tradotto:
occorre assicurarsi una sempre maggiore autonomia commerciale e geopolitica
in termini di forniture che deve passare
anche per crescenti investimenti in innovazioni . Ferma restando la necessità
di diversificare le fonti di approvvigionamento e di rafforzare l’uso circolare delle
risorse. Anche guardando all’Italia che,
con la sua più alta percentuale di riciclo
dei rifiuti raccolti, può fungere da traino
per il resto del continente.
NEL 2012 NON CI SARA' LA FINE DEL MONDO IN SENSO APOCALITTICO,MA UN CAMBIAMENTO A LIVELLO POLITICO ED ECONOMICO/FINANZIARIO. SPERIAMO CHE QUESTA CRISI SISTEMICA ,CI FACCIA FINALMENTE APRIRE GLI OCCHI SUL "PROGRESSO MATERIALE:BEN-AVERE""ECONOMIA DI MERCATO" FIN QUI RAGGIUNTO E SPERARE IN UN ALTRETTANTO "PROGRESSO SPIRITUALE:BEN-ESSERE"ECONOMIA DEL DONO,IN MODO DA EQUILIBRARE IL TUTTO PER COMPLETARE L'ESSERE UMANO:"FELICITA' NELLA SUA COMPLETEZZA".
STUPIDA RAZZA
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