IO PUNTO PIU' SU DRAGHI,HA DIETRO IL POTERE FINANZIARIO !
Risuonano le note
di Bach quando Nicola Piepoli ci accoglie nel suo studio.
«È un’ottima maniera per distendere i
nervi», confida il sondaggista,
presidente e fondatore dell’Is t i -
tuto di rilevazione Piepoli. Con il
risiko del Quirinale che è già partito, proiezioni e statistiche aiutano a comprendere la direzione
in cui si muove il carro della politica. «Che strano, fior di clienti
hanno spesso invocato una mia
candidatura», rivela Piepoli alla
Ve rità , «ma ho sempre detto no.
Eppure, non ho mai smesso di
appassionarmi alla politica e di
provare a interpretarne le dinam ic h e » .
La lingua batte dove il dente
duole, professore. Come mai ha
sempre detto no?
«Mio padre, che conosceva bene i riflessi condizionati, mi ha
accompagnato per anni al cimitero di Castellana Grotte, in Puglia, a visitare le tombe dei caduti
per mano del fascismo. “Se vuoi
fare politica, finisci così”, mi diceva. Ammetto che era un po’
forte, ma ha funzionato».
Sono giorni di interlocuzioni,
retromarce, patti di fedeltà e sospetti reciproci: qual è la giusta
combinazione per il Quirinale?
«Leggo i giornali e mi viene da
pi a n ge re » .
Ad d i r i ttu ra?
«Alcune ricostruzioni parlano
di diversi scenari aperti dai leader dei partiti, in vista delle elezioni. Almeno 4. Per me, non esistono. Ce n’è uno solo da guardare: l’interesse comune. Tutto il
resto è poesia, una cattiva poesia».
Certo è che il nome del prossimo presidente della Repubblica
passa necessariamente da accordi politici. Dal suo osservatorio,
chi ha le probabilità più alte?
«Due sono le strade più probabili, secondo me. La prima vede
Mario Draghi al Quirinale. Meriterebbe di essere presidente,
esattamente come lo hanno meritato gli altri presidenti eletti».
Qualcuno sostiene che Draghi
al Quirinale sia il fallimento della politica, incapace di trovare
un nome alternativo e in grado di
mettere tutti d’ac c o rd o.
«Sarebbe una scelta dovuta, a
fronte di una politica fallita. Provo a fare un ragionamento statistico: di persone valide, ne conosco e ne ho conosciute tante nella
mia vita. Almeno 10. Altri, come
me, ne conoscono e ne hanno
conosciute. Ciò significa che i capaci ci sono, basta solo scovarli».
In che modo pensa di scovarli?
«Il modello che serve al Paese è
quello immaginato da Charles de
Gaulle qualche anno fa, quando
ha messo le basi per la formazione dell’Ena, la scuola nazionale
dell’amministrazione francese.
Oggi il calcolo delle probabilità
difende la Francia, hanno creato
un insieme di possibili capi di Stato e di aziende, hanno pensato
agli interessi dello Stato. È una
cosa fattibile: insieme con Paolo
Peluffo - sottosegretario alla presidenza del Consiglio con Mario
Monti e assistente di Carlo Azeglio Ciampi al Quirinale - ci abbiamo provato».
Come è finita?
«Siamo stati fregati tutti e due:
l’invidia generale nei confronti
del sapere e del merito ci ha ostac o l ato » .
Il secondo scenario che immagina quale sarebbe?
«Silvio Berlusconi».
È una corsa a due al moment o?
«Per una ragione molto semplice: uno dice di non volerlo essere, ma se lo fosse sarebbe meglio anche per lui; l’altro dice di
volerlo essere perché si ritiene il
migliore di tutti. Sono due interpretazioni della vita che hanno
un senso, il senso dell’auto s t i m a .
Per poter essere qualcuno bisogna autostimarsi, e loro due lo
fanno».
Torniamo nel campo della statistica: che cosa dicono i numeri
su queste due possibili candidatu re?
«La probabilità che Draghi sia
presidente della Repubblica vale
il 40%, la stessa che assegno a
re, da un punto di vista soggettivo, non è affatto fuori gioco. Nello
spazio tra lui e Draghi, può inserirsi chiunque».
Anche lei ha un nome, magari
un outsider, per il Colle?
«Dico Dario Franceschini, è
una persona che meriterebbe.
Ha un difetto: è di sinistra, quindi
è odiato dallo schieramento opp o s to » .
Non è un dettaglio di poco conto, non crede? Questa volta il pallino del gioco sembra essere in
mano proprio al centrodestra.
«Il pallino del gioco ce l’ha in
mano chi ama la patria. Non mi
prenda per filo francese, ma forse ci vorrebbe de Gaulle per decidere. Sarebbe una questione di
metodo, di meritocrazia».
Chi sceglierebbe de Gaulle, secondo lei?
«Se dovessi mettermi nel suo
cervello, penso che la scelta ricadrebbe su Draghi».
Per i partiti, Draghi sarebbe
una figura ingombrante al Quirin a l e?
«Non penso, lo conosco bene.
Sa tirarsi in un angolo, non ama
comparire. Lo ha fatto nei suoi
incarichi politici e tecnici, lo fa in
famiglia».
Silente lo è stato anche dopo
l’approvazione del quarto decreto in poco meno di un mese sulla
gestione della pandemia, quello
che introduce l’obbligo vaccinale per gli over 50. Un errore?
«Ha fatto il giusto, secondo
me».
Non crede che il capo del governo avrebbe fatto meglio a
spiegare immediatamente il senso di tale misura, anziché lasciare il compito ai ministri?
«Come mi ha insegnato Claudio Dematté, ex presidente Rai, il
civil servant fa il suo lavoro in
silenzio, non rompe le scatole».
Lasciarsi strattonare dai partiti, che più volte hanno minacciato lo strappo in Consiglio dei
ministri, è stato un segnale di
debolezza politica?
«Ha trattato, anche nella trattativa c’è amore di patria».
Oppure ha preferito non inimicarsi i leader politici, in vista
delle elezioni?
«Secondo me non ci sono secondi fini».
In caso di elezione di Draghi,
già ci sono movimenti per un «governo fotocopia».
«Non mi piace l’idea di governo
fotocopia, spero più che altro in
B e rlu s c o n i » .
Numeri piuttosto alti.
«La mia è semplicemente una
prassi statistica».
La somma delle due probabilità lascia un piccolo spazio conte n d i bi l e.
«Quel che resta è puro caso,
come scegliere un candidato tra
500.000 possibili. Ognuno di loro ha una probabilità dello zero
v i rgo l a » .
Anche Sergio Mattarella? Che
ne pensa dell’ipotesi di una sua
r iel ez io n e?
«Anche Mattarella, sì. Anche
se il presidente ha rifiutato nettamente, da servitore dello Stato
qual è. Per lui 7 anni sono sufficienti, sono un grande sacrificio.
I latini dicevano “est modus in
rebu s ”, c’è una misura nelle cose.
Ecco, non può esserci pazzia».
Prima i senatori del Movimento 5 stelle, poi la corrente dei
Giovani turchi del Pd, con in testa Matteo Orfini: in tanti guardano con un certo favore al bis.
«Mattarella ha guidato bene il
Paese, ha dato un senso dello Stato agli italiani, a tutti noi. Però,
grazie presidente Mattarella, ha
dato. Non è più la sua ora. Se
guardassimo a un criterio esclusivamente anagrafico, anche
Berlusconi sarebbe fuori. Eppure, da un punto di vista soggettivo, non è affatto fuori gioco. Nello
spazio tra lui e Draghi, può inserirsi chiunque».
Anche lei ha un nome, magari
un outsider, per il Colle?
«Dico Dario Franceschini, è
una persona che meriterebbe.
Ha un difetto: è di sinistra, quindi
è odiato dallo schieramento opp o s to » .
Non è un dettaglio di poco conto, non crede? Questa volta il pallino del gioco sembra essere in
mano proprio al centrodestra.
«Il pallino del gioco ce l’ha in
mano chi ama la patria. Non mi
prenda per filo francese, ma forse ci vorrebbe de Gaulle per decidere. Sarebbe una questione di
metodo, di meritocrazia».
Chi sceglierebbe de Gaulle, secondo lei?
«Se dovessi mettermi nel suo
cervello, penso che la scelta ricadrebbe su Draghi».
Per i partiti, Draghi sarebbe
una figura ingombrante al Quirin a l e?
«Non penso, lo conosco bene.
Sa tirarsi in un angolo, non ama
comparire. Lo ha fatto nei suoi
incarichi politici e tecnici, lo fa in
famiglia».
Silente lo è stato anche dopo
l’approvazione del quarto decreto in poco meno di un mese sulla
gestione della pandemia, quello
che introduce l’obbligo vaccinale per gli over 50. Un errore?
«Ha fatto il giusto, secondo
me».
Non crede che il capo del governo avrebbe fatto meglio a
spiegare immediatamente il senso di tale misura, anziché lasciare il compito ai ministri?
«Come mi ha insegnato Claudio Dematté, ex presidente Rai, il
civil servant fa il suo lavoro in
silenzio, non rompe le scatole».
Lasciarsi strattonare dai partiti, che più volte hanno minacciato lo strappo in Consiglio dei
ministri, è stato un segnale di
debolezza politica?
«Ha trattato, anche nella trattativa c’è amore di patria».
Oppure ha preferito non inimicarsi i leader politici, in vista
delle elezioni?
«Secondo me non ci sono secondi fini».
In caso di elezione di Draghi,
già ci sono movimenti per un «governo fotocopia».
«Non mi piace l’idea di governo
fotocopia, spero più che altro in un governo giusto».
È spuntato fuori anche il nome
di Luigi Di Maio, come possibile
primo ministro. Che ne pensa?
«Si tratta di un buon nome.
Non lo conosco, se non in maniera superficiale. Mi limito a interpretarne gesti e scelte: è cresciuto molto, non è più il Di Maio
degli inizi».
Quello che faceva visita ai gilet
gialli insieme ad Alessandro Di
B atti s ta?
«Mi vengono in mente i criteri
del creative problem solving dell’Università di Buffalo: convergenza, cioè la capacità di decidere in proprio, e divergenza, ovvero immaginare futuri possibili alternativi. Ecco, ho l’i m p re s s io n e
che Di Maio li abbia colti entrambi, per questo motivo lo vedrei
bene».
Senza il collante Draghi, la Lega sarebbe a un bivio: sostenere
un nuovo governo, con il rischio
di vedere il consenso calare ulteriormente, o tornare all’opposiz io n e?
«Non sono nella mente di Matteo Salvini, fatico a comprendere
quale potrebbe essere la sua decisione, anche in funzione del bene
del Paese».
Per restare in tema di opposizione, quali scenari si aprono
per Giorgia Meloni,
in vista degli ultimi
atti della legislatur a?
«Sono un ammiratore di Giorgia
Meloni. È riuscita a
imporsi all’i nte r n o
di un gruppo i cui
capi sono sempre
stati uomini. Nessuna donna, prima
di lei, ci era riuscita. Sarebbe un ottimo presidente del
Consiglio, così come ottima è la sua
opposizione al premier attuale».
Nonostante le critiche mosse
alle misure del governo, sembra
essere cauta nei confronti di
Draghi. Preferisce altri bersagli:
da Speranza al ministro dell’Istruzione, Patrizio Bianchi. Nei
confronti di Giuseppe Conte, la
linea era diversa.
«La storia dell’ex premier Conte è del tutto differente. Qui e ora
conta la storia dei rapporti tra
Meloni e Draghi, che è una storia
di assoluta correttezza costituzionale. Reciproca».
E gli altri partiti, invece? Che
scenari si aprono?
«Saranno i 4 grandi partiti,
quelli che hanno la maggioranza
dei suffragi e che arrivano, chi
più chi meno, all’80% dei consensi, ad agire per il bene del Paese.
Sa come finirà?».
C o m e?
«La soluzione giusta diventerà
operativa al momento giusto, come è stato per Mattarella e molto
prima di lui per Luigi Einaudi ed
Enrico De Nicola, i più grandi nel
momento più difficile. Anche
questa volta, lo stellone della Repubblica ci aiuterà».
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