STUPIDA RAZZA

giovedì 28 luglio 2022

Fmi: rischio recessione (dal 2023)

 

Il mondo potrebbe ritrovarsi sull’orlo di una recessione nel 2023, quando la crescita toccherà il minimo in diversi Paesi. Guerra e inflazione sono gli ingredienti del progressivo peggioramento delle prospettive. Secondo l’Fmi, la crescita globale nel 2022 dovrebbe rallentare al 3,2%, mentre la crescita attesa per il 2023 si dovrebbe fermare al 2,9%. Italia in controtendenza (+3% quest’anno, ma solo +0,7% nel 2023). Negli Stati Uniti e nell’Eurozona l’aumento del Pil potrebbe però sfiorare lo zero l’anno prossimo. Preoccupa anche l’economia cinese a causa dei lockdown. Il nemico numero uno è l’inflazione.Il prezzo dell’invasione russa dell’Ucraina e dell’inflazione record diventa sempre più alto: il Fondo monetario internazionale abbassa ancora le stime di crescita del Pil globale e alza quelle sui prezzi, guardando con preoccupazione alle pesanti incognite che potrebbero trasformare la frenata in brusco stop, se non addirittura in recessione. Uno scenario «plausibile», che penalizzerebbe soprattutto Europa e Stati Uniti. «Le prospettive si sono notevolmente oscurate in pochi mesi. Il mondo potrebbe presto ritrovarsi sull’orlo di una recessione», avvisa il capoeconomista dell’Fmi, Pierre-Olivier Gourinchas. Nel World Economic Outlook pubblicato ieri, le revisioni al ribasso più significative, per l’anno in corso, riguardano Usa e Cina. In controtendenza l’Italia, che potrebbe chiudere il 2022 con una crescita superiore alle attese. Questo almeno lo «scenario base», che vede l’economia globale rallentare al 3,2% quest’anno, 0,4 punti percentuali in meno rispetto alle stime di aprile. Nel 2023, la crescita, zavorrata dalle manovre anti-inflattive delle banche centrali, sarà ancora più bassa e si fermerà al 2,9% (con un taglio dello 0,7%). A questo scenario, già poco incoraggiante, l’Fmi ne accosta uno che porta a previsioni di crescita ancora più debole. I rischi sono consistenti e arrivano da molteplici fronti: primo tra tutti, quello del gas. La guerra in Ucraina potrebbe portare allo stop degli approvvigionamenti russi in Europa, con pesanti conseguenze su prezzi e crescita economica. Concatenato al conflitto in Ucraina, c’è il rischio inflazione, che potrebbe rivelarsi più difficile del previsto da domare. In generale, si prevede che l’aumento dei prezzi torni a livelli pre-pandemici entro la fine del 2024. Tuttavia, avvisa l’Fmi, ulteriori shock sui prezzi di cibo ed energia potrebbero far aumentare notevolmente l’inflazione e innescare ulteriori strette monetarie, con il rischio di spingere le economie in stagflazione. Altre incognite riguardano i mercati emergenti, che rischiano gravi crisi del debito, e nuovi lockdown in Cina. «In un plausibile scenario alternativo, nel quale alcune di queste ipotesi si realizzano, incluso lo stop totale all’export di gas russo verso l’Europa, la crescita globale scenderebbe a circa il 2,6% nel 2022 e al 2% nel 2023», scrive il capoeconomista dell’Fmi, Gourinchas. In questo scenario, «sia gli Usa che l’Eurozona registrerebbero crescita prossima allo zero nel 2023». L’Unione europea sarebbe particolarmente penalizzata, «con una crescita di 1,3 punti più bassa rispetto allo scenario base». E negli Stati Uniti, alcuni indicatori suggeriscono che la recessione tecnica sia già in atto. «Il rischio recessione è particolarmente significativo nel 2023, quando in diversi Paesi la crescita toccherà il minimo», i risparmi delle famiglie si saranno prosciugati e «anche piccoli shock potrebbero mandare in stallo le economie», avvisa il Fondo. Nei Paesi avanzati ad alto debito, l’aumento dei tassi, insieme alla crescita bassa, farà salire gli spread. Anzi, sottolinea l’Fmi, già si assiste a una divergenza nei tassi di finanziamento con rischi di frammentazione nell’area dell’euro, che alimentano preoccupazioni sulla corretta trasmissione della politica monetaria. Anche nello scenario base, quello meno pessimistico, gli Stati Uniti pagano un prezzo molto alto. La frenata di inizio anno, il calo dei consumi e la stretta della Fed spingono l’Fmi ad abbassare le previsioni di crescita di 1,4 punti percentuali per il 2022, al 2,3% (rispetto alle stime di aprile). L’aumento del Pil sarebbe solo dell’1% nel 2023 (-1,3%). Sulla Cina pesano invece la crisi del settore immobiliare e i lockdown per contenere la pandemia. Le stime di crescita 2022 scendono così di 1,1 punti e si fermano al 3,3%. Nel 2023, il Pil cinese tornerà ad accelerare al 4,6% (ma meno del previsto). Anche la crescita nell’Eurozona è rivista al ribasso, di 0,2 punti percentuali nel 2022, al 2,6%. Le migliori prospettive per il turismo e l’attività industriale in Italia sono più che compensate dai significativi declassamenti in Francia, Germania e Spagna. La frenata nel 2023 sarà più brusca: 1,1 punti percentuali in meno di crescita in meno e Pil fermo all’1,2%, a causa delle ricadute della guerra in Ucraina e della stretta monetaria della Bce. L’Italia vede le proprie previsioni di crescita per il 2022 salire al 3%, 0,7 punti in più rispetto alle stime di aprile. Ma l’anno prossimo perderà un punto, con aumento del Pil fermo allo 0,7%. La raccomandazione del Fondo è di portare avanti le riforme e i programmi avviati nell’ambito del Pnrr, qualsiasi Governo sia in carica. Le previsioni sulla Germania registrano una forte correzione quest’anno (-0,9% rispetto ad aprile, con crescita all’1,2%) e ancora più marcata nel 2023 (-1,9%), quando l’aumento del Pil si fermerà sotto l’1%. Robusta la crescita della Spagna: 4% nel 2022, che si dimezza però nel 2023. «Con l’aumento dei prezzi che continua a ridurre il tenore di vita in tutto il mondo, domare l’inflazione è la priorità», afferma il Fondo. La stretta monetaria «avrà costi economici, ma ogni ritardo non farà che aggravarli». Sostegni mirati possono aiutare ad alleviare l’impatto sui ceti più vulnerabili, ma con le finanze pubbliche messe alla prova dalla pandemia e la necessità di una politica macroeconomica disinflazionistica, «tali sostegni dovranno essere compensati dall’aumento delle tasse o dalla riduzione della spesa pubblica».

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