STUPIDA RAZZA

domenica 27 febbraio 2022

Flotte mercantili in allarme, a rischio 280mila marittimi

 

Il mondo della logistica trema per la guerra avviata dalla Russia contro l’Ucraina. I porti di Odessa e Mariupol sono bloccati e, da lì, le merci non possono muoversi, in particolare l’acciaio destinato allo scalo di Monfalcone; ma il conflitto rischia di avere ripercussioni immediate anche sui trasporti via mare e su gomma, per la larga presenza di personale ucraino e russo. Un campanello d’allarme è stato suonato dall’Ics (International chamber of shipping), che rappresenta l’80% della flotta mercantile mondiale. L’associazione spiega che, nel caso in cui la libera circolazione dei marittimi ucraini e russi fosse ostacolata, si avrà un’interruzione della supply chain. Perché è rilevante, a livello globale, il numero di lavoratori del mare di quella nazionalità. Il Rapporto sulla forza lavoro dei marittimi, pubblicato nel 2021 da Bimco (Baltic and international maritime council) e Ics, riporta che 1,89 milioni di marittimi stanno attualmente facendo viaggiare oltre 74mila navi nella flotta mercantile globale. Di questa forza lavoro totale, 198.123 marittimi (10,5%) sono russi (71.652 ufficiali e 126.471 comuni). L’Ucraina conta invece 76.442 marittimi (4%), tra ufficiali (47.058) e comuni (29.383). In totale 274.565 persone che rappresentano il 14,5% della forza lavoro marittima globale. «Lo shipping – spiegano i tecnici dell’Ics - è attualmente responsabile del movimento di quasi il 90% del commercio globale. I marittimi sono stati in prima linea nella risposta alla pandemia, assicurando che le forniture essenziali di cibo, carburante e medicinali continuassero a raggiungere le loro destinazioni. Per mantenere questo commercio libero, devono poter imbarcarsi e sbarcare liberamente dalle navi, per i cambi di equipaggi, in tutto il mondo». Con i voli cancellati nell’area della guerra, «questo diventerà sempre più difficile. E anche la capacità di pagare i marittimi deve essere mantenuta tramite i sistemi bancari internazionali (e qui si allude ai rischi che comporterebbe l'espulsione delle banche russe dal sistema di pagamento Swift, ndr)». Ics aveva già in precedenza avvertito di una carenza di marinai mercantili. Una situazione che è stata aggravata dalle restrizioni di viaggio causate dalla pandemia, con i mancati cambi di equipaggio che hanno provocato il prolungamento del periodo in mare per 100mila per sone contrattualizzate. «Chiediamo a tutte le parti - dice Guy Platten, segretario generale dell’Ics - di garantire che i marittimi non diventino il danno collaterale in qualsiasi azione che i Governi o altri possano intraprendere». Ma anche l’autotrasporto corre più di un rischio. «Il 30% circa dei trasportatori stranieri - afferma Giampaolo Botta, direttore generale di Spediporto, l’associazione degli spedizionieri di Genova - è di nazionalità ucraina. Si tratta di operatori che hanno visti legati ai permessi di lavoro e, spesso, le famiglie in Ucraina. Con la guerra potrebbero avere difficoltà a uscire dal Paese. Sotto il profilo del trasporto merci via mare, invece, è ancora presto per capire gli effetti di questa guerra». Un parere condiviso da Francesco Parisi, alla guida dell’omonima casa di spedizioni triestina, il quale aggiunge: «Siamo soci, nella Piattaforma logistica di Trieste, dei tedeschi di Hhla, i quali hanno un terminal a Odessa che è stato appena chiuso. Ma è ancora prematuro dire quali saranno gli effetti di questa guerra. Però in 50 anni di lavoro non avevo mai vissuto una simile situazione d’incertezza». Se per gli spedizionieri non sono ancora chiari gli effetti sulle merci dell’invasione, l’imprenditore dello shipping Augusto Cosulich, rientrato a Genova da Kiev, dove curava la logistica del gruppo siderurgico Metinvest (che ha due stabilimenti in Italia), ha toccato con mano la situazione. «Abbiamo una nave a Mariupol - spiega - che deve ancora imbarcare 4mila tonnellate di bramme da portare a Monfalcone. Ora il porto è fermo e lo stretto di Kerk è chiuso». Da Mariupol si imbarcano i semilavorati, prodotti in loco, diretti, attraverso lo scalo di Monfalcone, agli stabilimenti di Verona e San Giorgio di Nogaro. Un traffico di circa tre milioni di tonnellate per i porti dell’Adriatico, che per ora è fermo. E sono sospesi gli investimenti futuri della Fratelli Cosulich, che prevedevano l’acquisto di tre navi in joint venture con Metinvest. «L’idea resta - dice Cosulich - se si risolverà tutto in tempi brevi. In ogni caso, il business in qualche modo si sistema. Siamo invece preoccupati per la vita e la sicurezza delle persone che conosciamo e che sono là».

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