Per fortuna sono passati gli anni in cui i parchi e i giardini di molte città erano trattati con meschina indifferenza. Cartacce ovunque, mucchi di rifiuti sommergevano cestini spesso rotti, o ne imitavano la presunta utilità. Giacomo aveva vissuto abbastanza a lungo da ricordarsi quando i giardini di Genova, di Torino, della periferia di Milano, o ancora i giardini di Roma, quelli di Napoli e di Palermo erano ben poco curati, trasandati a dir poco. Era forse anche un modo per capire il disagio che lacerava profondamente la società che abitava quelle città e aveva trasformato gli spazi verdi, quelli che avrebbero dovuto rappresentare l’apice di un tentativo di salute pubblica a cielo aperto, in spazi tristi, laconici, un ennesimo scemp i o. Non bastava coprirsi gli occhi quando, inavvertitamente, si allungava il passo in un portone e si incontrava uno dei tanti giovani vinti dall’eroina o dall’alcool, con quei visi trafitti dal dolore e dal senso di sconfitta. Non bastavano gli ospedali che scoppiavano di malati senza futuro toccati dal mal d’amore, l’A id s (oggi non spaventa più, ma non è affatto dimenticato). Non bastavano i pazzi con la pistola che, in nome di una certa idea di giustizia sociale e politica, gambizzavano magistrati, poliziotti, avvocati, imprenditori e giornalisti. Non bastavano nemmeno i mafiosi che facevano saltare le auto e le strade, pur di mantenere saldo il loro potere e continuare ad assassinare al cuore la fiducia in uno stato present e. La condizione sciagurata delle nostre anime turbate inquinava l’aspetto che avevamo di noi stessi, non meno di quel dipinto di Dorian Grey, il bel giovane immaginato da Oscar Wilde, che invecchiava sulla tela al posto del soggetto ritratto nella vita reale. Forse gli anni di Covid sono stati molto più deteriori e deleteri di quel che non abbiamo constatato, nonostante l’a l to numero di malati, di morti, di guariti ma non del tutto, e i tanti posti di lavoro perduti, l’economia saccheggiata, la fiducia negli altri che in epoca contemporanea, quantomeno dal 1950 in poi, forse non è mai stata davvero così fragile. Lo si vede anche prendendo un treno: quasi più nessuno saluta chi ha a fianco, parlarsi è straordinario, quasi incauto, la gente è triste, preoccupata, affossata nelle proprie cuffie, nei propri pc, nei propri labirintici pensieri. Il traffico ci mostra un nervosismo sottopelle pronto a esplodere alla minima occasione, insulti, voci grosse, litigi con pugni e calci, ragazzi che si vendicano dei coetanei, automobili che sfrecciano il sabato notte ai 130 all’ora e spengono tragicamente la luce di coloro che non vedranno mai compiersi il resto della propria esistenza. Certo, la tv ci regala ogni giorno le immagini delle catastrofi causate da un pianeta sempre meno ospitale, le scene orribili del conflitto in Ucraina, la commozione e il lutto dopo le frequenti sparatorie nei licei delle città nordamericane, e tante altre notizie che di certo non ci aiutano a credere in un futuro migliore, in un’umani - tà migliore. E anche i parchi pubblici, purtroppo, manifestano questa ferita che guasta le anime. Giacomo è appena andato in pensione: dopo una vita, come si dice, di duro lavoro si è guadagnato questo ultimo tempo pacifico e decoroso. La droga nelle strade dei decenni passati, purtroppo, si è portata via il suo migliore amico, Alfredo, suo coetaneo ed ex compagno di scuola e di tante serate insieme. Alfredo amava la musica rock, i Pink Floyd, i Rolling Stones, quel mondo lì. E anche sua sorella, la Giulia, che è stata uccisa da un drogato in astinenza che ha perso il controllo di quel che evidentemente non poteva controllare affatto. Poi i suoi genitori, la vecchiaia, il tumore, il dolore e quel niente che ti resta alla fine, quando sei dentro un vestito scuro, a mani serrate, la testa abbassata, a fissare il punto dove è stata sotterrata la bara che contiene coloro che ti avevano messo al mondo. Per tutta la vita Giacomo si è battuto per rendere vivibili, puliti, accoglienti, i parchi per i quali ha lavorato. Non ha mai accettato quel destino quasi indiscutibile che assicurerebbe la segnaletica al degrado e alle scritte sciocche, alle idiozie fatte per sfregio, per sfida, per stupidità. E anche questo parco, nella grande periferia che circonda Torino, dove ha lavorato per dodici anni, si era guadagnato una rispettabile pulizia, panchine linde, mappe senza disegnini, cartelli botanici e forestali integri. Ma ora ci torna, un anno dopo, da superstite, poiché il Covid lo ha colpito duramente l’inver - no passato, e nonostante lo sconforto e la paura è riuscito a scavalcare quell’alta e aspra montagna. Ora può tornare, con le sue gambe ballerine, e l’aiuto di un bastone in legno di albicocco che gli ha regalato suo nipote, il figlio di Giulia, a navigare questi piccoli boschi che ricoprono i declivi del San Giorgio, nel comune di Piossasco. Dalla cima di questo monte, a 850 metri, si possono ammirare i complessi industriali che si compattano prima del cuore del capoluogo, oppure le campagne agricole che si tratteggiano in strisce di colore nella pianura del pinerolese e del cuneese, fino a quel segno gobbo lassù, il Monviso, il re di pietra. Quando era più giovane, Giacomo saliva quassù anche di corsa, addirittura sgambettando sulla sua bicicletta. Ora non sa se potrebbe raggiungere la cima, e così si accontenta di punti panoramici più bassi, tra i 450 e i 500 metri, o poco più in alto. Magari nelle prossime settimane ci proverà, a salire, per abbandonarsi e sdraiarsi sul pratone fiorito da cui ammirare la sua vita passata. Uno dei suoi posti preferiti è un sentiero, dopo una grossa roccia, leggermente in discesa, stretto, accompagnato da piccole querce dai tronchi e dai rami contorti, dove ogni tanto si ritirava a meditare, a modo suo, ovviamente. Ma ora i suoi occhi vedono lo scempio, la malattia che avanza: il sentiero è costellato di fazzoletti sporchi, usati, resti inequivocabili di incontri serali o notturni tra disperati, tra cacciatori di sesso occasionale e… sarà mai amore davvero questo? Giacomo non li vorrebbe giudicare, non li vorrebbe nemmeno accusare di qualcosa, ma questa marea di… scar - ti… perché devono lordare un sentiero di montagna? Perché imbruttire un posto del genere? Ma qui non mancano soltanto questi uomini, perché sono sempre maschi, magari della sua età, ma anche molto più giovani. Perché? I suoi occhi desolati, il suo senso di imp ote n za … e poi la rabbia perché ai suoi tempi una cosa del genere non sarebbe potuta durare, chi ci lavora qui ora? Perché non agiscono? Perché non puliscono? Perché non si mettono avvisi e non si allerta la polizia locale? Perché lasciare che l’inferno divori nuovi spazi? Basterebbe così poco, e forse anche queste anime in pena potrebbero essere aiutate, se qualcuno si prendesse la briga di affrontare il problema, e non continuare a girarsi dall’altra parte, come oggi sembriamo in molti abituati a fare.
NEL 2012 NON CI SARA' LA FINE DEL MONDO IN SENSO APOCALITTICO,MA UN CAMBIAMENTO A LIVELLO POLITICO ED ECONOMICO/FINANZIARIO. SPERIAMO CHE QUESTA CRISI SISTEMICA ,CI FACCIA FINALMENTE APRIRE GLI OCCHI SUL "PROGRESSO MATERIALE:BEN-AVERE""ECONOMIA DI MERCATO" FIN QUI RAGGIUNTO E SPERARE IN UN ALTRETTANTO "PROGRESSO SPIRITUALE:BEN-ESSERE"ECONOMIA DEL DONO,IN MODO DA EQUILIBRARE IL TUTTO PER COMPLETARE L'ESSERE UMANO:"FELICITA' NELLA SUA COMPLETEZZA".
STUPIDA RAZZA
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