STUPIDA RAZZA

domenica 27 febbraio 2022

PUTIN CI PORTA IL CARBONE

 

La guerra di Putin ci porta un po’ di carbone in regalo, oltre a un prolungamento dello stato d’emergenza. Il primo cadeaux lo ha annunciato il presidente del Consiglio Mario Draghi ieri, durante le comunicazioni alla Camera sugli sviluppi del conflitto tra Ucraina e Russia. Se Mosca, a seguito delle sanzioni decise dopo l’invasione della vicina repubblica,per rappresaglia ci lasciasse al freddo, interrompendo o limitando le esportazioni di gas, dovremo riaccendere le centrali a carbone. Il che la dice lunga su chi pagherà la campagna militare intrapresa dallo zar del Cremlino. Infatti, mentre America e Unione europea a parole promettono una reazione pesantissima, invitando l’Armata rossa a fare dietrofront, a casa nostra si comincia a fare i conti su quanto ci costerà il conflitto e, soprattutto, ci si prepara al peggio, riaccendendo i fornelli da riscaldam e nto. Quanto al secondo dono, ovvero la mezza retromarcia sull’abolizione dello stato di emergenza (D ra g h i quattro giorni fa ne aveva anticipato la conclusione), il governo ha giustificato il ripensamento con la necessità di reagire tempestivamente all’invasione russa e anche se resta da vedere quali limiti verranno imposti, la faccenda non butta bene. In pratica, pur non avendo alcuna responsabilità per ciò che sta accadendo, gli italiani sono costretti a subire una situazione che li vede cornuti e mazziati: pagheranno di più il riscaldamento, avranno u n’aria più inquinata e forse non potranno neppure vedersi restituita la libertà dopo due anni di pandemia. Sì, i primi effetti della battaglia di Kiev sono una doccia fredda sulle aspettative del Paese, che dopo lockdown, green pass e altre formule astruse usate per nascondere l’i n c apac ità di affrontare il virus, cominciava a sognare il ritorno a una vita normale. E invece, no. Nell’i n fo rmativa urgente al Parlamento, il capo del governo è stato chiaro e non ha certo usato mezze parole, accantonando l’ottimismo di pochi giorni fa. Sebbene abbia precisato che il governo è pronto a intervenire per calmierare il prezzo dell’energia, D ra g h i ha spiegato che «la maggior preoccupazione riguarda proprio il settore energetico». Ovvio: l’Italia è attaccata alla canna del gas russo e se Puti n chiudesse il rubinetto in Siberia, in Italia sarebbero guai. Non soltanto perché dovremmo riscaldarci attorno al fuoco e trascorrere le serate a lume di candela, ma perché dipendendo per il 40 per cento da fonti energetiche moscovite, la nostra economia collasserebbe. Colpa di scelte sbagliate fatte negli anni passati, ha precisato il premier. Vero: se dipendiamo da Mosca ogni volta che mettiamo sul fuoco l’ac qu a per la pasta e anche quando accendiamo la luce, dobbiamo ringraziare i compagni che si sono opposti al nucleare, alle trivelle e ai rigassificatori, cioè a quei grandi contenitori che avrebbero consentito di immagazzinare il metano liquido. Purtroppo per D raghi, ma soprattutto per noi, raccontarci che gli eredi del Pci, gli ecologisti e i grillini ci hanno portato a essere schiavi di Puti n s e rve a poco. E servono a poco o nulla anche le soluzioni che il presidente del Consiglio ha elencato ieri per cercare di rincuorarci di fronte al ricatto dello zar russo. In alternativa al gas siberiano, il cui trasferimento potrebbe essere interrotto più dagli ucraini che dai russi (se qualcuno volesse colpire gli interessi economici di Mosca basterebbe sabotare il gasdotto che transita sul territorio di Kiev), secondo D ra gh i potremmo ricorrere ad altre forniture, rivolgendoci all’Algeria e alla Libia, oppure aumentando il combustibile che grazie al Tap arriva dall’Azerbaigian o comprando dall’Ame rica quello liquido. In realtà, nessuna di queste soluzioni pare credibile. Dal Nord Africa c’è poco da attendersi, in quanto il metanodotto che parte da Algeri è già alla sua massima potenza e non c’è molto altro da pompare. Quello che transita da Tripoli è invece in mano alle milizie delle diverse tribù, dove comandano turchi e russi. Da Baku, capitale dell’Azerbaigian, c’è pure poco da attendersi, perché sarebbe come cadere dalla padella nella brace: come per la Libia, l’influenza russa nell’ex repubblica sovietica è sempre molto forte. Resta il gas liquido che dovremmo andarci a prendere negli Stati Uniti, ma oltre al prezzo del trasporto c’è un secondo problema: non disponendo di rigassificatori, non si sa in quale deposito immagazzinarlo. Insomma, le soluzioni del governo non paiono soluzioni ma problemi, perché nessuna di quelle elencate pare risolutiva o facilmente real i z zabi l e. Infatti, l’ultima spiaggia di D ra g h i consiste nella riapertura delle centrali a carbone, ovvero riaccendere impianti che erano stati spenti a causa dell’e c c e s s ivo inquinamento. Nessuno, a cominciare dai verdi per finire all’Europa, vuole tornare a bruciare carbone, ma senza il gas russo non c’è altro da fare. O meglio, qualche cosa da fare ci sarebbe: mettere da parte l’idea di inviare truppe al confine con l’Ucraina (240 alpini a cui si unirebbero altri 3.000 soldati che a Pu - ti n fanno solletico) e sedersi a trattare. Kiev è una battaglia persa, per i motivi che ho spiegato ieri, e prima ce ne renderemo conto, prima eviteremo di farci del male e di veder scorrere altro sangue ucraino.

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