STUPIDA RAZZA

venerdì 25 febbraio 2022

I sette motivi per cui il caro vita in Europa è diverso dagli Usa (e potrà rallentare)

 

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È vero, l’Eurozona non ha mai visto dalla sua nascita un’inflazione così alta, come quel 5,1% esibito a gennaio. C’è chi si stupisce allora come mai la Banca centrale europea tenga ancora fermi i tassi a “0”. Tuttavia prima di agire l’istituto di Francoforte vuole vederci più chiaro perché ci sono almeno sette fattori che inducono a riflettere sul fatto che l’inflazione nell’area euro sia diversa rispetto a quella degli Stati Uniti (che a proposito viaggia al 7,5%) e che, probabilmente, nel corso dell’anno tenderà a diminuire. Inflazione “core” in frenata. Se si analizza l’andamento del dato “core”, ovvero depurato per le componenti più volatili come energetici e alimentari, nel mese di gennaio c’è già stato un rallentamento (dal 2,6% di dicembre al 2,3%). «Questo è un segnale che l’alto livello di inflazione complessiva è dovuto per la maggior parte al rincaro dei prezzi dell’energia e che quindi l’Eurozona sta vivendo un’inflazione più legata all’offerta, che non alla domanda, e quindi ai consumi», (ESATTO !) spiega Gero Jung, chief economist di Mirabaud am. Negli Usa, invece, sta salendo anche l’inflazione “core”, passata dal 5,5% al 6%. La spirale salari-prezzi. «In Europa poi non vi sono indizi di una spirale tra salari e prezzi - prosegue Jung -. Discorso diverso negli Usa dove i salari stanno crescendo». Il possibile passaggio di testimone da un’inflazione da offerta a una da domanda si ricaverebbe, come già appare negli Usa, proprio con l’aumento delle buste paga. Scenario per il momento trascurabile nell’Eurozona, vuoi per la sua natura meno flessibile del lavoro rispetto al mercato Usa. Affitti e macchine usate. Oltre ai salari negli Usa stanno “scappando di mano” i prezzi delle locazioni, balzati al 4,4% su base annua a gennaio (ma molto di più nelle grandi città). Nell’Eurozona non vi è alcun fermento in tal senso. Così come non v’è traccia di tensione sui costi delle auto usate, i cui prezzi negli Usa sono invece lievitati di oltre il 40%. Colli di bottiglia in frenata. Secondo il governatore della Bce Christine Lagarde le pressioni sui prezzi dell’offerta, gli ormai noti “colli di bottiglia” dovrebbero allentarsi. Il 3 febbraio, al termine del consiglio direttivo, ha sottolineato che «la crescita dell’economia rimarrà sottotono ma che la crescita dovrebbe rimbalzare con vigore nel corso dell’anno grazie alla riduzione dei colli di bottiglia delle forniture e trainata da una robusta domanda interna che è sempre meno colpita dalla pandemia». (🤣🤣🤣) Produzione sotto il potenziale. Quella che poi non è una bella notizia macro potrebbe rivelarsi come una buona notizia sullo spauracchio inflazione. «Gli indicatori di output nell’Eurozona sono ancora più bassi dei livelli pre-Covid anche perché le misure fiscali e monetarie sono state meno aggressive rispetto agli Usa», ricorda l’economista di Mirabaud. L’inflazione “a tasse costanti”. C’è poi un altro parametro che osservano da vicino gli addetti ai lavori, l’inflazione “core a tasse costanti” che misura l’andamento dei prezzi senza le componenti fiscali, come ad esempio l’Iva (Imposta sul valore aggiunto). «Questa misura dell’inflazione sarebbe ancora più bassa nell’Eurozona se considerassimo costante il livello di tassazione», spiega Jung. Il peso dell’“effetto base” In ultimo c’è un fattore sul quale tanto la Bce quanto la Federal Reserve negli Usa in realtà stanno confidando molto per avere un aiuto nella loro azione contro il surriscaldamento dei prezzi: il cosiddetto “effetto base”. Per spiegarlo bisogna ricordare che l’inflazione è sempre un dato di confronto tra due periodi. Quindi confrontare un mese di un anno in cui i prezzi hanno avuto più spinta rispetto allo stesso mese dell’anno precedente in cui i prezzi erano fermi rischia di distorcere il dato di variazione, ingigantendolo. Presto, in particolare dalla prossima estate, i nuovi dati di inflazione saranno relazionati con un più elevato “effetto base”, ovvero con mesi del 2021 più “tosti”, dove i prezzi già erano saliti e di conseguenza il confronto potrebbe risultare più “alla pari”, andando quindi a ridurne quella variazione percentuale che chiamiamo inflazione. E che da qualche mese non fa dormire tranquilli i banchieri centrali. Ma anche investitori e mutuatari.

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