STUPIDA RAZZA

lunedì 25 luglio 2022

«E ora buttiamo a mare il green deal»

 

Appena sbarcato da Roma, dopo aver assistito al tramonto di Mario Draghi alla Camera, ha fatto un dettagliato racconto agli elettori: «Ha avuto ragione Matteo Salvini, sbagliavo io a pretendere lo strappo prima: m’inten - do di finanza, amo l’arte, ma l’a rte della politica devo ancora impararla fino in fondo». Claudio Borghi, 52 anni, occhi da furetto, ha il viso illuminato da nuova gioia. «Abbiamo vinto una battaglia per la democrazia che adesso ritorna nella sua forma più alta, ovvero le elezioni. Ma se vogliamo arrivare alla liberazione dell’Italia dal sistema di potere che il Pd incarna ne abbiamo di fronte una ancora più impegnativa: difendere il nostro ostinato desiderio di fare il bene comune». Un gentiluomo leghista, nemico giurato del politicamente corretto. La moglie Giorgia Fantin, raffinata wedding planner di caratura internazionale, lo invita spesso alla moderazione, lui pratica la schiettezza indossata con aplomb. «Mario Draghi è stato un grande protagonista nella finanza europea, ma forse come politico anche lui, come me, ha da imparare. Gli ultimi istanti non sono stati memorabili. Sei stato il banchiere centrale europeo, puoi ridurti a cercare voti con la mozione di Pier Ferdinando Casini? Puoi sfidare la Lega che il giorno prima ti sottopone l’urgenza della questione fiscale, dicendo che vuoi incassare 1.100 miliardi di cartelle esattoriali, di cui peraltro moltissime sono inesigibili? Se dici al Senato che ti senti investito direttamente dagli italiani non sei un grande, sei populista in senso deteriore. Inizialmente forse voleva andarsene, poi è stato preso dalla tigna di rimanere ed è finita nel modo peggiore». Perché lei ha sentito il bisogno di spiegare subito agli elettori? «Per metterli al riparo delle menzogne e per ringraziarli della pazienza che hanno avuto. In tanti ci spingevano a rompere e anche io l’ho pensato, invece sbagliavo. Bisognava stare lì per evitare il peggio e aspettare l’occasione buona. È stato il capolavoro di Matteo Salvini; ribaltare il quadro, andare da Silvio Berlusconi, chiamare Giorgia Meloni per spiegarle cosa avremmo fatto e rinsaldare il centrodestra e fare una proposta irrifiutabile: un Draghi bis senza i 5 stelle, costringendo gli altri a rompere. C’è stato anche il capolavoro retorico e ironico di Massimiliano Romeo al Senato quando a Draghi ha detto: presidente, vogliamo che lei rimanga lì. Draghi aveva detto: “Io sto qui perché lo vogliono gli i ta l i a n i”. E noi gli abbiamo replicato: bene, benissimo. Stai lì, ma senza i 5 stelle, senza la Lamorgese e senza Roberto Speranza. E a quel punto Enrico Letta, che è un personaggio di scarsa levatura, non ci ha capito più niente. Draghi ha intignato e ciao». Però lei ai suoi elettori ha anche chiesto scusa… «Vengo dalla finanza e lì si decide  in un altro modo. In politica devi avere il 51% e il pallino, per quanto fossero sfilacciati, era sempre in mano ai 5 stelle. Quando dicevo a Salvini: “A n d i a m o c e n e”, lui diceva: “No, restiamo perché se ce ne andiamo questi fanno come gli pare”. Dopo il governo gialloverde puntavamo alle elezioni, speravamo ancora di votare dopo il Conte 2. Il presidente della Repubblica ha fatto gravi ingiustizie a non indire le elezioni. A quel punto, dovevamo starci. Notava il mio collega Alberto Bagnai che durante il governo Draghi tutte le mattine a noi leghisti veniva offerta, in un cucchiaino d’argento, un po’ di cacca da mandare giù. E troppa ne abbiamo ingoiata. Quando Massimo Bitonci (esperto di fisco, è con Borghi, Bagnai e Gusmeroli nel think tank economico della Lega, ndr) come relatore nel decreto aiuti ha inserito l’emendamento sul reddito di cittadinanza che faceva saltare per aria i 5 stelle ho capito che avremmo smesso di ingoiare noi e quanto era importante stare in maggioranza. E alla fine il banco è saltato. Anche perché la Lega, a differenza degli altri partiti, è stata compatta. Abbiamo discusso molto, ma siamo stati un sol uomo dietro al segretario». Mario Draghi se n’è andato per stanchezza o Giuseppe Conte l’ha l ic e n z i ato? «Mario Draghi penso volesse andarsene dopo lo smacco della presidenza della Repubblica. E pure con gli errori compiuti, col senno di poi, dico che Salvini ha fatto benissimo a non mandarcelo. Conte si è accorto che sarebbe finito a fare lo scendiletto del Pd e sempre per la regola del 51% ha determinato la caduta di Draghi. Enrico Letta si è giocato malissimo la partita. Noi ci siamo presi il pallino in mano: il governo Draghi-bis eravamo davvero prontissimi a farlo, ma avremmo smesso d’i n goi a re » . Mario Draghi va rimpianto? «Non si rimpiange mai nessuno. Però va detto che si è occupato di tutto, tranne della questione fondamentale in cui avrebbe potuto farsi valere: andare a Bruxelles e ricontrattare il Patto di stabilità. Le condizioni c’erano: l’Europa non è mai stata così debole come oggi. La Germania vuole fare il riarmo da cento miliardi, deve salvare Deutsche bank, la Francia si è spaventata per lo spread sui suoi titoli. Le attuali regole stanno strette a tutti, soprattutto in questo quadro economico. Lì Draghi doveva spendere la sua presunta autorevolezza. Ma non l’ha fatto. Non vorrei che col nuovo governo l’Europa si svegliasse e rimettesse in vigore le regole. Lì c’è da fare un lavoro serio. Le altre poche cose di politica economica non mi pare abbiano inciso più di tanto. Se per strada si chiede cosa si ricorda di questo governo la risposta è: gli sbarchi senza controllo favoriti da Luciana Lamorgese, il green pass e le misure restrittive di Roberto Speranza, e le armi all’Ucraina. Se poi uno le coniuga col piano di Vittorio Colao di schedare tutti, diventano anche pericolose. Del governo gialloverde invece la gente si ricorda l’inizio della flat tax, quota 100 e lo stop agli sbarchi dei clandestini: mi pare meglio, no? Avevamo chiesto a Draghi di azzerare l’Iva sui beni di prima necessità come contrasto all’inflazio - ne, la pace fiscale, l’i n d ic i z za z io n e di salari e pensioni. Niente. Ho visto solo un eccesso di aggressività nel togliere le concessioni autostradali a Toto mentre i Benetton sono stati riempiti di miliardi; noto che le questioni di Mps e di Ita sono sempre lì. Il miracolo Draghi non l’ho proprio visto». Quindi l’Italia sta messa peggio di prima? «Beh, è difficile sostenere che le cose vadano bene. Però sono stupito della capacità di resistenza di questo Paese e delle sue forze economiche. Stanno superando di tutto, e lo Stato non li aiuta». Ma la destra non chiede meno Stato? «Io sono convinto che bisogna essere liberisti quando l’economia tira, e keynesiani quando ripiega». E cioè? «Questa sarà una campagna elettorale rapidissima. Dobbiamo spiegare le cose bene e avvertire che sono da attuare in due tempi. Subito, per far avvertire il cambiamento, bisogna azzerare l’Iva sui beni di prima necessità, pensare a difendere stipendi e pensioni dall’inflazione con indicizzazioni immediate. Se lasci fissi gli stipendi e le pensioni in presenza di inflazione equivale a tagliarli: hai un contraccolpo sui consumi e dei disagi insopportabili. E poi serve subito la pace fiscale». I famosi 1.100 miliardi di Draghi? «Appunto: noi il giorno prima gli andiamo a chiedere di lasciar perdere le cartelle esattoriali e lui il giorno dopo dice che vuole riscuotere tutti e subito 1.100 miliardi! Ma dove pensa che li abbiano gli italiani? E poi cercano di capire chi ha voluto rompere…si erano fatti lo schema: Draghi resta, fuori la Lega, il 5 stelle al guinzaglio e il Pd comanda. Hanno provato in tutti i modi a cacciarci, a cominciare da quando non gli abbiamo votato il green pass in commissione Sanità » . E la fase due? «Flat tax e riforma del fisco. Ma la flat tax intesa nella sua vera accezione: meno tasse e semplificazione. Che senso ha continuare con i bonus e tenere aliquote alte e leggi incomprensibili? Poi rilancio di tutti i settori produttivi». Il Pnrr che fine fa? «Ormai dobbiamo tenercelo. Ma non vedo nessun Comune felice per il Pnrr. Non viene mai raccontato che i soldi che ci versano vanno restituiti, sembra sempre che si parli di regali... Però se dicessimo: “basta, non ci interessa più il Pnrr”, smetteremmo di ricevere i finanziamenti ma saremmo costretti comunque a versare nella cassa comune. Va quindi portato a termine ma va anche rivisto, magari ripensando se accedere alla quota prestito » . Uno sguardo all’Europa: lei dice flat tax, ma ce la farebbero fare? «Noi paghiamo al massimo le tasse, comprese quelle sugli immobili, e chi parla di patrimoniale vaneggia. In Europa abbiamo titolo e ampio margine per far passare la nostra riforma del fisco. Proprio in rapporto ai parametri europei». La Bce preoccupata per il nostro debito e per lo spread vara lo scud o… «Lo scudo è il solito pasticcio all’europea: è mal fatto ed è discrezionale, ma ha un vantaggio: mette fuori gioco il Mes. Il meccanismo varato dalla Lagarde pone le condizioni prima di acquistare il debito; una volta acquistato lo deposita nella nostra banca centrale neutralizzandolo. Il Mes invece è di fatto u n’impresa privata che ti presta i soldi, ma ti detta le condizioni da strozzino dopo. Quanto allo spread: col governo gialloverde è arrivato a 300 e siamo sopravvissuti. Mi preoccuperei semmai della debolezza dell’Europa e della sua c o n f u s io n e » . A cominciare dal gas per finire col Green deal? «Esatto: il Green deal va buttato a mare. È pensabile di distruggere l’industria automotive, a cominciare da quella italiana, per fare un piacere ai cinesi? Sull’energia, vogliamo continuare a raccontare frottole? Penso che sulle strategie ambientali sia necessario mondialmente un ripensamento». Compreso il nucleare? «Compreso il nucleare. Senza, dove andiamo? Ragionano di razionare il gas e appena la Von der Leyen apre bocca la zittiscono. Draghi lancia il price cap e gli rispondono: “Ne parliamo poi”. È il momento di fare le cose sul serio e di essere seri. E noi lo siamo».

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