STUPIDA RAZZA

giovedì 24 febbraio 2022

Ombre sull’export Tornano a rischio 10 miliardi di vendite

 

Per capire cosa potrebbe accadere non serve la sfera di cristallo, basta guardare al passato: export dimezzato verso l’Ucraina, riduzione del 35% nei confronti della Russia. Volumi, questi ultimi, mai più recuperati. L’annessione della Crimea del 2014 con conseguente pacchetto di sanzioni internazionali e svalutazione del rublo (legata però anche al crollo del greggio) rappresenta in effetti un precedente quanto mai sovrapponibile rispetto agli eventi di questi giorni, con la crisi russo-ucraina a riproporre alle imprese italiane le difficoltà degli anni passati. Per quanto in una guerra non sia certo l’export il danno collaterale maggiore, è evidente che la situazione attuale metta fortemente a rischio una fetta non marginale del made in Italy, dieci miliardi tra Russia e Ucraina. Perimetro già non particolarmente tonico, guardando ai dati 2021 per la Russia, che con una crescita dell’8,8% ha viaggiato a velocità dimezzata rispetto alla media totale. Paese dove solo per due comparti superiamo il miliardo di vendite: macchinari e tessile-moda-abbigliamento. Settore, quest’ultimo, che già in passato ha pagato un prezzo non banale al calo dell’export, trovandosi ora ben un miliardo al di sotto dei valori del 2013. E che rischia di perdere altri volumi, in particolare nei distretti più esposti, tra Marche e Toscana. Se dal punto di vista territoriale in valore assoluto è Milano, come ovvio, la provincia più “pesante” per vendite verso Mosca, i guai prospettici maggiori sono per Fermo. Qui, infatti, grazie alla spinta delle calzature, il 7% dell’export locale è rivolto verso la Russia, il quadruplo rispetto alla media nazionale. «L’eventuale varo di nuove sanzioni sarebbe un disastro - spiega il reggente di Confindustria Fermo e imprenditore del settore Arturo Venanzi - perché qui sul territorio ci sono almeno 20mila addetti impegnati nel distretto delle calzature e in media per le aziende la Russia vale il 30% dei ricavi. Un crollo di queste vendite sarebbe una vera catastrofe». Dopo avere toccato un picco nel 2013, a ridosso degli 11 miliardi, l’export italiano verso la Russia è crollato a quota sette in appena due anni, senza mai più trovare la strada del recupero. In parte per effetto delle sanzioni, in parte per il crollo del greggio e la conseguente crisi del rublo, con il conseguente crollo del potere d’acquisto. «Oggi il clima è diverso - aggiunge Venanzi - e infatti i russi sono tra i pochi compratori ad accettare gli aumenti di listino che siamo costretti ad operare. Se venisse a mancare questo mercato qui sul territorio sarebbe una catastrofe». «Per noi Russia e Ucraina valgono il 15% dei ricavi - spiega Niccolò Ricci, imprenditore toscano, Ad della maison fiorentina Stefano Ricci - e nei due paesi abbiamo più di dieci punti vendita. Siamo estremamente preoccupati, perché alla fine a pagare il prezzo delle sanzioni imposte dagli Stati Uniti è sempre l’Europa». Dopo il crollo del 2020 il gruppo si appresta a recuperare in pieno i valori precovid, puntando al nuovo record di 150 milioni di euro, anche se ora il target è ostacolato da una nuova incognita. «Anche ora quest’area sta garantendo ordini importanti, sarebbe davvero un peccato vedere l’interruzione del trend. E non dimentichiamo che un conflitto provoca anche un crollo del turismo, altra fonte di ricavo importante per la moda. Ad ogni modo, è chiaro che a prescindere dal business la guerra è sempre da scongiurare: spero che alla fine prevalga la diplomazia». Meno rilevanti invece per l’Italia i valori dell’interscambio con l’Ucraina, con Kiev a valere (dati 2021) due miliardi di euro in termini di made in Italy, valori che per la prima volta sono tornati oltre il massimo del 2013 alla vigilia della crisi per la Crimea e che ora rischiano di ripiombare nell’abisso. L’altro nodo strategico per l’Italia è però rappresentato delle importazioni. L’Ucraina, oltre che nei cereali, ha un peso non banale in un unico settore, i prodotti siderurgici (ferro, ghisa, acciaio) con Kiev a valere il 10% dei nostri acquisti complessivi. Dei 14 miliardi acquistati dalla Russia lo scorso anno più di otto sono invece nel capitolo energia. Valori che già nel 2021 si sono impennati di oltre il 50% e che potrebbero rapidamente lievitare ancora nell’ipotesi di una guerra di sanzioni. La nostra dipendenza dal gas di Mosca è evidente nei numeri: dei 12 miliardi di euro acquistati dall’Italia tra gennaio e novembre 2021 quasi cinque sono targati Cremlino.

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