Una nuova economia di piattaforme che condividono risorse e valore
L
a crisi pandemica oltre ai
suoi tratti drammatici si sta
dimostrando una grande palestra d’innovazione sociale
e di neomutualismo. La spinta prodotta dalla miscela fra nuovi bisogni e la crescente consapevolezza
della nostra fragilità è stata l’innesco
di nuove economie e di forme di coordinamento fra cittadini, imprese, istituzioni e terzo settore che si stanno
consolidando come vere e proprie infrastrutture sociali, nuove piattaforme fra diversi a matrice comunitaria.
La vittoria del Compasso d'Oro, il
prestigioso premio di Adi a Consegne
Etiche per «Sviluppo - Sostenibile –
Responsabile», segnala un passaggio
epocale nel “design” delle piattaforme. Leggendo la motivazione si
comprende bene il grado di radicalità
incorporata in esperienze collaborative a matrice comunitaria: «Piattaforma cooperativa di consegne urbane a domicilio come alternativa alle
grandi piattaforme. Gli obiettivi sono
inclusione, partecipazione, coinvolgimento della società civile in un servizio pubblico».
Di fatto è un premio all'innovazione sociale, un premio per una
nuova impresa disegnata dal basso,
da una pluralità di attori diversi (Comune di Bologna, cooperazione, associazionismo, cittadini) che nella
fase più attiva ha organizzato 2.800
consegne tenendo fede ai principi
del lavoro degno e della mobilità sostenibile, a difesa dei rider e dei piccoli commercianti.
Un’esperienza esemplare che mostra come il civismo emerso nel
lockdown, possa coagularsi, dopo un
percorso pubblico e partecipato, in
piattaforma di prossimità, capaci non
solo di rispondere alle “distopie” prodotte nel mercato dei rider (dando
quindi il giusto compenso e le giuste
tutele) ma di proporsi come sperimentazione di nuova economia, per
accompagnare la transizione verso
un diverso modello di sviluppo di Bologna. Uno sviluppo capace dare ossigeno alle economie di luogo (piccoli
commercianti e negozi di prossimità)
spesso spiazzate dai big player del digitale, di promuovere una mobilità
più sostenibile e di stimolare un consumo più responsabile.
Il digitale che ricombina “scopo” e
“scala” e che si mette al servizio dei
bisogni di una comunità e di un territorio. Non siamo di fronte al secondo
tempo della sharing economy, ma all’emersione di nuove soluzioni economiche dal Dna digitale e comunitario che si pongono l'obiettivo non solo
di condividere risorse, ma anche valore e potere. L'orizzonte di queste
nuove piattaforme non è quello di
cercare un esponenziale “network effect” e neppure quello di fare exit, ma
di consolidarsi e crescere al fine di
farsi preferire e riconoscere dagli abitanti come bene comune.
Sono iniziative autenticamente
imprenditoriali, che assumono una
grande valenza in termini sociali e
politici perché oltre a proporsi come
luogo di buona occupazione, si candidano a ripristinare i meccanismi coesivi e di comunità. Nel 2008 abbiamo
visto fiorire, nell’utopia di una maggior comunanza, piattaforme digitali
che il capitalismo estrattivo ha poi
trasformato in monopoli che oggi
condizionano e per certi versi “drogano” la nostra socialità. Imprese che
attraverso business model incentrati
sul “valore d’uso” hanno avuto impatti non sempre positivi sull'abitare,
la fruizione dei luoghi, l'accesso ai
servizi e la creazione di comunità. Si
è infatti consumato un paradosso: il
capitale sociale è stato usato per alimentare processi di estrazione del valore piuttosto che nuove e più solide
forme di socialità. È un errore che non
possiamo più ripetere. La coscienza
di luogo e il valore dell'interdipendenza che questa fase storica sta facendo crescere, devono far maturare
la consapevolezza che esiste un'alternativa alle piattaforme estrattive.
La disuguaglianza che un certo
consumo genera sta diventando intollerabile e alla politica una cosa va
detta: «Si può fare». Esiste e ha senso
incoraggiare una terza via, quella del
neo-mutualismo. Una strada moderna, che non vuole essere solo una
“provocazione” per gli amministratori, ma una strada reale da percorrere per rilanciare un “bene” che non
può essere “comune” solo a parole.
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