STUPIDA RAZZA

martedì 11 gennaio 2022

«Al Quirinale? Draghi o Berlusconi»

 

IO PUNTO PIU' SU DRAGHI,HA DIETRO IL POTERE FINANZIARIO !

Risuonano le note di Bach quando Nicola Piepoli ci accoglie nel suo studio. «È un’ottima maniera per distendere i nervi», confida il sondaggista, presidente e fondatore dell’Is t i - tuto di rilevazione Piepoli. Con il risiko del Quirinale che è già partito, proiezioni e statistiche aiutano a comprendere la direzione in cui si muove il carro della politica. «Che strano, fior di clienti hanno spesso invocato una mia candidatura», rivela Piepoli alla Ve rità , «ma ho sempre detto no. Eppure, non ho mai smesso di appassionarmi alla politica e di provare a interpretarne le dinam ic h e » . La lingua batte dove il dente duole, professore. Come mai ha sempre detto no? «Mio padre, che conosceva bene i riflessi condizionati, mi ha accompagnato per anni al cimitero di Castellana Grotte, in Puglia, a visitare le tombe dei caduti per mano del fascismo. “Se vuoi fare politica, finisci così”, mi diceva. Ammetto che era un po’ forte, ma ha funzionato». Sono giorni di interlocuzioni, retromarce, patti di fedeltà e sospetti reciproci: qual è la giusta combinazione per il Quirinale? «Leggo i giornali e mi viene da pi a n ge re » . Ad d i r i ttu ra? «Alcune ricostruzioni parlano di diversi scenari aperti dai leader dei partiti, in vista delle elezioni. Almeno 4. Per me, non esistono. Ce n’è uno solo da guardare: l’interesse comune. Tutto il resto è poesia, una cattiva poesia». Certo è che il nome del prossimo presidente della Repubblica passa necessariamente da accordi politici. Dal suo osservatorio, chi ha le probabilità più alte? «Due sono le strade più probabili, secondo me. La prima vede Mario Draghi al Quirinale. Meriterebbe di essere presidente, esattamente come lo hanno meritato gli altri presidenti eletti». Qualcuno sostiene che Draghi al Quirinale sia il fallimento della politica, incapace di trovare un nome alternativo e in grado di mettere tutti d’ac c o rd o. «Sarebbe una scelta dovuta, a fronte di una politica fallita. Provo a fare un ragionamento statistico: di persone valide, ne conosco e ne ho conosciute tante nella mia vita. Almeno 10. Altri, come me, ne conoscono e ne hanno conosciute. Ciò significa che i capaci ci sono, basta solo scovarli». In che modo pensa di scovarli? «Il modello che serve al Paese è quello immaginato da Charles de Gaulle qualche anno fa, quando ha messo le basi per la formazione dell’Ena, la scuola nazionale dell’amministrazione francese. Oggi il calcolo delle probabilità difende la Francia, hanno creato un insieme di possibili capi di Stato e di aziende, hanno pensato agli interessi dello Stato. È una cosa fattibile: insieme con Paolo Peluffo - sottosegretario alla presidenza del Consiglio con Mario Monti e assistente di Carlo Azeglio Ciampi al Quirinale - ci abbiamo provato». Come è finita? «Siamo stati fregati tutti e due: l’invidia generale nei confronti del sapere e del merito ci ha ostac o l ato » . Il secondo scenario che immagina quale sarebbe? «Silvio Berlusconi». È una corsa a due al moment o? «Per una ragione molto semplice: uno dice di non volerlo essere, ma se lo fosse sarebbe meglio anche per lui; l’altro dice di volerlo essere perché si ritiene il migliore di tutti. Sono due interpretazioni della vita che hanno un senso, il senso dell’auto s t i m a . Per poter essere qualcuno bisogna autostimarsi, e loro due lo fanno». Torniamo nel campo della statistica: che cosa dicono i numeri su queste due possibili candidatu re? «La probabilità che Draghi sia presidente della Repubblica vale il 40%, la stessa che assegno a re, da un punto di vista soggettivo, non è affatto fuori gioco. Nello spazio tra lui e Draghi, può inserirsi chiunque». Anche lei ha un nome, magari un outsider, per il Colle? «Dico Dario Franceschini, è una persona che meriterebbe. Ha un difetto: è di sinistra, quindi è odiato dallo schieramento opp o s to » . Non è un dettaglio di poco conto, non crede? Questa volta il pallino del gioco sembra essere in mano proprio al centrodestra. «Il pallino del gioco ce l’ha in mano chi ama la patria. Non mi prenda per filo francese, ma forse ci vorrebbe de Gaulle per decidere. Sarebbe una questione di metodo, di meritocrazia». Chi sceglierebbe de Gaulle, secondo lei? «Se dovessi mettermi nel suo cervello, penso che la scelta ricadrebbe su Draghi». Per i partiti, Draghi sarebbe una figura ingombrante al Quirin a l e? «Non penso, lo conosco bene. Sa tirarsi in un angolo, non ama comparire. Lo ha fatto nei suoi incarichi politici e tecnici, lo fa in famiglia». Silente lo è stato anche dopo l’approvazione del quarto decreto in poco meno di un mese sulla gestione della pandemia, quello che introduce l’obbligo vaccinale per gli over 50. Un errore? «Ha fatto il giusto, secondo me». Non crede che il capo del governo avrebbe fatto meglio a spiegare immediatamente il senso di tale misura, anziché lasciare il compito ai ministri? «Come mi ha insegnato Claudio Dematté, ex presidente Rai, il civil servant fa il suo lavoro in silenzio, non rompe le scatole». Lasciarsi strattonare dai partiti, che più volte hanno minacciato lo strappo in Consiglio dei ministri, è stato un segnale di debolezza politica? «Ha trattato, anche nella trattativa c’è amore di patria». Oppure ha preferito non inimicarsi i leader politici, in vista delle elezioni? «Secondo me non ci sono secondi fini». In caso di elezione di Draghi, già ci sono movimenti per un «governo fotocopia». «Non mi piace l’idea di governo fotocopia, spero più che altro in B e rlu s c o n i » . Numeri piuttosto alti. «La mia è semplicemente una prassi statistica». La somma delle due probabilità lascia un piccolo spazio conte n d i bi l e. «Quel che resta è puro caso, come scegliere un candidato tra 500.000 possibili. Ognuno di loro ha una probabilità dello zero v i rgo l a » . Anche Sergio Mattarella? Che ne pensa dell’ipotesi di una sua r iel ez io n e? «Anche Mattarella, sì. Anche se il presidente ha rifiutato nettamente, da servitore dello Stato qual è. Per lui 7 anni sono sufficienti, sono un grande sacrificio. I latini dicevano “est modus in rebu s ”, c’è una misura nelle cose. Ecco, non può esserci pazzia». Prima i senatori del Movimento 5 stelle, poi la corrente dei Giovani turchi del Pd, con in testa Matteo Orfini: in tanti guardano con un certo favore al bis. «Mattarella ha guidato bene il Paese, ha dato un senso dello Stato agli italiani, a tutti noi. Però, grazie presidente Mattarella, ha dato. Non è più la sua ora. Se guardassimo a un criterio esclusivamente anagrafico, anche Berlusconi sarebbe fuori. Eppure, da un punto di vista soggettivo, non è affatto fuori gioco. Nello spazio tra lui e Draghi, può inserirsi chiunque». Anche lei ha un nome, magari un outsider, per il Colle? «Dico Dario Franceschini, è una persona che meriterebbe. Ha un difetto: è di sinistra, quindi è odiato dallo schieramento opp o s to » . Non è un dettaglio di poco conto, non crede? Questa volta il pallino del gioco sembra essere in mano proprio al centrodestra. «Il pallino del gioco ce l’ha in mano chi ama la patria. Non mi prenda per filo francese, ma forse ci vorrebbe de Gaulle per decidere. Sarebbe una questione di metodo, di meritocrazia». Chi sceglierebbe de Gaulle, secondo lei? «Se dovessi mettermi nel suo cervello, penso che la scelta ricadrebbe su Draghi». Per i partiti, Draghi sarebbe una figura ingombrante al Quirin a l e? «Non penso, lo conosco bene. Sa tirarsi in un angolo, non ama comparire. Lo ha fatto nei suoi incarichi politici e tecnici, lo fa in famiglia». Silente lo è stato anche dopo l’approvazione del quarto decreto in poco meno di un mese sulla gestione della pandemia, quello che introduce l’obbligo vaccinale per gli over 50. Un errore? «Ha fatto il giusto, secondo me». Non crede che il capo del governo avrebbe fatto meglio a spiegare immediatamente il senso di tale misura, anziché lasciare il compito ai ministri? «Come mi ha insegnato Claudio Dematté, ex presidente Rai, il civil servant fa il suo lavoro in silenzio, non rompe le scatole». Lasciarsi strattonare dai partiti, che più volte hanno minacciato lo strappo in Consiglio dei ministri, è stato un segnale di debolezza politica? «Ha trattato, anche nella trattativa c’è amore di patria». Oppure ha preferito non inimicarsi i leader politici, in vista delle elezioni? «Secondo me non ci sono secondi fini». In caso di elezione di Draghi, già ci sono movimenti per un «governo fotocopia». «Non mi piace l’idea di governo fotocopia, spero più che altro in un governo giusto». È spuntato fuori anche il nome di Luigi Di Maio, come possibile primo ministro. Che ne pensa? «Si tratta di un buon nome. Non lo conosco, se non in maniera superficiale. Mi limito a interpretarne gesti e scelte: è cresciuto molto, non è più il Di Maio degli inizi». Quello che faceva visita ai gilet gialli insieme ad Alessandro Di B atti s ta? «Mi vengono in mente i criteri del creative problem solving dell’Università di Buffalo: convergenza, cioè la capacità di decidere in proprio, e divergenza, ovvero immaginare futuri possibili alternativi. Ecco, ho l’i m p re s s io n e che Di Maio li abbia colti entrambi, per questo motivo lo vedrei bene». Senza il collante Draghi, la Lega sarebbe a un bivio: sostenere un nuovo governo, con il rischio di vedere il consenso calare ulteriormente, o tornare all’opposiz io n e? «Non sono nella mente di Matteo Salvini, fatico a comprendere quale potrebbe essere la sua decisione, anche in funzione del bene del Paese». Per restare in tema di opposizione, quali scenari si aprono per Giorgia Meloni, in vista degli ultimi atti della legislatur a? «Sono un ammiratore di Giorgia Meloni. È riuscita a imporsi all’i nte r n o di un gruppo i cui capi sono sempre stati uomini. Nessuna donna, prima di lei, ci era riuscita. Sarebbe un ottimo presidente del Consiglio, così come ottima è la sua opposizione al premier attuale». Nonostante le critiche mosse alle misure del governo, sembra essere cauta nei confronti di Draghi. Preferisce altri bersagli: da Speranza al ministro dell’Istruzione, Patrizio Bianchi. Nei confronti di Giuseppe Conte, la linea era diversa. «La storia dell’ex premier Conte è del tutto differente. Qui e ora conta la storia dei rapporti tra Meloni e Draghi, che è una storia di assoluta correttezza costituzionale. Reciproca». E gli altri partiti, invece? Che scenari si aprono? «Saranno i 4 grandi partiti, quelli che hanno la maggioranza dei suffragi e che arrivano, chi più chi meno, all’80% dei consensi, ad agire per il bene del Paese. Sa come finirà?». C o m e? «La soluzione giusta diventerà operativa al momento giusto, come è stato per Mattarella e molto prima di lui per Luigi Einaudi ed Enrico De Nicola, i più grandi nel momento più difficile. Anche questa volta, lo stellone della Repubblica ci aiuterà».

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