«Se la Fed decidesse di alzare i tassi in modo marcato c’è il rischio che sui mercati finanziari scoppi una bolla paragonabile a quella dei crisi subprime (2008) o della new economy (2000)», racconta un trader descrivendo il timore più grande che circola in questo momento nelle sale operative. Al netto dell’aggravante dell’ultima ora rappresentata dalle tensioni geopolitiche tra Russia, Ucraina e Nato. Tuttavia, se si analizza ai raggi x l’andamento degli oltre 3.000 titoli che fanno parte del Nasdaq composite, il più grande indice tecnologico di Wall Street, è difficile sostenere che la bolla non sia già scoppiata. (👍👍👍) Dai rispettivi massimi raggiunti nel corso del 2021 soltanto 52 titoli restano in positivo. Per il resto è un vero disastro. Ci sono 138 titoli che hanno perso più del 90% e che pertanto per tornare ai valori precedenti dovrebbero salire tra il 900% e il 1.000%. Adios. Per 1.525 società (il 46% del totale) la correzione rispetto al picco raggiunto lo scorso anno è superiore al 50%. A questi bisogna aggiungere che il 16% (541 società) ha perso almeno il 40% e il 23% (quindi altre 758 aziende) ha lasciato sul terreno tra il 39% e il 20%. In sostanza l’86% dei titoli quotati nell’Olimpo globale della tecnologia ha perso almeno il 20%, la soglia spartiacque che gli esperti utilizzano per identificare l’ingresso in un mercato Orso (ribassista). La Fed c’entra fino a un certo punto. Perché per molte società i ribassi sono iniziati già dalla scorsa estate. Si veda il caso di Paypal che il 23 luglio volava a 308 dollari mentre ora sta facendo fatica a mantenere la soglia dei 100 dollari (-66%). Oppure Robinhood, la piattaforma di trading statunitense “zero commissioni” che dai 70 dollari di agosto è crollata sotto i 12 dollari (-83%). In altri casi, come quello di Zoom video, i venditori hanno iniziato a martellare dallo scorso febbraio. Le azioni della società nota per il servizio delle videoconferenze, esplosa durante la pandemia, sono crollate da 417 dollari a 127 (-70%). Questi numeri (e nomi) ricordano per certi verso quello che accadde a società come Cisco systems e la stessa Amazon (che a quei tempi stava rischiando la bancarotta) che dopo la primavera del 2000 subirono lo scoppio della bolla dei titoli web. A metà classifica, ma disastrose in termini di capitalizzazione sfumata, ci sono poi i casi di Meta Platforms (la “vecchia” Facebook) e Netflix che hanno perso dai rispettivi massimi 2021 il 43% e il 46%. In pratica quasi la metà del valore che fino a qualche mese il mercato attribuiva loro. Gli investitori quindi non perdonano. E hanno iniziato ad essere “cattivi” con molte aziende ben prima che la Federal Reserve cambiasse registro lasciando presagire, preoccupata per il balzo dell’inflazione, l’avvio di un percorso serrato di strette monetarie (a tal proposito a marzo è atteso un rialzo dei tassi di 50 punti base a cui ne potrebbe seguire un secondo di pari entità a giugno). Eppure osservando l’andamento generale dell’indice Nasdaq (tanto della sua versione dei 100 titoli big quanto in quella più allargata del “composite” che ad oggi annovera 3.274 società) il quadro è bruttino ma non sembra così allarmante. A novembre entrambi questi panieri segnavano il massimo di tutti i tempi, proprio mentre al loro interno molti nomi stavano già soffrendo pesantemente. Da allora i “due Nasdaq” hanno perso il 17%, quindi tecnicamente non hanno superato la linea rossa che introduce al mercato Orso. Come si spiega una divergenza così eclatante tra l’andamento di un paniere di titoli e quello degli stessi titoli che esso stesso contiene? La risposta risiede nello strapotere di alcune aziende, la cui capitalizzazione ha raggiunto livelli talmente elevati che influenza il calcolo degli stessi indici (se questi, come accade per il Nasdaq ma lo stesso vale per l’S&P 500, vengono calcolati in base al valore delle società). E così si scopre il “caso” Apple, che dai massimi del 3 gennaio 2022 ha perso l’8% e che pesa da sola per il 14% sul totale della performance del Nasdaq 100 e per il 10,5% del composite. Seguono Microsoft, Google e Amazon con pesi che si avvicinano alla doppia cifra. Anche questi big stanno soffrendo, ma meno degli altri. ( MA SOFFRONO !) E quindi finché essi reggono il colpo l’andamento del Nasdaq continuerà a sembrare migliore della realtà. Una realtà composta da centinaia di aziende per cui la bolla, conti alla mano, è già scoppiata. (👍👍👍) E non è dato sapere fino a quale livello di profondità le porterà.
NEL 2012 NON CI SARA' LA FINE DEL MONDO IN SENSO APOCALITTICO,MA UN CAMBIAMENTO A LIVELLO POLITICO ED ECONOMICO/FINANZIARIO. SPERIAMO CHE QUESTA CRISI SISTEMICA ,CI FACCIA FINALMENTE APRIRE GLI OCCHI SUL "PROGRESSO MATERIALE:BEN-AVERE""ECONOMIA DI MERCATO" FIN QUI RAGGIUNTO E SPERARE IN UN ALTRETTANTO "PROGRESSO SPIRITUALE:BEN-ESSERE"ECONOMIA DEL DONO,IN MODO DA EQUILIBRARE IL TUTTO PER COMPLETARE L'ESSERE UMANO:"FELICITA' NELLA SUA COMPLETEZZA".
STUPIDA RAZZA
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