STUPIDA RAZZA

lunedì 25 luglio 2022

Una nuova economia di piattaforme che condividono risorse e valore

 



L a crisi pandemica oltre ai suoi tratti drammatici si sta dimostrando una grande palestra d’innovazione sociale e di neomutualismo. La spinta prodotta dalla miscela fra nuovi bisogni e la crescente consapevolezza della nostra fragilità è stata l’innesco di nuove economie e di forme di coordinamento fra cittadini, imprese, istituzioni e terzo settore che si stanno consolidando come vere e proprie infrastrutture sociali, nuove piattaforme fra diversi a matrice comunitaria. La vittoria del Compasso d'Oro, il prestigioso premio di Adi a Consegne Etiche per «Sviluppo - Sostenibile – Responsabile», segnala un passaggio epocale nel “design” delle piattaforme. Leggendo la motivazione si comprende bene il grado di radicalità incorporata in esperienze collaborative a matrice comunitaria: «Piattaforma cooperativa di consegne urbane a domicilio come alternativa alle grandi piattaforme. Gli obiettivi sono inclusione, partecipazione, coinvolgimento della società civile in un servizio pubblico». Di fatto è un premio all'innovazione sociale, un premio per una nuova impresa disegnata dal basso, da una pluralità di attori diversi (Comune di Bologna, cooperazione, associazionismo, cittadini) che nella fase più attiva ha organizzato 2.800 consegne tenendo fede ai principi del lavoro degno e della mobilità sostenibile, a difesa dei rider e dei piccoli commercianti. Un’esperienza esemplare che mostra come il civismo emerso nel lockdown, possa coagularsi, dopo un percorso pubblico e partecipato, in piattaforma di prossimità, capaci non solo di rispondere alle “distopie” prodotte nel mercato dei rider (dando quindi il giusto compenso e le giuste tutele) ma di proporsi come sperimentazione di nuova economia, per accompagnare la transizione verso un diverso modello di sviluppo di Bologna. Uno sviluppo capace dare ossigeno alle economie di luogo (piccoli commercianti e negozi di prossimità) spesso spiazzate dai big player del digitale, di promuovere una mobilità più sostenibile e di stimolare un consumo più responsabile. Il digitale che ricombina “scopo” e “scala” e che si mette al servizio dei bisogni di una comunità e di un territorio. Non siamo di fronte al secondo tempo della sharing economy, ma all’emersione di nuove soluzioni economiche dal Dna digitale e comunitario che si pongono l'obiettivo non solo di condividere risorse, ma anche valore e potere. L'orizzonte di queste nuove piattaforme non è quello di cercare un esponenziale “network effect” e neppure quello di fare exit, ma di consolidarsi e crescere al fine di farsi preferire e riconoscere dagli abitanti come bene comune. Sono iniziative autenticamente imprenditoriali, che assumono una grande valenza in termini sociali e politici perché oltre a proporsi come luogo di buona occupazione, si candidano a ripristinare i meccanismi coesivi e di comunità. Nel 2008 abbiamo visto fiorire, nell’utopia di una maggior comunanza, piattaforme digitali che il capitalismo estrattivo ha poi trasformato in monopoli che oggi condizionano e per certi versi “drogano” la nostra socialità. Imprese che attraverso business model incentrati sul “valore d’uso” hanno avuto impatti non sempre positivi sull'abitare, la fruizione dei luoghi, l'accesso ai servizi e la creazione di comunità. Si è infatti consumato un paradosso: il capitale sociale è stato usato per alimentare processi di estrazione del valore piuttosto che nuove e più solide forme di socialità. È un errore che non possiamo più ripetere. La coscienza di luogo e il valore dell'interdipendenza che questa fase storica sta facendo crescere, devono far maturare la consapevolezza che esiste un'alternativa alle piattaforme estrattive. La disuguaglianza che un certo consumo genera sta diventando intollerabile e alla politica una cosa va detta: «Si può fare». Esiste e ha senso incoraggiare una terza via, quella del neo-mutualismo. Una strada moderna, che non vuole essere solo una “provocazione” per gli amministratori, ma una strada reale da percorrere per rilanciare un “bene” che non può essere “comune” solo a parole.

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