STUPIDA RAZZA

lunedì 25 luglio 2022

Fintech, da inizio anno bruciati 300 miliardi

 



T recento miliardi di dollari bruciati in poco più di sei mesi. Più di cinquecento, se si considera la débâcle che ha colpito le valutazioni delle aziende non quotate. È un 2022 difficile per il fintech, travolto da una pluralità di fattori che sta spazzando via tutta l’euforia conquistata negli ultimi due anni. Dalla primavera 2020 solo a Wall Street si sono quotate più di 30 società legate alla finanza digitale, secondo l’ultimo report sul settore stilato da CB Insights. E lo hanno fatto catalizzando le attenzioni degli investitori, convinti che l’accelerata alla digitalizzazione imposta dalla pandemia fosse un treno da prendere in fretta. Con le persone bloccate in casa, del resto, gli acquisti online e un po’ tutti i servizi finanziari digitali sono diventati prioritari. Così il fintech è stato il settore tecnologico che ha tratto i maggiori benefici da un momento storico senza precedenti. Lo scenario però è cambiato rapidamente e il sell off è arrivato con altrettanta velocità. Le preoccupazioni per l’aumento dei tassi di interesse, l’inflazione, i profitti in bilico e i modelli di business ancora poco maturi sono diventati zavorre, mentre l’economia globale si dirige verso una sempre più possibile recessione. Così gli investitori hanno preferito spostarsi su lidi più sicuri. Nel primo trimestre del 2022 CB Insights stima che gli investimenti in venture capital nel fintech siano stati di 21 miliardi di dollari, in calo rispetto ai 37 miliardi di un anno prima e ai 29 del trimestre precedente. Il fintech, insomma, si è riscoperto fragile. E aziende come PayPal, Block (già Square), Robinhood, Wise, hanno perso dal 40 al 60% del valore solo nei primi sette mesi dell’anno. Un crollo che risulterebbe ancora più drammatico se lo rapportassimo al boom del 2021. Un’azione di PayPal, che rimane una delle l’aziende fintech a maggior capitalizzazione nel mondo, oggi viene scambiata poco sopra gli 80 dollari. E il suo market cap è ampiamente sotto i 100 miliardi. Un crollo drammatico rispetto ai massimi storici di un anno fa, quando le azioni volavano a 308 dollari e la capitalizzazione di mercato navigava sopra i 360 miliardi. In un anno, insomma, il colosso californiano ha bruciato circa il 75% del suo valore. E a guardare l’andamento delle altre società del settore, il comportamento è molto simile. Secondo un’analisi del Sole 24 Ore, il valore di 10 fra le società fintech più capitalizzate al mondo è sceso del 35,9% dall’inizio dell’anno: un calo superiore a quello del Nasdaq Composite, che nello stesso periodo ha perso il 24%. La loro capitalizzazione di mercato cumulativa è scesa di oltre 285 miliardi nel 2022. E i numeri sono decisamente peggiori se ai dati di queste società si aggiungono quelli relativi alle aziende fintech non quotate. Un esempio lampante è quello di Klarna, che un anno fa valeva 46 miliardi di dollari e oggi ne vale poco più di 6 (-85%). Il malessere del settore è confermato dalla scelta di rimandare l’Ipoda parte di Chime, banca digitale non quotata che doveva sbarcare in Borsa a marzo scorso con una capitalizzazione iniziale stimata fra i 35 e i 45 miliardi di dollari. Il listing è stato rimandato e, anche se da fonti vicine alla società fanno sapere che si stanno concentrando sul rilascio di nuovi prodotti (che potrebbero includere funzionalità di prestito e investimento), l’impressione è che l’aria pesantissima che si respira attorno al mondo fintech abbia spinto al rinvio, almeno al quarto trimestre di questo 2022. Per l’intero comparto, insomma, il quadro non sembra dei migliori. L’allontanamento degli investitori è evidente e preoccupa. Di contro c’è l’interesse degli utenti verso i servizi offerti da queste aziende, che rimane un dato di fatto. E che alla lunga potrebbe garantire maggiore stabilità. Come spiega al Sole 24 Ore Filippo Renga, direttore dell’Osservatorio Fintech del Politecnico di Milano, è forte la «propensione degli utenti nello sperimentare servizi innovativi legati al settore». In particolar modo quelli relativi al «trasferimento di denaro via app» e alla «gestione di sinistri da smartphone», che nell’ultimo anno hanno fatto registrare i tassi di utilizzo a maggior crescita. Presente incerto, futuro in tasca. O almeno così sembra.

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