Nell’industria della produzione e trasformazione della gomma e della plastica serpeggia una forte preoccupazione per le conseguenze del caro energia. «L’incidenza dell’energia sui costi di produzione può variare dal 25% fino al 30-35% anche in funzione del materiale che si trasforma e del prodotto finito - dice il presidente di Unionplast, Marco Bergaglio -. Il peso sul prodotto finito oggi è raddoppiato e la situazione è molto complicata. I segnali che abbiamo, ci portano a fare previsioni non positive». L’impatto potrebbe così arrivare fino all’occupazione, se si ripeterà quanto accaduto tra la fine dello scorso anno e l’inizio di questo. I cali produttivi «Quando c’è stata la prima fiammata, alla fine del 2021, ci siamo fermati per alcuni giorni – ricorda Bergaglio -. Il problema adesso è che giocoforza tutti abbiamo scaricato gli aumenti a valle e quando il livello dei prezzi sale così tanto la domanda si riduce. Già da tempo cominciamo a vederlo». Il Corepla, il consorzio che si occupa della raccolta e del riciclo di imballaggi di plastica ha misurato una riduzione dell’immesso al consumo stimato intorno al 2%. Davanti a un’inflazione così alta le aziende si aspettano una riduzione dei volumi prodotti, in linea con quanto accade negli altri settori. «In media, negli ultimi 2 trimestri, c’è stata una diminuzione del consumo di gas del 15% e questo vuol dire che l’industria sta tagliando produzioni. Nel nostro settore ci aspettiamo cali di produzione a doppia cifra», continua Bergaglio. Il tavolo sull’energia La situazione così critica che si sta determinando ha spinto la Federazione gommaplastica che rappresenta imprese che hanno un giro d’affari complessivo di 30 miliardi (di cui 10 realizzati dall’industria plastica) a istituire un tavolo di lavoro federativo sull’energia per informare gli associati sugli scenari, sulle normative, sulla contrattualistica. Il tavolo, coordinato da Bergaglio che è anche vicepresidente della Federazione gommaplastica, dovrà fare da trait d’union tra il gruppo tecnico energia di Confindustria e gli associati della Federazione. Per gli imprenditori l’aumento è stato del tutto inaspettato, non si prevedeva una tale virulenza nel periodo post covid. «Sicuramente negli anni passati è mancata la visione, perché se nel 2020, 2021 ci fosse stata più analisi dello scenario geopolitico complessivo, forse si potevano trovare soluzioni in grado di ammortizzare parzialmente la situazione in cui ci troviamo», interpreta Bergaglio. La competitività internazionale Guardando allo scenario internazionale, oggi si pone con forza il tema della competitività, perché «le nostre aziende hanno importanti quote di export e operiamo in un contesto dove i concorrenti europei hanno una frazione del nostro problema», sostiene Bergaglio. Il riferimento è, in particolare alla Spagna, alla Francia e alla Germania. «In Spagna, grazie all’introduzione di un price cap sul gas, il costo è la metà rispetto all’Italia, mentre in Francia – continua Bergaglio – sono stati messi a disposizione dell’industria 125 terawattora a un prezzo politico di 42 euro al megawattora, grazie alla compensazione dello Stato che ha deciso di nazionalizzare Edf. In Italia il prezzo al megawattora è arrivato a 500 euro e non era di 42 nemmeno nel 2019». Il problema, infatti, si trascina da anni, senza che si siano mai trovate soluzioni strutturali. Sempre guardando oltreconfine, «in Germania, la scelta è stata di mantenere in attività le centrali a carbone e le centrali nucleari, che dovevano essere dismesse, ancora per qualche mese. Oltre a prevedere un budget di consistenza inimmaginabile per il nostro paese a sostegno delle bollette dell’industria, pari a 200 miliardi di euro. Però andare in ordine sparso non rimanda solo a una questione di poca solidarietà tra i paesi, ma significa alterare gli equilibri della competizione ad armi pari che la comunità europea ha cercato di costruire», dice Bergaglio. La via dell’autoproduzione Il tema energia per le aziende del settore comprende sia il gas che l’energia elettrica, perché ci sono aziende che utilizzano l’una e altre che utilizzano soprattutto l’altra. Poi ci sono le aziende che cogenerano. Oltre alla scelta di istituire un tavolo sull’energia, all’interno della Federazione gommaplastica le imprese hanno iniziato a chiedersi cosa fare per il futuro. «Per la parte che riguarda la plastica, in particolare, abbiamo di recente siglato un protocollo con Anie per lo sviluppo delle produzioni di rinnovabili – spiega Bergaglio -. Si tratta di un percorso lungo: un impianto fotovoltaico è un investimento importante e di lungo periodo e non è risolutivo perché le nostre aziende producono anche di notte e quando non c’è il sole. L’obiettivo è comunque aumentare la quota di autoproduzione che potrebbe portare anche a un abbattimento del prezzo fino a 60 euro al megawattora, quando in settembre il prezzo alla borsa elettrica italiana oscillava tra 300 e 350 euro. Questo consentirebbe anche di fare passi avanti sulla decarbonizzazione del settore».
NEL 2012 NON CI SARA' LA FINE DEL MONDO IN SENSO APOCALITTICO,MA UN CAMBIAMENTO A LIVELLO POLITICO ED ECONOMICO/FINANZIARIO. SPERIAMO CHE QUESTA CRISI SISTEMICA ,CI FACCIA FINALMENTE APRIRE GLI OCCHI SUL "PROGRESSO MATERIALE:BEN-AVERE""ECONOMIA DI MERCATO" FIN QUI RAGGIUNTO E SPERARE IN UN ALTRETTANTO "PROGRESSO SPIRITUALE:BEN-ESSERE"ECONOMIA DEL DONO,IN MODO DA EQUILIBRARE IL TUTTO PER COMPLETARE L'ESSERE UMANO:"FELICITA' NELLA SUA COMPLETEZZA".
STUPIDA RAZZA
venerdì 28 ottobre 2022
Aie: «La guerra in Ucraina sarà un punto di svolta per la transizione verde»
La guerra in Ucraina può trasformarsi da fattore di stallo a punto di svolta nella lotta al climate change. Ne è convinto Fatih Birol, il direttore dell’Agenzia internazionale per l’energia (Aie), che ieri ha presentato il suo rapporto annuale. Per la prima volta, si prevede uno stop della crescita di tutte le fonti fossili, gas compreso, che lasceranno sempre più spazio alle rinnovabili. Il calo delle forniture dalla Russia ha spinto l’Europa a riscoprire perfino il carbone e i contraccolpi della crisi hanno messo in ombra lo sviluppo delle fonti alternative. L’Onu denuncia che si è «sprecato un altro anno» e avvisa che i Governi sono molto lontani dall’obiettivo di limitare attorno a 1,5° l’aumento delle temperature globali. Al contrario, il termometro sembra destinato a salire di 2,5-2,8 gradi. Lo scenario dell’Aie offre però spiragli di ottimismo. «I mercati e le politiche energetiche sono cambiati a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina, non solo per questa fase, ma per i decenni a venire. Le risposte dei Governi in tutto il mondo promettono di fare di questo un punto di svolta verso un sistema energetico più pulito, conveniente e sicuro», ha detto Birol.Le misure anti-crisi, come l’Inflation Reduction Act negli Usa e il pacchetto REPowerEU, si sommano ai piani già esistenti anche in Giappone, Cina e India, e faranno salire gli investimenti nelle fonti pulite sopra i 2mila miliardi di dollari all’anno entro il 2030, quasi il 50% in più rispetto ai livelli attuali (ma poco rispetto ai 4mila che servirebbero). Al contrario, per la prima volta le previsioni sulla domanda globale di combustibili fossili mostrano un picco alla metà degli anni Venti, seguito da una discesa costante. Stesso tracciato per le emissioni di gas serra. E questo nello scenario basato sulle politiche attuali, senza prendere in considerazione quelle annunciate dagli Stati, ma non ancora applicate. La domanda di carbone comincerà a scendere a breve. Il consumo di petrolio inizierà a ridursi verso la metà degli anni Trenta. Anche «l’età dell’oro del gas» sembra agli sgoccioli: nelle previsioni dell’Aie, il consumo aumenterà di meno del 5% fino al 2030, per poi stabilizzarsi. La quota di combustibili fossili nel mix energetico globale, date le politiche attuali, scenderà da circa l’80% attuale al 60% nel 2050. E la Russia vedrà ridimensionato il proprio ruolo nel mercato globale dell’energia. «Le sue esportazioni di combustibili fossili non torneranno mai ai livelli del 2021», scrive l’Aie. Anche perché, «il riorientamento verso i mercati asiatici è molto problematico, soprattutto per il gas naturale». Di conseguenza, la quota della Russia nello scambio internazionale dell’energia, «che era quasi al 20% nel 2021, crollerà al 13% nel 2030».
Addio alle auto a benzina e diesel Intesa nella Ue per il divieto dal 2035
È stato raggiunto ieri in tarda serata un accordo storico tra Parlamento e Consiglio sul futuro delle emissioni nocive dei veicoli leggeri. Dopo lunghi mesi di trattativa, le due istituzioni si sono accordate per mettere al bando dal 2035 in poi automobili nuove a combustione. L’intesa, la prima del pacchetto Fit for 55, deve servire a ridurre le emissioni nocive per giungere alla neutralità climatica entro il 2050. Una clausola di eventuale revisione scatterà nel 2026. «Questo accordo aprirà la strada a un’industria automobilistica moderna e competitiva nell’Unione europea – ha detto ieri sera Jozef Síkela, il ministro ceco dell’Industria e del Commercio, a nome della presidenza di turno della Ue -. Il mondo sta cambiando e noi dobbiamo rimanere all’avanguardia nell’innovazione. Credo che possiamo trarre vantaggio da questa transizione tecnologica. La tempistica prevista rende gli obiettivi raggiungibili anche per le case automobilistiche». «I costruttori responsabili di piccoli volumi di produzione in un anno solare (da 1.000 a 10mila nuove autovetture o da 1.000 a 22mila nuovi furgoni) possono ottenere una deroga fino alla fine del 2035 (mentre quelli responsabili di meno di 1.000 immatricolazioni di nuovi veicoli all’anno continueranno a essere esenti)», ha spiegato ieri sera in un comunicato il Parlamento europeo. Le case automobilistiche saranno chiamate a passaggi intermedi nella riduzione delle loro emissioni nocive nel 2025 e nel 2030 (rispetto ai dati del 2021). L’ accordo segna una vittoria per la Commissione europea che poco più di un anno fa aveva presentato obiettivi ritenuti spesso troppo ambiziosi (si veda Il Sole 24 Ore del 15 luglio 2021). L’intesa giunge mentre Bruxelles sostiene che l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia e la conseguente grave crisi energetica devono accelerare la transizione ambientale dell’Unione europea, non certo ostacolarla. (🤔🤔🤔) «L’esecutivo comunitario pubblicherà una relazione entro la fine del 2025, e successivamente ogni due anni, per valutare i progressi verso una mobilità stradale a zero emissioni – spiegava ieri sera sempre il Parlamento europeo -. La relazione riguarderà l’impatto sui consumatori e sull’occupazione, i progressi in termini di efficienza energetica e di accessibilità economica dei veicoli a zero e a basse emissioni». Nell’accordo, che deve essere confermato dal Consiglio e dal Parlamento, si prende posizione sui carburanti sintetici, ritenuti neutri dal punto di vista delle emissioni di CO2. Una richiesta in particolare tedesca. Dopo aver consultato le parti interessate, la Commissione presenterà una proposta per l’immatricolazione di veicoli alimentati con questi carburanti dopo il 2035, in conformità con la legislazione europea, nel rispetto dell’obiettivo di neutralità climatica dell’Unione europea. In fin dei conti l’Europa sta scommettendo sull’auto elettrica. Positivo il commento di Julia Poliscanova, della ONG Transport & Environment: «I giorni del motore a combustione, che sputa carbonio e produce inquinamento, sono finalmente contati». Più scettico Carlos Tavares, l’amministratore delegato del gruppo Stellantis, nato dalla fusione di PSA e di Fiat-Chrysler: «Non vedo la classe media in grado di acquistare auto elettriche a 30mila euro», (👍👍👍) aveva detto ieri prima dell’accordo.
Putin nega di avere minacciato l’uso di armi nuclerari
Minaccioso all’esterno. Vittima, ma solidamente alla guida, all’interno. Vladimir Putin ha usato il suo discorso annuale al think tank Valdai di Mosca, uno dei grandi strumenti della sua macchina propagandistica, per consolidare il consenso nel paese. Al termine del meeting dedicato al «Mondo post-egemonico. Giustizia e sicurezza per tutti», ha soprattutto voluto disegnare una Russia né isolata né abbattuta. Mosca ha molti amici nel mondo, ha detto, e non deve imporre niente a nessuno. Xi Jinping, il presidente cinese, è un «amico», e i rapporti commerciali con la Cina sono in crescita, mentre Erdogan, che pure non è un «partner facile» è «un leader molto forte» e un «partner coerente e affidabile» che «non si fa guidare dagli interessi dei Paesi terzi». Forte anche economicamente - la Russia ha superato «il picco» delle difficoltà economiche legate a sanzioni introdotte per «affossare l’economia russa» - Mosca è pronta a «risolvere qualsiasi questione» attraverso il dialogo con gli Stati Uniti»: «Nel dicembre dell’anno scorso - ha detto - abbiamo proposto agli Usa di continuare il dialogo sulla stabilità strategica. Non ci hanno risposto». È sull’Occidente - secondo Putin - che ricadono tutte le responsabilità. «Ha compiuto diversi passi verso l’escalation», ha affermato: «Stanno alimentando la guerra in Ucraina, organizzando politici a Taiwan, destabilizzando i mercati mondiali dell’energia e degli alimentari». «Il dominio del mondo - ha aggiunto - è precisamente quello che l’Occidente ha deciso di mettere in gioco in questa gara, ma questa gara è pericolosa, sporca e sanguinosa». Mosca avrebbe voluto essere amica degli Stati Uniti e della Nato, ma l’Occidente aveva un obiettivo diverso: indebolire la Russia. Putin ha anche negato di aver minacciato l’uso proattivo di armi nucleari - laddove l’uso di atomiche tattiche, ossia per bloccare l’avanzata ucraina era stato apertamente evocato per difendere i territori annessi - perché la dottrina militare ne autorizza solo un uso difensivo. Sarebbe stato invece l’Occidente a fare «minacce atomiche». L’ex premier britannica Liz Truss, in particolare, si è comportata come una «pazza». Gli Stati Uniti hanno ieri escluso un incontro con Putin al G20, mentre l’atteso documento sulla strategia di difesa nazionale del Pentagono, riconoscendo la minaccia nucleari di due grandi potenze, ha rinunciato a escludere l’uso di armi atomiche per difendersi da minacce strategiche anche non nucleari verso il territorio nazionale, le forze armate all’estero e gli alleati.
Zuckerberg tradito dal Metaverso: Meta crolla a Wall Street
Era il 29 ottobre del 2021. Praticamente un anno fa. E Mark Zuckerberg, scottato dalle ultime vicissitudini legate a Facebook, annunciava al mondo la sua scommessa più importante: il Metaverso. E con essa il cambio di nome di Facebook Inc, che da quel giorno è diventata Meta Platforms. Più che un cambiamento, una specie di terremoto per la società nata fra i banchi universitari di Harvard e finita fra le trillion dollars companies a Wall Street. Quel giorno, alla borsa di New York, la capitalizzazione di mercato di Facebook era di poco superiore ai 900 miliardi di dollari, dopo che i picchi di fine estate l’avevano portata a sfondare la quota di 1 trilione. Oggi, un anno dopo, quel valore è stato sgretolato dagli eventi, perdendo circa il 70% e alimentando grossi dubbi sulla reale tenuta di un modello di business che fino a ieri sembrava imperforabile. Ritorno al 2016 Ieri a Wall Street il titolo di Meta ha faticato a reggere la soglia dei 100 dollari per azione, collezionando un sell-off pesantissimo, fra il 20 e il 25%. Nella gloriosa storia di Meta, per ritrovare le azioni a questo livello è necessario tornare indietro al 2016. Un crollo senza paracadute che ha spinto la capitalizzazione di mercato ben al di sotto dei 300 miliardi, collocando la società di Mark Zuckerberg addirittura fuori dalla top 20 fra le aziende più capitalizzate al mondo. I tre fattori chiave Il crollo di Meta è imputabile essenzialmente a tre fattori. Il primo è di ordine macro-economico, e riguarda l’intero universo Big Tech. La fine della pandemia, il ritorno alla normalità, l’arrivo della crisi e del mercato orso, l’inflazione, i venti di recessione, l’instabilità geopolitica: sono tutti elementi che hanno fatto malissimo alla volatilità dei titoli tecnologici. Poi c’è il Metaverso. La scommessa all-in di Mark Zuckerberg su questa innovazione, per ora, è persa. Certo, non è possibile sostenere che il Metaverso non abbia futuro. Anzi. A quanto pare, però, non ha presente. E i numeri emersi dalla trimestrale dell’azienda di Menlo Park lo confermano. I ricavi di Reality Lab, l’unità metaverse di Meta, si sono quasi dimezzati nel terzo trimestre a 285 milioni di dollari, mentre le perdite sono state di 3,7 miliardi di dollari rispetto ai 2,6 miliardi di un anno fa. Il terzo fattore, forse quello più ingombrante, riguarda gli annunci pubblicitari. Il mercato dell’advertising è in crisi, fiaccato da un contesto globale difficile. E per Meta, le cui revenue complessive sono visceralmente esposte agli annunci, è una mannaia. Il tutto è reso più difficile dalla crescita incontrastata di un competitor come TikTok e dall’App Transparency Tracking, la tecnologia di Apple che da circa un anno ha deciso di schermare gli oltre 1,2 miliardi di iPhone attivi in tutto il mondo, riparando gli utenti dalla profilazione pubblicitaria. Un’arma che già un anno fa dalle parti di Meta avevano avvertito come minacciosa, con un impatto potenziale stimato in 10 miliardi di dollari. Il paradosso dei dati Ma la storia finanziaria di Meta è anche uno dei più grandi paradossi di Wall Street. Perché per un Metaverso che non decolla, c’è un business molto solido in mano al colosso di Mark Zuckerberg. Ed è tutta la galassia legata al social networking: da Facebook a Instagram, fino a WhatsApp. Tutte piattaforme che possono contare (ognuna) su oltre 2 miliardi di utenti attivi mensilmente. Numeri che fanno di Reality Lab e del Metaverso un business assolutamente marginale all’interno del quadro complessivo della società. L’impressione, allora, è che la forzatura del Ceo, che un anno fa ha deciso di accelerare visibilmente la corsa - anche comunicativa - al Metaverso, si sia trasformata in una trappola. Una trappola che Meta sta pagando a caro prezzo.
Ecco cosa rischia la Bce con il nuovo rialzo al buio
L a Bce continua con i suoi rialzi al buio: inasprisce i i tassi di interesse, ma non spiega perchè. Così facendo si sta assumendo il rischio di innescare quel circolo vizioso per cui l’ambuiguità della politica monetaria riduce la credibilità della banca centrale. I danni possono essere economici, riducendo l’efficacia dell’azione dell’istituto di Francoforte, e politici, intaccando nei fatti la sua indipendenza. (👍👍👍) I danni dell’ambiguità sono evidenti se si mettono in fila gli anelli di quella catena di trasmissione che parte da quello che Christine Lagarde ed il suo consiglio fanno e dicono. I fatti e le parole dovrebbero influenzare nella giusta direzione le aspettative di famiglie, imprese e mercati. Ma questo cosa significa nell’attuale contesto macroeconomico, in cui l’inflazione continua ad essere alimentata da spinte sui costi delle imprese dovuto all’inasprimento dei prezzi dell’energia? Semplice: bisogna evitare che le aspettative di inflazione incorporino sistematicamente tale inasprimento, trasformandolo da temporaneo a strutturale. (👍👍👍) Cosa potrebbe fare la Bce? Spiegare in modo completo trasparente dove sta andando, ed a quale velocità intende andarci. Traduzione: finiti gli interventi programmati sulla liquidità, la Bce dovrebbe dirci quale è il livello del tasso di interesse compatibile, nel medio periodo, al raggiungimento del suo target inflazionistico. Quindi continuare ad annunziare la sua politica monetaria, avendo cioè una regola, che al contempo flessibile, in quanto tarabile sull’evoluzione congiunturale. Esempio: con le attuali stime che danno il livello strutturale del tasso di rendimento reale sulle attività prive di rischio praticamente a zero, ed un obiettivo inflazionistico del due per cento, il tasso che corrisponderebbe ad una politica monetaria neutrale, cioè nè restrittiva nè espansiva, sarebbe uguale al due per cento.Quindi, con gli aumenti decisi ieri, la Bce avrebbe chiuso la fase espansiva della politica monetaria, iniziata nel 2014, aprendo una fase restrittiva. La fase restrittiva avrebbe un obiettivo ed un percorso. L’obiettivo sarebbe quello di ritornare nel medio periodo al due per cento, ed il percorso, velocità inclusa, dipenderebbe dalla dinamica dell’inflazione effettiva. Una simile condotta, se definita ed attuate in modo credibile, diventerebbe una utile bussola per l’economia. Effetto positivo: aumentano le probabilità che le aspettative inflazionistiche considerino l’inflazione temporanea, sempre in un orizzonte di medio periodo. (👍👍👍) Di riflesso, i costi della restrizione monetaria diventerebbero minori. Concretamente, la recessione diventerebbe un evento meno probabile, ed in ogni caso le sue coordinate principali - profondità e durata – sarebbero più dolci. È l’auspicabile ”Effetto Ulisse”: una banca centrale credibile può attuare una politica anti-inflazionistica, minimizzandone i rischi recessivi. La Bce sta andando nella direzione opposta. Lo strumento degli annunzi programmatici è stato completamente archiviato. Gli argomenti? L’alta incertezza della congiuntura economica, unita al fatto che gli interventi di politica monetaria prendono tempo per avere efficacia. Ma entrambi gli argomenti sono proprio quelli che l’analisi economica indica come fattori che dovrebbero consigliare una banca centrale ad adottare una regola monetaria flessibile. Altrimenti, aumenta il rischio che le aspettative, quindi l’inflazione, vadano nella direzione opposta a quella auspicabile. È il temibile “Effetto Delfi”: quello che la Bce fa e dice viene interpretato, e l’effetto è assolutamente imprevedibile, e può essere anche altamente sgradito. L’opacità della politica monetaria può intaccare la credibilità della banca centrale, perchè può essere attribuita a comportamenti opportunistici da parte dei banchieri centrali, innescando un pericolo circolo vizioso. È un pericolo da non sottovalutare. Un esempio? La premier finlandese Sanna Marin si è di fatto chiesta se l’area Euro cadrà in recessione perchè c’è una Bce autoreferenziale. Se si continua a non spiegare quello che si fa, questa è una rondine che rischia di far primavera.
Lagarde: avanti con il rialzo dei tassi Liquidità, alta tensione tra banche e Bce
La Banca centrale europea ha portato il tasso di riferimento al 2%, con un rialzo di 0,75 punti percentuali, il secondo consecutivo dopo quello di settembre e il rialzo di 50 punti base a luglio. La presidente Christine Lagarde non ha escluso nuove strette, da decidere «riunione dopo riunione» nonostante i rischi di recessione, «perché l’inflazione è troppo alta e rimarrà alta a lungo». Ma sui mercati affiora la fiducia in una politica più accomodante. Sulla liquidità è tensione tra banche e Bce dopo la stretta sui prestiti Tltro.«Dobbiamo fare quello che dobbiamo fare. Una banca centrale ha il mandato della stabilità dei prezzi e deve perseguirlo usando tutti i mezzi». (🤣🤣🤣) Così la presidente Christine Lagarde ha confermato ieri la determinazione della Bce a centrare il target e riportare «tempestivamente» l’inflazione al 2% sul medio termine, spiegando la decisione del Consiglio direttivo di aumentare ieri i tassi per la seconda volta «sensibilmente» dello 0,75%, in tre meeting consecutivi. Tuttavia la scelta delle parole nelle decisioni di politica monetaria, l’enfasi e il tono della conferenza stampa ieri hanno fatto emergere una Bce lievemente “dovish” (colomba), o meglio, meno falco delle precedenti riunioni, e questo hanno capito i mercati e gli analisti. La frase chiave si trova all’inizio delle decisioni di politica monetaria, quando la Bce indica di aver «compiuto progressi considerevoli nell’abbandono dell’orientamento accomodante della politica monetaria». La prospettiva resta comunque quella di «ulteriori aumenti dei tassi», con entità e tempistica dei rialzi decise, ha ribadito Lagarde, «di riunione in riunione» e sulla base dei dati. A una domanda sul perché la Bce ieri ha cancellato il riferimento di più lungo respiro dei rialzi «nelle prossime riunioni», Lagarde ha risposto che la Banca potrebbe dover alzare i tassi ancora in «diverse riunioni»: sebbene questo inciso possa aver attenuato l’aspettativa di una pausa dopo un nuovo rialzo a dicembre, il Consiglio è emerso con uno spirito meno battagliero, a fronte del rallentamento economico ma anche del calo dei prezzi dell’energia dai picchi. Lagarde ha detto che «la normalizzazione non è ancora finita», che «c’è ancora terreno da ricoprire», c’è spazio per intervenire. La Bce, prima di decidere, analizzerà tre fattori: guarderà alle prospettive dell’inflazione, terrà conto delle misure prese fino a quel punto ma anche del lasso di tempo che intercorre tra le decisioni di politica monetaria e l’impatto che queste hanno sull’inflazione, non immediato. Il totale dei ritocchi all’insù, tra il 27 luglio e il 27 ottobre, ammonta al 200 punti base e Lagarde lo ha sottolineato per metterne in risalto la portata. «A luglio il tasso dei depositi era ancora negativo», -0,50%, ha ricordato, mettendo poi l’accento sui progressi fatti. L’aumento «inatteso ed eccezionale» dell’inflazione ha portato la Bce ad innalzare più volte i tassi, anche a fronte di un rallentamento dell’economia che è stato «significativo» nel terzo trimestre di quest’anno, mentre è previsto un «ulteriore indebolimento» nel quarto trimestre 2022 e nel primo trimestre 2023. Su un altro tema caldo, quello della riduzione del bilancio della Bce e il calo delle dimensioni del portafoglio di bond e di titoli di Stato acquistati con i programmi del Qe, Lagarde ha rivelato che il Consiglio discuterà le modalità e la tempistica del cosiddetto “quantitative tightening” QT nella riunione di dicembre. Il bilancio della Bce potrebbe iniziare a ridursi prima di allora, nel momento in cui le banche decideranno di rimborsare anticipatamente i prestiti mirati TLTRO (si veda articolo accanto) che ammontano a oltre 2.000 miliardi. Il Consiglio direttivo ha deciso ieri di modificare i tassi di interesse applicabili alle TLTRO-III a partire dal 23 novembre 2022 e di offrire alle banche ulteriori date per il rimborso anticipato volontario degli importi. Lagarde, incalzata dai giornalisti, non ha voluto indicare il livello del tasso “terminale”, quello a cui la Bce intende fermare il ciclo dei rialzi, reiterando che dipenderà dai dati e dalle valutazioni fatte di riunione in riunione dal Consiglio direttivo. Neanche sul tasso neutrale sono emerse indicazioni puntuali. «Ad un certo punto dovremo naturalmente identificare il tasso che porti l’inflazione all’obiettivo del 2%», ha concesso Lagarde, aggiungendo tuttavia che la Bce «ha girato le spalle alla forward guidance (indicazioni prospettiche, ndr) perché in questa fase non sono di aiuto». Sulle critiche rivolte alla Bce da leader politici come il presidente francese Emmanuel Macron e la premier Giorgia Meloni, Lagarde non ha commentato.
La dichiarazione di guerra dell’Ue a salumi, formaggi e vini italiani
Come anticipato da La Verità , Ur sula Von der Leyen è andata a raccontarla prima ai suoi amici Bill & M el i n d a G ate s e poi l’ha consegnata nelle mani degli Stati membri dell’Unione: è la dichiarazione di guerra contro gran parte delle Dop e Igp italiane. Oggi a Bruxelles si discute il «programma di lavoro» per la promozione dei prodotti agroalimentari nell’a nn o che verrà e la Von der Leyen propone in accordo con il suo piano sanitario di escludere da qualsiasi contributo carne, salumi, formaggi e vin o. È solo il primo passo; quello successivo sarà d’ i m p o r re un inasprimento fiscale su questi prodotti per poi arrivare all’etichettatura dissuasiva come quella delle sigarette dichiarando questi prodotti cancerogeni. La presidente della Commissione europea lo ha ben spiegato alla Bill & Melinda foundation allorché ha affermato che l’attività dell’Ecdc (l’e nte europeo di prevenzione delle patologie) si sarebbe concentrata sulle malattie metaboliche, sul cancro e avrebbe promosso un’a l i m e nta z io n e sana e sostenibile. Che poi al posto di Prosciutto, Parmigiano, Brunello di Montalcino si voglia servire in tavola la carne artificiale di cui Bill Gates è il primo produttore, il latte sintetico di cui Olanda e Danimarca sono i primi produttori per la gioia di Fra n s T im m er m an s , il vicepresidente olandese della Commissione europeo nemico giurato dell’agricoltura tradizionale, gli insetti importati dalla Germania al pari della carne di alligatore che arriva dal Nilo via Francia o dei beveroni chimici delle multinazionali amiche della Commissione, è solo un effetto collaterale. A chi si domanda a cosa serva la sovranità alimentare, Ursula Von der Leyen, prima con il Farm to Fork (la declinazione agricola del Green deal, il progetto dell’Europa Verde che ha fatto esplodere le bollette di luce e gas) e ora col programma di lavoro, dà una risposta convincente. A febbraio era stato raggiunto un accordo che diceva che non ci sarebbe stata nessuna penalizzazione di questi prodotti oggi nella lista nera. Ma tutto cambia! I consorzi Dop e Igp sono molto preoccupati; il presidente di Origin Italia che li riunisce, Cesare Baldrighi, ha inviato una nota allarmata al neoministro d el l’Agricoltura e della sovranità alimentare, Fra n c e - sco Lollobrigida, in cui evidenzia: «Le chiediamo di votare contro la proposta della Commissione del programma di promozione annuale nella riunione di oggi 28 ottobre per scongiurare l’ennesima penalizzazione di alcune filiere fondamentali come quelle dei posciutti e dei salumi Dop Igp, nonché per il settore dei vini, che proprio attraverso i programmi di promozione e riuscito a ritagliarsi uno spazio importante sui mercati internazionali». Per l’Italia, solo per il 2023, è un taglio di 36 milioni di fondi solo per la promozione di prodotti che fatturano circa 46 miliardi (14 vino, 17 formaggi, 8 salumi, 6,5 carni rosse) di cui la metà all’ex p o rt . Oggi a Bruxelles L ol l o b r i - g id a deve convincere almeno Spagna e Francia - che sono titubanti - a stare dalla nostra parte perché la decisione sarà a presa a maggioranza qualificata. Peraltro questo primo «scontro» non è che l’anticipazione di quello che ci sarà sul Nutriscore, la famigerata etichetta a semaforo. Doveva essere adottata entro la fine dell’a n n o, ma la resistenza dell’Ita lia ha prodotto uno slittamento almeno fino a marzo. A favore del Nutriscore sono Francia, Belgio, Germania e Lussemburgo. La Spagna è incerta e così l’Olanda. La verità è che si è scoperto che l’algoritmo alla base del Nutiscore è sbagliato e l’Unione europea con il rinvio vuole dare tempo per le correzioni. Resta però il tema di fondo: l’Ue vuole condizionare le scelte dei consumatori in danno dei prodotti italiani. La salute non c’e ntra nulla. Quello che conta sono le quote di mercato italiane che fanno gola a multinazionali e Paesi concorrenti.
«Trattati e veti non valgono per la Germania»
Il Marchese del Grillo sta Berlino. Ed è confo rtato dalle parole della commissaria Ue alla Concorrenza, Margrethe Vestager, secondo la quale «sarebbe un peccato che se nessuno se lo può permettere, allora nessuno può farlo». Riferimento all’aiuto di 200 miliardi a famiglie e imprese tedesche. Una distorsione.Quando l’Italia ha un problema, è un problema italiano. Quando la Germania ha un problema, allora è un problema europeo. Ci permettiamo di riassumere in questo modo il senso delle dichiarazioni - per certi versi sconcertanti - del commissario Ue alla Concorrenza, Margrethe Vestager, rese mercoledì pomeriggio in audizione davanti alla commissione Industria, ricerca, energia dell’Eu ro pa rl a m e nto a Bruxelles. In apertura la Ve s ta ge r ha confermato quanto già noto da qualche settimana circa la revisione del nuovo Quadro temporaneo per rendere ammissibili gli aiuti di Stato erogati dai governi nazionali per fronteggiare la crisi energetica acuitasi con la guerra in Ucraina. Si tratta in primis della proroga per tutto il 2023 e poi dell’aumento dei massimali erogabili per ciascuna impresa e di un più favorevole regime per le garanzie statali o finanziamenti a tassi agevolati destinati a migliorare la liquidità delle imprese. Oggi siamo fermi a un massimale di aiuti di 500.000 euro da erogarsi in varie forme (sussidi diretti, crediti di imposta, ecc…) e di uno speciale regime di aiuti per le imprese energivore. Quest’ultimo prevede un limite di 2 milioni di euro, purché il sussidio non ecceda il 30% dei costi energetici, riferiti al 70% degli stessi costi sostenuti nell’anno precedente. Se l’impresa fosse in perdita operativa, gli aiuti potrebbero salire fino a 25 milioni e, per determinati settori, fino a 50 milioni. Su questo quadro è passato come uno tsunami il «doppio bazooka» annunciato dal governo tedesco di Olaf Scholz ad inizio ottobre. Si tratta di un pacchetto di aiuti per 91 miliardi - a valere su un fondo di 200 miliardi - che prevede l’integrale pagamento delle bollette del gas delle famiglie per il prossimo dicembre e un tetto al costo del gas pari a € 0,12/kwh per famiglie e piccole/medie imprese, e € 0,07/kwh per la grande industria. Rispettivamente a partire da marzo e gennaio 2023 per i successivi 16 mesi. Il calcolo avverrà sul 70% ed 80% dei consumi dell’anno precedente, per penalizzare consumi eccedenti quelle soglie, che saranno pagati a prezzo non calmierato. In presenza di tale palese distorsione, è arrivata la legittima domanda dell’o n o revo l e Paolo Borchia del gruppo Identità e democrazia, finalizzata a comprendere la compatibilità di questa ondata di aiuti con le regole sull’integrità del mercato unico e sulle condizioni eque di concorrenza che dovrebbero governarlo. In particolare, l’eu - rodeputato veronese ha chiesto come fosse possibile fare passare questi aiuti attraverso le maglie strette degli articoli 107 e 108 del Trattato sul funzionamento della Ue (Tfue) che regolano le deroghe al divieto di aiuti di Stato. La Ves ta ge r ha testualmente risposto che è in corso una riflessione molto approfondita sul tema. Perché sono presi da un dilemma: da un lato «sarebbe un peccato che se nessuno se lo può permettere, allora nessuno può farlo», dall’altro, «non è equo permettere ad un Paese di spendere molto, perché alcuni potrebbero farlo ed altri no». A questo ci siamo ridotti, dopo che il famoso «faro» della Ve s ta ge r è stato puntato a difesa di qualsiasi microscopico aiuto in settori in cui la turbativa della concorrenza era invece ben lungi dal manifestarsi. Infatti la Ve s ta ge r dà incredibilmente ingresso e dignità al criterio dell’eve n - tuale pregiudizio recato a chi può spendere, secondo lei meritevole di tutela. Un parametro che nemmeno avrebbe dovuto essere nominato e che è da solo uno sfregio all’e qu i tà che verrebbe comunque alterata. Chi può spendere non deve alterare l’equità della concorrenza, punto. Altrimenti è il Far West. Questa avrebbe dovuto essere la risposta della Ve s ta ge r che oggi è invece in preda ad un «dilemma» mal posto e potenzialmente truffaldino. Per risolvere il quale la danese non esita ad indicare la strada, tutta pro Germania. Dopo aver premesso che i criteri attuali si sono rivelati molto severi e restrittivi, al punto da non aver impedito alle imprese di chiudere, la soluzione a cui dovrebbe approdare la Commissione sarà quella di innalzare i massimali in modo che le imprese possano beneficiare degli aiuti entro soglie molto più generose e quindi non chiudere. Facile ed anche giusto, vero? Peccato che quelle nuove soglie serviranno per fare passare indenni dall’accusa di aiuti di Stato, solo gli aiuti alle imprese tedesche. Anche sulle maxi ricapitalizzazioni eseguite in Francia ed in Germania di imprese del settore energetico, la Ve s ta ge r non ha fatto una piega. L’unico limite che pone è che quel denaro non finisca distribuito in dividendi agli azionisti. Per il resto, semaforo verde. La Ve s ta ge r s e m b ra aver sposato - pur non ammettendolo esplicitamente - la tesi esposta il 14 ottobre dal vice cancelliere tedesco Robert Habeck sul Financial Times . Non esiste alcun egoismo tedesco, anzi aiutare le imprese tedesche aiuterebbe a proteggere l’intera economia europea e le imprese fornitrici della Germania. Tesi ragionevole, se non fosse per il fatto che la Germania si è cacciata in questa situazione da sola, perché ha prima per anni irresponsabilmente cavalcato l’a z za rd o morale dell’unico (o quasi) fornitore russo di energia, impilando avanzi commerciali da record ed ignorando l’equilibrio macroeconomico dell’eurozona. Ora viene a chiedere di porre riparo a quel disastro, in cui ha trascinato pure noi, ignorando l’equità della concorrenza nel mercato unico. Il Marchese del Grillo si è trasferito a Berl i n o.
Toh, dopo avere taciuto sui lockdown i pediatri scoprono i danni sui giovani
Anche la Società italiana di pediatria scopre che il lockdown ha fatto male a bambini e adolescenti. Una revisione della letteratura scientifica condotta dalla Sip e pubblicata sulla rivista scientifica I n te r n atio n al Journal of environmental research of pubblic health fa emergere problemi mentali, fisici e sessuali correlati all’ec - cessivo utilizzo dei social, soprattutto durante la pandemia, nei giovani al di sotto dei 18 anni. Report sul disagio, profondo e continuato, vissuto dai ragazzi mentre erano chiusi in casa, tenuti lontano da scuola, frequentazioni sociali, attività sportive, stanno uscendo in molti Paesi, segno di un’atten - zione diffusa sebbene tardiva. Gli autori dello studio italiano, che lavorano in reparti e dipartimenti di pediatria di diversi ospedali e centri universitari di Roma, Pistoia, Napoli e Palermo, dopo aver analizzato 68 lavori scientifici condotti dal 2004 al 2022, in 19 (27,9%) di questi hanno riscontrato u n’associazione significativa tra depressione e uso dei social; da 15 (22%) sono emersi disturbi alimentari, comportamentali, problemi alla vista e molti altri disagi destinati a perdurare nel tempo; da altri 15, problematiche psicologic h e. Durante la pandemia, «gli scolari che hanno aumentato il tempo trascorso su smartphone, social media o giochi hanno vissuto un disagio psicologico significativamente elevato, come sintomi depressivi», riporta lo studio, precisando che nello stato di emergenza «una percentuale del 48% degli adolescenti ha trascorso una media di 5 ore al giorno sui social media, il 12% più di 10 ore». Se l’attività fisica può ridurre la depressione e l’ansia, proteggendo potenzialmente i giovani dall’effetto dannoso di un uso prolungato di Facebook, YouTube, Instagram, Tik Tok o altre piattaforme, di certo questa possibilità è stata negata a milioni di adolescenti che non potevano uscire. O che per fare sport dovevano essere vaccinati contro il Covid. Così, è accaduto che «i bambini che aumentavano di 15 o 30 minuti al giorno il tempo trascorso su Internet, presentavano un alto livello di disagio psicologico», segnala lo studio. Lunghe ore davanti allo schermo, per seguire la didattica a distanza o interagire sui social, con l’industria alimentare che ha intensificato la pubblicità online incentrata sui bambini e la forte presenza pubblicitaria sui social media dei principali marchi di alcolici, hanno aumentato «il rischio e la gravità di abitudini alimentari inadeguate», disordinate, che influiscono sulla salute e sul peso. Ci sono più adolescenti obesi, o con carie dentali, o con disturbi di anoressia per la bassa autostima di fronte agli standard di bellezza proposti sui social network. «Le persone pubblicano le loro foto più lusinghiere e visualizzano quelle degli altri, creando un ambiente online che potrebbe essere dannoso per l’accettazione dell’imma - gine corporea», avvertono i ped i atr i . Anche in Germania, dal rapporto sui bambini e sui giovani della compagnia di assicurazione sanitaria Dak Gesundheit e pubblicato sulla Süd - deutsche Zeitung, in Baviera rispetto all’anno pre pandemia 2019 il numero dei disturbi d’ansia di nuova diagnosi è aumentato del 45%, dei disturbi emotivi del 30%, la depressione del 25%. Soprattutto tra le giovanissime, nuovi disturbi alimentari come anoressia o bulimia sono cresciuti del 130% dal 2019. La connessione costante, attraverso dispositivi digitali, può potenziare l’an - sia in bimbi e ragazzi che «potrebbero preferire interagire con messaggi di testo, messaggistica istantanea e mail», piuttosto che avere relazioni faccia a faccia. Lo studio della Sip evidenzia anche il rischio per i giovani di essere esposti ripetutamente a materiale sessuale indesiderato online, facilmente accessibile anche sulle piattaforme social e che «può rendere difficile per gli adolescenti sviluppare relazioni sessuali sane e mature». Fin qui, le osservazioni dei pediatri in base ai casi raccolti ed esaminati. Certo, si potrebbe dire che con il senno di poi è facile mettere insieme uno spettro così ampio di disagi, accentuati dalle restrizioni imposte durante la pandemia. Ma dov’erano i medici dei bambini quando i piccoli venivano chiusi in casa, senza poter correre all’aria aperta, giocare con i coetanei, frequentare la scuola? Che agli adolescenti faccia male l’uso eccessivo di dispositivi digitali, non è certo una scoperta correlata al l’emergenza Covid, eppure quante voci abbiamo sentito alzarsi, per invocare più attenzione da parte degli allora ministri della Salute e dell’Istru - zione? Sip e Aoi, l’a s s o c i a z io n e ospedali pediatrici italiani, il 12 novembre dello scorso anno diffusero un documento congiunto in cui dichiaravano di confidare anche per la fascia pediatrica il «raggiungimento e mantenimento degli alti livelli di copertura vaccinale, quali validi interventi preventivi, finalizzati a scongiurare ulteriori recrudescenze di episodi di aumentata circolazione del virus pandemico sostenute da varianti emergenti con maggiore trasmissibilità». Non una parola sui rischi che correvano i ragazzi a rimanere segregati. Più forte rimaneva sempre la paura del contagio, tra giovanissimi invece passati pressoché indenni attraverso il Covid. Oggi, è quasi inutile che i pediatri diano conto delle conseguenze dell’isolamento e delle restrizioni sulla salute psicofisica di tanti adolescenti. Dovevano farsi sentire prima.
lunedì 24 ottobre 2022
«Nomofobia»,ovvero la paura di essere soli, l’ansia che sta divorando i nostri adolescenti
I l sospetto di trovarmi di fronte a qualcosa di più profondo e spaventoso di una semplice, pessima abitudine mi è venuto quando ho sequestrato il telefono a T. e T. è impazzita. Le poche settimane da insegnante di Letteratura e Storia in un istituto professionale mi hanno subito reso consapevole che il telefono è un affare di difficilissima negoziabilità e la sua messa in discussione, anche per un tempo limitato, può portare a escalation inaspettate. Quando, dopo molti richiami, ho deciso di prendere in consegna il telefono di T., lei ha sgranato gli occhi, ha cominciato a ripetere in maniera ossessiva che non lo stava utilizzando, è venuta alla mia postazione e pretendeva di riaverlo. Se non lo avessi chiuso in un cassetto, con tutta probabilità, lo avrebbe ripreso. T. è tornata a posto continuando a dire, forse a me, forse a sé stessa, che non stava utilizzando il telefono, che era un’ingiustizia. Ha preso dei fogli e ci ha scarabocchiato su fortissimo, linee oblique che erano coltellate e quasi strappavano la carta, poi è uscita dalla classe senza chiedere, rientrando parecchi minuti dopo. Una piccola parte di me, sebbene fossi consapevole dell’assurdità della situazione, si è sentita in colpa: mi è sembrato di aver fatto violenza a T., ci sono stato male. Alla classe ho rivolto parole dure, tristi. Ho detto che somigliavano a dei tossici, che senza il telefono si comportano esattamente come tossici cui viene negata la dose. Dicevo a una classe di quindicenni che facevano paura, che mi facevano paura. Ho fatto un esperimento, prima di cominciare a scrivere questa riflessione. Volevo evitare di cadere nella trappola del boomer che osserva i giovani, non li capisce e lancia strali su una generazione intera. Niente de profundis, niente o tempora o mores. Ho passato la palla a loro, dichiarando il mio bisogno di sapere quel che passava loro per la testa, assegnando un tema: «Io e il digitale. Spiega il tuo rapporto col telefono, coi social network e quale importanza rivestono nella tua vita, personale e scolastica». La reazione me l’aspettavo: paura di guardarsi dentro, di scavare sotto la superficie, la sensazione di non avere nulla da dire. Anche l’esito, mi aspettavo: da dire, quando ci si mettono, hanno sempre molto. Tuttavia non mi sono sentito meglio, leggendo i temi: ne sono scaturite riflessioni a volte profondissime ma anche un quadro piuttosto desolante, una conferma delle mie impressioni che – e questo mi ha stupito – molto spesso corrispondevano alle loro. Usano il cellulare dalle tre, quattro, fino alle otto ore al giorno. Misurano il tempo di utilizzo, sono estremamente precisi: «Qualche volta – scrive L. – quando controllo le ore che passo al telefono, mi chiedo come sia possibile: eppure, come si fa a resistere all’illuminazione dello schermo del tuo smartphone?». Mi hanno parlato di un’app che invia una notifica solo per ricordarti di condividere una tua foto con la community, per dire ai tuoi amici dove sei e cosa stai facendo, assecondando l’ansia costante di dichiararsi esistenti agli altri: sono disponibile, raggiungibile, posso provartelo, e tu, voglio che anche tu sia disponibile, voglio sapere di poterti raggiungere. La parola “ansia” ricorre appunto spessissimo: «Veniamo colti dall’ansia quando sentiamo la frase “Il cliente non è al momento raggiungibile”; se non troviamo campo entriamo in crisi, cominciamo a cercarlo affannosamente». Ho notato un’altra cosa, leggendo: la sfera semantica del “sapere” è stata quasi del tutto sostituita da quella del “vedere”; non sto più sui social per sapere cosa sta facendo qualcuno, ma per guardare cosa sta facendo. Questo guardare costante, il costante giudicare e, di conseguenza, il desiderio di mostrare agli altri quanto crediamo gli altri si aspettino da noi, dà luogo a una inautenticità che è esperienza sociale, normalizzata, comune ma terrificante, perfino e, forse, soprattutto per loro: «Cosa siamo effettivamente dietro uno schermo, chi siamo in realtà? Come facciamo a sapere se dietro quella foto con un sorriso stampato in faccia ci sia una persona sola? Io stessa ho paura di vedere come diventeremo», scrive D. Vedere, appunto. Il tramite con cui si presentano alla collettività, il telefono, seppure generatore di un malessere scoperto, resta irrinunciabile non solo per poter vivere in società e confrontarsi alla pari con gli altri ma perfino per poter essere una persona “completa”: «Quando non ho il telefono vicino mi sento totalmente vuota, mi sento una persona che non ha niente da fare, la sua sola presenza mi fa sentire diversa». Ha un nome, la paura di restare senza smartphone: “nomofobia”. Sta per no mobile phone phobia. Anche quando sostengono di esercitare un certo controllo, lo smartphone rappresenta un’entità quasi dotata di volontà propria e in grado di condizionare, «come se fosse una parte del nostro corpo, come se fosse impossibile anche solo pensare senza accendere il display», una Medusa con cui ingaggiare una sofferta negoziazione, non già più uno strumento di facilitazione o intrattenimento consapevole: «Non deve essere il telefono a comandarmi – dichiara R. – devo essere io a comandare il mio telefono». Una frase di G. mi ha turbato moltissimo, era qualcosa a cui non avevo pensato: «La maggior parte dei miei ricordi è sui social network». B., invece, si chiede come sia possibile che in un mondo sostanzialmente inclusivo, lei e i suoi coetanei siano influenzati da algoritmi che funzionano, tra l’altro, in base alla bellezza fisica del creatore di contenuti; in base, dunque, a un ideale di bellezza imposto, irrealistico. Poi si risponde da sola, perché è vero anche questo: i giovani non hanno bisogno delle nostre risposte. Banalmente, ci arrivano da soli. «In fondo», scrive e a me viene un groppo in gola, «in fondo questa bellezza così irraggiungibile ci attira, perché siamo convinti che solo rientrando in quei canoni tossici potremo raggiungere un ideale di felicità».
Mattarella: guerra russa sciagurata, la Ue garante di pace
Nessuno può sottrarsi al grido della pace perché tutti dobbiamo puntare a «fare un passo avanti» per conquistare un ruolo attivo, soprattutto in Europa che vede in gioco i suoi valori, la sua libertà, la sua prosperità. Resta, però, fermo il principio di una pace che rispetti «giustizia e verità» e il punto di vista degli aggrediti. Questo in sintesi l’intervento di ieri di Mattarella che ha voluto essere testimone all'Incontro Internazionale organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio “Il grido della pace. Religioni e culture in dialogo”. Era presente anche il presidente Macron - che oggi sarà ospite al Quirinale - e poi il presidente della Cei, il segretario generale della Lega Musulmana mondiale e il Rabbino capo di Francia. Dunque Mattarella di nuovo dedica il cuore del suo discorso alla «sciagurata» guerra in Ucraina chiedendo una «pace che non ignori il diritto a difendersi e non distolga lo sguardo dal dovere di prestare soccorso a un popolo aggredito». Questo però chiama in causa l'Europa perché, dice, «occorre impedire che una nuova linea di “faglia” attraversi e si aggiunga alle troppe che già caratterizzano l’Europa, il Medio-Oriente, in tanti luoghi del mondo». Ma adesso il cuore del conflitto è qui, e la sfida è in Europa e per l’Europa e noi «non possiamo consegnarci all’ingiustizia delle situazioni di fatto, né allo strazio di guerre “infinite”». Ma soprattutto l’Unione «non può e non deve permettersi di cadere “prigioniera” della precarietà, incapace di assolvere al suo naturale ruolo di garante di pace e di stabilità nel continente e nelle aree vicine. Ne va della nostra stessa libertà e prosperità». A 77 anni dalla Carta di San Francisco sulle Nazioni Unite «serve il coraggio di un passo avanti» valutando i limiti dell’esperienza fatta. Una pace che - come si usa dire - devi prepararla ma che ci viene preclusa se c’è «chi esalta la volontà di potenza, perché la pace è integrale o non esiste». E insiste su come lui intenda costruire i percorsi di vera pacificazione che vanno accompagnati a «verità e giustizia» perché «qui si è fondata Costituzione e Repubblica italiana e lo stesso spirito della dichiarazione di Schuman nel 1950». E invece oggi la «sciagurata guerra», ci spinge a dividerci quando invece dovremmo unirci di fronte alle sfide mediche, scientifiche, alimentari, terroristiche. Non manca di parlare dell’incubo peggiore, l’arma nucleare. «Sarebbe la perversa tentazione dell’escalation, della spirale di violenze che si alimentano di violenza». E dunque quale sfida abbiamo davanti? «Realizzare con perseveranza percorsi di pace, attraverso un impegno collettivo della comunità internazionale che valorizzi il dialogo, i negoziati, il ricorso alla diplomazia in luogo delle armi». A cui, però, si affianchi una seria lotta per combattere divari e disuguaglianze, che sono la base di potenziali conflitti. Saluta dicendo che «non saranno mai abbastanza numerose le iniziative dirette a promuovere la pace, qui, come a Parigi, con la imminente quinta edizione del Forum de Paris sur la Paix, con un’ambizione inclusiva per una pace integrale». Alla fine, gli interventi dei presidenti Mattarella e Macron si sono articolati su una linea di coerenza, quella del rispetto dell’aggredito e del necessario ruolo europeo.
Riscaldamenti e rischio morosità, in condominio pesa il caro energia
«Ora la Cina è più pericolosa L’ordine mondiale è a rischio»
Sicura, nazionalista, meno cauta in ambito diplomatico, anche a costo di aumentare le tensioni con il grande rivale: gli Stati Uniti. Il ventesimo congresso del Partito comunista cinese tratteggia i contorni della strategia che a Pechino intendono attuare nei prossimi anni, sia sul fronte interno che nello scacchiere internazionale. «Nuovi miracoli che stupiranno il mondo», promette Xi Jinping, eletto per un terzo e inedito mandato da segretario: capo di Stato, capo dell’e s e rc i to e vero «nucleo» dell’intero partito, come vuole la nuova Carta del Pcc, appena modificata. «Senza nascondersi più, la dirigenza cinese contesta l’o rd i n e internazionale costituito in questi anni, che in parte hanno contribuito a definire», spiega alla Verità G i ul io Terzi di Sant’A gata, ex ministro degli Esteri, già ambasciatore italiano in Israele e negli Stati Uniti, che oggi siede in Parlamento eletto in Senato con Fratelli d’Italia. «A Pechino è in atto una crescente campagna antioccidentale, condotta attraverso l’id e o l ogizzazione della politica estera, della politica commerciale e degli aiuti allo sviluppo. La narrativa deformata di Pechino è piuttosto semplice: i cinesi si muovono per il progresso dell’umanità, contro gli occidentali colonialisti». Senatore, Xi Jinping parla senza mezzi termini di «tempeste pericolose e di scenari negativi nei confronti dei quali la Cina deve essere preparata». Che cosa dobbiamo aspettarci dalla svolta autoritaria impressa al Partito? «La postura della Repubblica popolare cinese nelle relazioni internazionali e l’i n d i f fe re n za , se non addirittura il contrasto, rispetto alle norme di diritto internazionale definite negli ultimi anni evidenziano la volontà di allontanarsi da tutti gli impegni presi finora nel tentativo di aprirsi al mondo. Ricordo che nel 2013 tanti osservatori hanno interpretato le riforme interne come un possibile viatico verso la democrazia, nella forma comunemente intesa dalle nostre parti. E invece, i principali impegni presi per entrare nel Wto (Organizzazione mondiale del commercio) sono stati disattesi, prima di tramontare in maniera definitiva e assolutamente unilaterale. A ciò si aggiunga la militarizzazione del mar Cinese meridionale: Pechino ha imboccato una traiettoria chiara, che si allontana da tutti i tentativi di cooperazione i nte r n a z io n a l e » . Per arrivare dove, secondo l ei ? «Per arrivare a contrastare apertamente “l’Occidente colon i a l i s ta”, a cui contrapporre un benessere che solo la Cina può garantire, con le sue forme di finanziamento e i progetti infrastrutturali da diffondere in tutto il mondo. Anche uno sguardo superficiale noterebbe la falsità di questa propaganda: Pechino pone condizioni vessatorie, soprattutto nei confronti dei Paesi più in difficoltà in termini di sviluppo economico e sociale, che si stanno indebitando in maniera quasi insostenibile. Il Congresso che si è appena concluso ha segnato un avanzamento ulteriore in questa direzione e l’enfasi su Taiwan ne è una conferma». Secondo la risoluzione approvata al termine del congresso, il Partito comunista cinese sancisce in Costituzione la sua opposizione all’in dipe nden za di Taiwan. « L’obiettivo è chiaro e Pechino non fa nulla per nasconderlo: vogliono l’integrazione di Taiwan alla Repubblica popolare cinese, senza escludere l’ut ilizzo della forza». L’ammiraglio Mike Gilday, capo delle operazioni navali Usa, mette in guardia sulla possibilità che la Cina possa muoversi in tempi relativamente brevi. Addirittura, c’è chi ipotizza un’invasione prima del 2024. Lo ritiene uno scenario pl au s i bi l e? «Per almeno sei mesi, il governo americano ha insistito sulla possibilità di un’i nva s io n e russa in Ucraina, un’eve ntu a l i tà a cui in Europa non hanno dato molto peso: “I soliti americani g ue rrafon da i”, erano i commenti più gettonati. In Asia le voci allarmate dei comandi militari americani, dell’i nte l l i ge nce e delle cariche istituzionali sono prese piuttosto seriamente. L’attenzione cinese su Taiwan preoccupa a tal punto che gli Stati Uniti sono usciti ripetutamente con delle dichiarazioni a sostegno dell’isola». La Cina entra in rotta di collisione con l’Occidente per fare blocco con la Russia? «Si era partiti con il patto dei Giochi olimpici tra Russia e Cina, lo scorso febbraio. Un patto di natura aggressiva, non soltanto difensiva. Questo blocco con la Russia è un’ipotesi, certo, anche se mi sembra molto meno definita dopo l’ultima riunione di settembre tra Xi e Vladimir Putin, in occasione del meeting dell’Orga n iz za zion e per la cooperazione di Shanghai». Xi Jinping ha dato enorme enfasi alla «sicurezza del regime», citata per ben 91 volte nel discorso di apertura del ventesimo Congresso. Che significato attribuisce a questa scelta? « Ne l l ’ideologia maoista-leninista, che Xi rivendica in contrapposizione alla decadenza del mondo esterno, fatto di corruzione e depravazione, la sicurezza è interpretata secondo uno sguardo d’insieme. È la fusione del sistema civile con quello militare. Per il Partito comunista cinese, l’uso della forza è un elemento di affermazione politica, che coinvolge tutta la società e deve coinvolgere l’intero popolo. Il civile è militare e viceversa. Prima di Xi, questo aspetto è rimasto piuttosto sottotono: preminente era l’idea della crescita tranquilla, di Deng Xiaoping; oggi, la dimensione militare è diventata manifesta. C’è una sorta di aliGIULIO TERZI DI SANT’A GATA mentazione reciproca tra la crescita economica, scientifica e tecnologica del Paese, integrate nello sviluppo militare. Xi ha costruito il suo discorso puntando sull’autoglorificazione, in preparazione del terzo mandato. Ha citato quelli che ritiene essere dei successi a tutto campo: Taiwan, la pandemia». A proposito di pandemia, la strategia zero Covid ha generato più di un malumore nella popolazione: l’apertura del ventesimo congresso è stata preceduta da proteste piuttosto insolite, come gli striscioni esposti sui cavalcavia che davano a Xi del «traditore». «Acquistare vaccini occidentali non rientra nella visione del mondo del presidente Xi. Sarebbe una sorta di umiliazione, per lui. Il sistema è diventato sempre più repressivo: per esempio, la presenza dei grandi capitalisti cinesi al congresso si è dimezzata. Ogni azienda pubblica o privata deve rispondere alla legge sull’intelligence. C’è dello scontento, e a volte qualche punta di iceberg emerge, ma il sistema non si indebolisce, anzi accresce il proprio c o ntro l l o » . Come ci si pone di fronte alla Cina dei prossimi anni? «Dobbiamo essere ben consapevoli di chi abbiamo davanti. Se Xi Jinping ha l’obiettivo di dominare le tecnologie più avanzate, non possiamo pensare di impedirglielo con la forza » . In che modo, allora? «Dobbiamo renderci competitivi. Le politiche industriali devono essere incentrate sulla tecnologia, sulla scienza. Dobbiamo essere competitivi sul piano diplomatico, dove si giocano le partite più importanti per il nostro futuro. I tavoli li conosciamo: l’Unione internazionale delle comunicazioni, per esempio, la Fao per l’a l imentazione, l’Orga ni z za zion e mondiale della sanità per quel che riguarda la salute, il Wto per il commercio. Non possiamo lasciare campo libero ai cinesi e ai loro strettissimi alleati e non possiamo presentarci in maniera disunita. Siamo noi occidentali che diamo alla Cina la possibilità di sedersi ai tavoli in una posizione di forza». Agli inizi di novembre, il cancelliere tedesco Olaf Scholz volerà in Cina, accompagnato da una delegazione di imprenditori cinesi. È una fuga in avanti, secondo lei? «Senza coordinarsi con nessun altro Paese europeo, Scholz sta cadendo nella trappola merkeliana del Comprehensive agreement on investment, un accordo tra l’Unione Europea e la Cina che era stato bocciato ripetutamente dal Parlamento europeo e che non prevede praticamente niente sul piano della reciprocità, ancora meno se guardiamo al rispetto della proprietà intellettuale, sostanzialmente zero per quel che riguarda i diritti umani. È possibile avere queste fughe solitarie soltanto perché il 40% dell’e s p o rtazione europea verso la Cina è te d e s c a? » . Lei è una voce diplomatica molto ascoltata all’interno di Fratelli d’Italia. Come dovrebbe porsi il governo Meloni nei confronti della Cina? «La posizione della coalizione di centrodestra e del partito al quale appartengo sono chiare: se vogliamo tutelare la nostra economia, i nostri imprenditori e la nostra sicurezza, dobbiamo puntare ad avere un ruolo più incisivo quando si parla di relazioni multilaterali. Il governo può iniziare da subito, già da questa settimana».
Non è un paradosso: è meglio tornare alle classi separate
A scuola meglio tornare a classi separate: non è un paradosso, la divisione aiuta a non distrarsi e a coltivare amicizie fra adolescenti. La storia emblematica dello scrittore Fred Uhlman. Un altro libro fo nd a m e nta l e sul tema dell’amicizia adolescenziale è L’amico ritrovato, primo capitolo della Trilo g ia del ritorno, che comprende anche U n’anima non vile e Niente resurrezioni, per favore di Fred Uhlman, scrittore e pittore tedesco, nato a Stoccarda nel 1901, laureato in giurisprudenza, avvocato e oratore del partito socialdemocratico. L’avvento del nazismo lo costrinse a passare dalla condizione di avvocato a quella di apolide, che riuscirà a illuminare con qualche guadagno cominciando la carriera di pittore. Nel 1971 pubblicò la sua opera più famosa: il romanzo breve L’amico ritrovato (Reu - n io n). Il protagonist a Hans Schwarz è un sedicenne figlio di una famiglia di ebrei tedeschi. Il padre è un medico, decorato nella prima guerra mondiale, non credente, figlio della madrepatria Germania. Nel febbraio 1932 nella sua classe di ginnasio liceo viene aggregato anche Konradin von Hohenfels, di famiglia nobile e figlio di un ex ambasciatore. I ragazzi sono due solitari, entrambi privi di amici. Attraverso il comune amore per la bellezza e per la storia - entrambi hanno una collezione di monete greche - i due diventano amici, un’amicizia potente, che il nazismo interromperà. Konradin subisce il fascino di H i tl e r ; Hans comincia a essere perseguitato, è costretto a fuggire dalla Germania, i suoi genitori sono spinti al suicidio, una tragedia questa molto diffusa e poco raccontata. Il libro è intriso di dolcezza e di nostalgia, punteggiato di lunghe descrizioni di luoghi che non esistono più, distrutti dalle bombe e dalla follia, di un società cancellata per sempre con la sua perduta grazia. Eppure il sapore che indugia sulle nostre labbra dopo la lettura è la fragranza del vino locale, bevuto nelle osterie rivestite di legno scuro sulle rive del Neckar e del Reno. Non c’è nulla della furia di Wag ner; è come se Mozar t avesse riscritto Il crepuscolo degli dei. Io credo sinceramente che questo esile libretto troverà sugli scaffali un suo posto duraturo con una prosa tormentosa quanto lirica. L’amicizia tra Hans e Konradin ha le caratteristiche del l’amicizia adolescenziale, totalitaria e potente, vale a dire un’amicizia basata sui massimi sistemi, un legame all’in - terno del quale si parla di Dio e della morte. Hans è sconvolto dall’incendio di una casa vicina che ha distrutto nel rogo la vita di due ragazzine, che diventa simbolo di ogni dolore innocente e che inevitabilmente rimanda la mente del lettore a tutte le vite innocenti che stanno per essere bruciat e. Hans preferisce credere che Dio non esista, piuttosto che credere all’esistenza di un Dio che permette che i bambini siano torturati. Konradin ne è scosso, ma sarà proprio questa meditazione sul dolore innocente che rafforzerà la sua fede in Cristo e gli permetterà di fare alla fine la sua scelta eroica. Se il nazismo e la morte non li avessero separati, Hans e Konradin sarebbero rimasti con la loro amicizia eterna, ognuno a proteggere i bambini del l’altro, ognuno testimone di nozze dell’altro. Lo scopo dell’amicizia adolescenziale è renderci più forti, migliori. Ognuno dei due ragazzi dà il meglio di sé. Lo scopo dell’amicizia adolescenziale è parlare di Dio e della morte. Lo scopo è anche quello di creare un legame forte che permetta il distacco dai genitori, che difatti nel libro restano sullo sfondo, esattamente come sono sullo sfondo durante l’ado - l e s c e n za . C’è un momento in cui il ragazzo o la ragazza rompono o interrompono il rapporto esclusivo con il genitore attraverso una relazione forte con una persona dello stesso sesso. Questo preparerà la capacità a una relazione molto più complessa con una persona del sesso opposto che a sua volta permetterà loro di diventare completamente adulti e, finalmente, a loro volta genitori. La relazione con l’amico dello stesso sesso ha funzioni fondamentali: permette il distacco emotivo dai genitori, indispensabile a diventare adulti, permette la formazione del senso del sé, che si attua solo nella relazione, non in solitudine, prepara alla relazione con l’altro sesso più difficile e complessa e offre per tutta la vita un sostegno. Nei tempi descritti nel libro le classi erano giustamente separate in classi maschili e femminili. Spesso c’erano anche due ingressi separati. È una forma di assoluta saggezza: perché mettere sugli stessi banchi persone che hanno gli ormoni alle stelle salvo poi stupirsi che non seguono le lezioni perché pensano ad altro? Fino agli anni Cinquanta le classi erano rigidamente separate, era possibile quindi che si formasse la formidabile amicizia adolescenziale, era possibile restare concentrati sul problema di Dio e della morte. Ora in un mondo «eroticizzato» e sessualizzato immerso in classi miste ci si avventura troppo presto in avventure con l’a l tro sesso, troppo acerbe e che lasciano l’amaro in bocca. La sessualità non è un giocattolo e può generare la vita. Può fare morti e feriti. Può dare senso alla vita, può crearla, può spezzare e distruggere. Il secondo danno è che l’amicizia adolescenziale, fondamentale per la nostra vita, venga scambiata per altro. Su molti siti la storia del libro è presentato come una forma più o meno inconsapevole di omosessualità, termine improprio con cui si indica la negazione della sessualità che viene sostituita da un rapporto erotico tra uguali. È vero l’esatto contrario. È l’a m ic i z i a adolescenziale che nel mondo attuale tragicamente sessualizzato, anzi eroticizzato, è scambiata per un rapporto omosessuale, e questa è una trappola che ingabbia innumerevoli ragazzi e ragazze anche per la vita. L’amicizia tra Hans e Konradin nasce perché ognuno ha caratteristiche che l’altro vorrebbe avere, bellezza e stato sociale da un lato, libertà di movimento e pensiero dall’altro, mentre in comune ci sono l’amore per la bellezza e la sofferta ricerca della verità metafisica. Tutto questo può simulare un innamoramento, proprio perché prepara al vero innamoramento, quello con l’a l tro sesso, che sarebbe meglio avvenisse solo dopo che la maturazione psicologica sarà completata, e l’amicizia adolescenziale ha proprio il compito di portare a termine questa maturazione, insegnando a smussare gli angoli spinosi dell’ego, ad ascoltare l’altro, a entrare nella sua testa, a perdonare imperfezioni e colpe. La cosiddetta omosessualità, termine improprio, non è gen et ic a . Questo è stato dimostrato al di là di ogni ragionevole dubbio dagli studi del genetista Andrea Gannain uno studio di Harvard e Mit pubblicato su S c ie n c e, che conferma le ipotesi di Joseph Nicolosi e R ichard Cohen: non una caratteristica genetica, ma risultato di ambiente e cultura; non un destino, ma uno stile di vita che diventa talmente abitudinario da creare dipendenza. Ed è uno stile di vita biologicamente perdente, in quanto biologicamente sterile e in quanto gravato da un aumento statisticamente importante di malattie, un comportamento quindi su cui è doveroso dichiarare la verità che è quella che rende liberi, che dà la potenza del cambiamento. Quante persone restano bloccate dalla eroticizzazione della fisiologica amicizia adolescenziale, verso la quale spingono media, scuola, politica e attivisti che entrano nelle scuole? L’amici - zia adolescenziale è una fortuna straordinaria, preziosa e potente, che ha il dono di renderci migliori.
SÌ, IL GOVERNO È IN BOLLETTA MA PER COLPA DEI MIGLIORI
Oddio, siamo in bolletta! All’im p rov v i so, dopo averne narrato per mesi i successi, i giornali che hanno fiancheggiato «l’esecutivo dei migliori» si accorgono che il Paese è alla canna del gas. Giorgia Meloni si è insediata appena da poche ore e dunque non può essere considerata responsabile di nulla, se non di aver vinto le elezioni. Tuttavia, i quotidiani cosiddetti indipendenti fanno a gara nel dipingere a tinte fosche la situazione dell’Italia, quasi fosse una conseguenza della recente nomina. «Il governo parte in bolletta» era il titolo ben augurante che ieri campeggiava sulla prima pagina di Repub - b lic a, ossia dell’organo del nuovo Comitato di liberazione nazionale. Per il quotidiano della famiglia Ag nelli, quella che dopo aver tosato per anni il Paese ha trasferito armi e bagagli in Olanda approfittando di una legislazione fiscale più vantaggiosa, la leader di Fratelli d’Italia parte in salita: «Il buco nero del caro energia si prende tutte le risorse». Altro che marcia su Roma, M el o n i deve marciare su Gazprom per poter avere il metano a prezzi calmierati, altrimenti ogni sua speranza sarà vana. «La partenza è a ostacoli», prefigura la testata che un tempo dettava la linea alla sinistra e ora, scomparsa la sinistra, fatica a dettarla perfino a sé stessa. Se fino a ieri si parlava dell’ultima vittoria di Dra - ghi sul gas (titolo entusiastico del Corriere della Sera, con apposita precisazione che l’Eu - ropa ha accolto tutte le richieste del governo italiano), adesso si parla della probabile sconfitta del governo appena nato, il quale, pur essendosi insediato da qualche ora, già vede a rischio le misure simbolo ed è costretto a dirottare le poche risorse sul capitolo energia. Se fino a ieri avevamo il governo che tutti ci invidiavano, in un solo giorno abbiamo una situazione che tutti tem o n o. Ovviamente, né in prima pagina né in quelle interne, i giornaloni sentono il dovere di precisare che se siamo in «bolletta» lo si deve a dieci anni di governi dei migliori. Dal 2011 a oggi, cioè da quando grazie a Mario Monti l’Italia è stata costretta a fare i compiti a casa, l’economia nazionale è andata di male in peggio. Assecondando le direttive europee, i cosiddetti esecutivi di salvezza nazionale hanno portato il Paese sull’orlo della recessione. Dall’ex rettore della Bocconi all’ex governatore della Bce, l’eredità è un pozzo senza fondo che rischia di mangiarsi ogni speranza, ma tutto ciò la grande stampa fatica a riconoscerlo. Eppure il problema è proprio questo: grazie ai tecnici che ci hanno governato nell’ultimo decennio, il Paese sta peggio di prima. Il debito resta il più alto d’Europa, il tasso di occupazione rimane invece uno dei più bassi, e le tasse ci fanno vincere un altro primato. I mali strutturali, in pratica, sono quelli di sempre, con la sola differenza che, nonostante gli ultimi governi non siano stati scelti dagli italiani bensì dalle cancellerie europee, la situazione non è migliorata, ma semmai è andata via via degradandosi. Sì, siamo in bolletta, come scrive Re p ub b l ic a , ma a spingerci fin qui ha contribuito anche chi diceva di volerci aiutare, come per esempio Bruxelles, le cui decisioni non ci sono state certo di sostegno, ma anzi hanno contribuito ad affossarci. Basti pensare ai pasticci delle banche che hanno consentito di salvare quelle tedesche, ma hanno ucciso le nostre, anche quando di farle fallire non c’era bisogno. Sì, mentre descrivono la situazione complessa in cui versa il nostro Paese, i giornaloni si dimenticano di ricordare che il disastro non è tutta farina del nostro sacco, ma le mani per spingerci sull’orlo del baratro appartengono ai nostri partner europei, i quali - credo si possa dire - hanno sbagliato quasi tutto ciò che si poteva sba g l i a re. L’ultimo errore è consistito nel sostegno senza condizioni all’Ucraina, una battaglia ideale che non si è curata di proteggere gli interessi nazionali, ma ha sposato la causa di Kiev senza neppure chiedere agli alleati di pagare il conto evitando di speculare sul prezzo del gas. Il risultato è sotto gli occhi di tutti tranne che di quelli dei cosiddetti nostri osservatori. In Francia, Emmanuel Macron critica le politiche energetiche e commerciali degli Stati Uniti, dicendo che l’A m e r ic a non può continuare a fare affari sulla nostra pelle. Secondo il presidente transalpino, gli Stati Uniti e la Norvegia stanno realizzando dei super profitti, beneficiando di un «reddito da guerra geopolitica», e mo nsieur le présidentsi dice pronto a discuterne con le controparti americane e norvegesi. In pratica, dopo otto mesi di guerra, all’Eliseo si rendono conto di ciò che noi sosteniamo da tempo, beccandoci l’ac - cusa di essere filoputiniani. Le sole a non arrendersi all’evidenza, a questo punto sono le testate del Cln, le quali dopo aver parlato per settimane di pericolo del fascismo, ora sostengono che il pericolo non viene dalle camicie nere, ma dalle tasche al verde. Sì, c’è u n’Italia in bolletta, ma non per colpa di Giorgia Meloni premier per un giorno, bensì di chi ha governato negli ultimi dieci anni, badando più al pareggio di bilancio che al rilancio del Paese. Come si diceva ai tempi di M o nti : se fosse così facile risanare i bilanci pubblici affidandosi a un economista, saremmo circondati da professori trasformati in premier. Invece, come si è visto, i peggiori guai a volte li fanno i tecnici, poi tocca ai politici riparare i danni. O per lo meno è ciò che si spera, così fra qualche anno anche i giornaloni potranno scrivere che la bolletta lasciataci in eredità dai precedenti governi è stata pa gata .
domenica 23 ottobre 2022
«La medicina è ammalata Si fermi subito la follia di obblighi e green pass»
Susanna Tamaro ha pubblicato il libro che molti avrebbero potuto e forse dovuto scrivere, ma non hanno scritto per paura o per conformismo. Si intitola Tornare umani (Solferino), e Maurizio Caverzan su queste pagine ne ha anticipato i contenuti. È un testo a tratti doloroso, ma sempre onesto e coraggioso. Potrebbe essere interpretato come l’esame di coscienza di una nazione dopo la pandemia, ma anche come un inno pieno di speranza alla ricostruzione, alla riconciliazione. In ogni caso, è una proposta che non va lasciata cadere, e che l’autrice approfondisce in questa conversazione. La versione integrale dell’i nte r - vista è andata in onda nel corso di O rso b ru n o, trasmissione radiofonica quotidiana di Byoblu, che si può recuperare sul sito www.byoblu.com. Lei è stata se non l’u n ica , una delle pochissime intellettuali italiane a pubblicare un libro di questo genere. I più si sono adeguati al pensiero prevalente. Perché secondo lei? «Premetto che io sono una persona che vive fuori dal mondo e dalla politica, da tutto. Però questa epidemia mi ha spinta a osservare con molta attenzione quello che stava succedendo. E ciò che mi ha più turbato a un certo punto è stata proprio la sudditanza delle persone che avrebbero dovuto dire: “Un momento, ragioniamo, pens i a m o…”. Invece sentivo gente dire: “Sono felice di avere il green pass in tasca”o cose del genere, per me assolutamente abominevoli. E le poche persone che obiettavano, come Massimo Cacciari o Giorgio Agamben, venivano messe all’angolo da un sistema dei media agguerrito in una maniera preoccupante». Anche la stampa si è fatta troppo spesso strumento del potere e ha alimentato questo discorso dominante. «Sì. È stato un canto trionfale, senza possibilità di riflessione, e questo è sempre molto preoccupante in un Paese democratico, dove bisognerebbe riflettere. E una scienza che si propone come assoluta è una scienza che apre le porte a una tirannia, naturalmente, perché la scienza è tale quando sa che può sbagliare e lo ammette. Invece c’è stato un monoblocco, tutti in massa si sono messi a convincere che bisognava agire in una determinata maniera. Sono rimasta molto turbata nel vedere l’inerzia prima dello scoppio dell’epidemia, che era prevedibilissimo, e poi l’e s p l o s io - ne dell’irrazionalità. Quando un Paese diventa irrazionale, si mette su una china pericolosissima». Quel che continuo chiedermi è: come è stato possibile? Gli intellettuali hanno taciuto, per lo più, e la stampa si è subito schierata. Ma anche la popolazione si adeguata … Come siamo diventati «disumani» secondo lei? «Io vivo da tantissimi anni in un paese piccolo, di provincia. Ho avuto modo di vedere ancora più chiaramente questa cosa, stava deflagrando il tessuto sociale. In un paese conosci tutti, vedi famiglie spaccate, amicizie rotte, sulla base del “sei vaccinato? ”. Io non ho mai chiesto a nessuno se fosse vaccinato, perché non mi è mai interessato. Perché non si può discriminare. Se cominciamo così, facciamo come nella ex Jugoslavia, dove - lo ricordo nel libro - prima facevano le feste di compleanno a casa dei vicini di altra etnia e poi si sono massacrati a vicenda durante la guerra. Questo è dentro di noi: tutti abbiamo una parte nera dell’anima che aspetta di infiammarsi ed esplodere. E poi ci sono le paure arcaiche, come quella della peste, e il fatto che abbiamo rimosso il discorso sulla morte dalla nostra società. Nessuno pensa più che, democraticamente, siamo tutti destinati a morire. Gli eventi di questi anni hanno sollevato il velo sulle menzogne della nostra società. E questo ha fatto paura». Il filosofo Byung-Chul Han parla di «società senza dolore». Una società che teme la sofferenza della carne perché non possiede altro, non ha un’anima, ed è interessata soltanto al funzionamento del corpo. «Certo, totalmente. Noi siamo solo una macchina da mandare avanti il più a lungo possibile. Ma una volta si sapeva che ognuno ha un destino, che c’è la “tua ora”. E la cosa normale era morire di una “buona morte”, con l’anima in pace. Invece adesso assistiamo a questo prolungamento della vita, anche esagerato in qualche modo, salvo poi invocare metodi di eliminazione perché a un certo punto viviamo troppo a lungo. Ognuno ha un proprio destino, che è sia genetico e sia dipendente dalle condizioni di vita, e poi c’è la “nostra ora” che - come la saggezza antica ha sempre saputo - non si può rimandare. Ci si deve curare certo, e far tutto il possibile per restare in salute, ma dobbiamo anche stabilire un rapporto con la morte». In compenso i morti sono stati molto usati. Si diceva: «Come vi permettete di criticare quando abbiamo migliaia di morti?». «Questo è stato un abuso terribile. Però vorrei anche precisare una cosa. Io vivo in Umbria, ma ho molti amici a Bergamo e in Lombardia. Qui c’era questa sensazione stranissima, tutti chiusi in casa terrorizzati con la polizia a controllare, mentre lì la situazione era davvero grave. Quando a gennaio la Cina ha iniziato a mandare quelle immagini terribili ai telegiornali, un governo di persone responsabili si doveva domandare: “Ma la Cina, che è un Paese che culturalmente di solito non si espone, se manda questo messaggio cosa ci sta dicendo?”. E allora bisognava essere pronti a capire che questa cosa era già da noi, invece c’è stata grande leggerezza e ci sono stati contesti, come purtroppo le Rsa, che sono diventati una bomba biologica, dove ci sono stati tanti, troppi morti». Non solo abbiamo dato una lettura irrazionale ed emotiva, abbiamo passato ciò che accadeva attraverso uno strano filtro morale, abbiamo diviso il mondo in buoni e cattivi. «Anche questo è molto pericoloso, questo manicheismo estremo spacca le civiltà, e ha avviato una guerra civile nel nostro Paese, e su questa guerra civile bisogna ragionare e bisogna anche indagare e chiedere perdono. Sono state fatte cose terribili all’Italia, nel silenzio generale. Questa separazione tra buoni e cattivi la reputo una cosa gravissima. Guardi, io sono vaccinata, perché ho avuto tre polmoniti gravi, un enfisema, sono asmatica e dunque ho pensato: “Ok, mi vaccinerò d’e s tate così in inverno sarò protett a”. In realtà, io avrei dovuto vaccinarmi in aprile, quando sarebbe toccato alla mia fascia d’età. Ma ho pensato, “Se mi vaccino in aprile, probabilmente essendo il vaccino fatto in fretta e furia, quanto mi proteggerà? E quanto durerà la protezione?”. Dunque mi son vaccinata in agosto per essere protetta in inverno. Ho fatto Pfizer, in quanto fragile. Ma ero convinta di essere protetta, all’inizio si diceva che avrebbe dato protezione al 98%, poi ho scoperto che non era così…». Di Pfizer parla anche nel libro. Scrive: «Pfizer fu condannata per essersi approfittata di una epidemia di meningite infantile in Nigeria, nel 1996, per sperimentare nuovi farmaci. Per la morte di un bambino povero, chi potrà mai reclamare? Questo è il livello etico dei nostri salvatori». Quanto è accaduto è curioso: abbiamo presentato questa aziende come i cavalieri bianchi pronti a salvarci. «C’è questa cosa arcaica dentro di noi: abbiamo bisogno di un’entità benefica che ci salvi dal male e dalla morte. La narrazione ha alimentato tutto questo, ad esempio il fatto che i vaccini siano arrivati il 25 dicembre… Non è stato casuale. Questo ha favorito u n’id e nt i f ic a z io n e con la salvezza che forse era, come dire, un po’ e s a ge rata » . Abbiamo favorito la nascita di una sorta di nuova religion e. «Sì, con i suoi sacerdoti, i suoi beneficiari e via dicendo. Questo libro l’ho scritto per indignazione umana e civile. Mi ha offeso prima l’i m p re pa ra - zione, ancora prima del caos, che in fondo in una epidemia ci può anche stare, perché ci si spaventa tutti. Però poi è entrato in atto un meccanismo perverso: il controllo sociale. Un meccanismo, appunto, di divisione delle persone. Che è stato costruito senza avere nulla in mano, perché abbiamo visto che questi vaccini forse aiutano persone fragili e anziani ma su tutti gli altri… Non solo: i vaccinati si ammalano oltre a contagiare. Quindi tutte le misure prese suonano non reali, ma piuttosto repressive » . A questo proposito, nei giorni scorsi abbiamo visto l’audizione di Pfizer al Parlamento europeo, in cui Janine Small ha ammesso candidamente che il vaccino non era mai stato testato riguardo la capacità di garantire immunità. Di nuovo però la stampa non ha ripreso la notizia o, peggio, ha fatto di tutto per smontarla. Non abbiamo imparato proprio nulla da questi anni? C’è stato un peggioramento e non siamo più riusciti a recuperare? «Sì, è molto inquietante che sia rimasta ancora questa cappa di negazione della realtà, quando ormai tutti hanno avuto il Covid anche più volte pur essendo vaccinati. Io conosco tante persone che non si sono vaccinate, sane, le quali si sono ammalate meno di Covid rispetto ai vaccinati e con sintomi uguali ai vaccinati o anche meno forti. Questo è evidente, e anziché accanirsi bisognerebbe cercare di riflettere, perché se non si riflette siamo sempre nell’a n go l o » . I sacerdoti di quella che io chiamo Cattedrale sanitaria le direbbero: «Lei non è uno scienziato, dunque non può parlare». Le sto citando la frase che veniva ripetuta ogni volta per mettere a tacere i critici… «Certo, ma la realtà parla tutti i giorni e ho notato che chi sta in campagna come me è più capace di accorgersi di queste cose perché ha un rapporto ancora reale con quello che succede intorno, non è condizionato dai media in assoluto. Io questa prepotenza della scienza non la tollero. I grandi scienziati di una volta, come Sabin, mai avrebbero esibito questa arroganza. Magari è stato un bellissimo esperimento questo dei vaccini e servirà per il futuro. Io non sono contraria ai vaccini, sono importantissimi, ma la gestione fatta in questo modo è stata estremamente sinistra. Anche perché non ha tenuto conto della salute dei cittadini. Penso che ogni persona normale non desideri ammalarsi dunque tutti si sarebbero vaccinati senza alcun obbligo o forzatura; e chi fa delle vite solitarie non ha bisogno di vaccinarsi, perché deve essere costretto se il rischio del vaccino è più grande di quello della malattia? Non hanno lasciato la libertà di pensiero alle persone, non hanno concesso di decidere secondo il proprio stile di vita e il potenziale di rischio». C’è un capitolo molto interessante, nel suo libro, che parla del perdono. Lei sostiene che i politici dovrebbero chiederlo ai cittadini. Secondo lei aiuterebbe a superare questo trauma pazzesco che abbiamo avuto? «Sì, sicuramente aiuterebbe perché capiamo che ci sia stata una situazione terribile, imprevista, con errori umani, ma la persecuzione nei due anni successivi è stata molto grave. Queste ferite che abbiamo avuto come cittadini in un Paese democratico sono enormi; dunque, soltanto una richiesta di perdono potrebbe sanare questo dolore e questo senso di tradimento da parte di uno Stato che fino a qualche tempo fa era civilmente democratico. Abbiamo subito cose terribili. Persone che hanno perso il lavoro, cose molto gravi. Siamo stati l’unico Paese europeo ad avere questo p rob l e m a » . Ci sono ancora persone sospese dal lavoro perché sottoposte a obbligo fino al 31 d ic e m b re. «Sì, ma non solo. Io ho un caro amico in Rsa e non posso andare a trovarlo perché non ho il green pass. Hanno tagliato i rapporti sociali, è una follia assoluta». Al nuovo governo si chiede di provvedere subito a togliere queste limitazioni che non hanno senso. Però, guardando a certe dichiarazioni sul green pass del nuovo ministro della Salute, Orazio Schillaci, mi vengono dei dubbi sul fatto che verrà chiesto perdono. «Sarebbe un bel gesto perché aiuterebbe a ricucire la società, a ridare fiducia nel ministro della Salute, a ricucire una sanità distrutta, perché abbiamo visto in questi anni una sanità ridotta ai minimi termini. Un’altra cosa che mi ha molto colpito è che nel 2022 si considerino “f ra - g i l i” i sessantenni. Forse potevano esserlo negli anni Cinqu a nta …». E allora perché li consideriamo fragili? «Se un sessantenne, come dice Garattini, prende dalle 15 alle 20 pillole al giorno, è chiaro che è già malato. Non solo: è la medicina a essere ammalata, perché non ha fatto educazione sanitaria, non ha curato l’ambiente. E questa è solo la punta dell’ic e - berg, c’è stato negli anni un uso di pillole smodato al posto dell’educazione sanitaria, e questa è una cosa di cui il nuovo ministro della Salute dovrebbe occuparsi». Pensa che succederà qualcosa del genere? Pensa che il nuovo ministro potrà segnare questo cambio di passo, anche rispetto al passato rec e nte? «In tutte le situazioni della vita noi sbagliamo e si può sempre ricominciare. Chiedere perdono vuol dire compiere una eliminazione dell’orgoglio e aprire la porta alla rinascita. Non si tratta di umiliare, ma di pensare a un futuro in cui le cose possano andare in modo diverso. Bisogna chiedere perdono per tutte le persone che avevano malattie autoimmuni gravi e o si vaccinavano o perdevano il lavoro… Sono cose inammissibili. O chi è stato senza green pass e ha dovuto fare una vita da reietto per mesi e mesi… È stata una cosa veramente folle». Qui la responsabilità della classe medica è stata grande. Sembra che a tanti di loro sia piaciuto parecchio apparire in televisione, tanti che alcuni ancora lo fanno, magari per parlare di politica. «Premetto che dopo il giugno del 2020 ho chiuso la televisione e non l’ho più guardata, ma nei primi mesi di pandemia l’ho guardata. Mi faceva impressione perché dicevano tutto e il contrario di tutto, c’era un protagonis m o… Poi c’erano medici che proferivano delle specie di maledizioni: “Il virus durerà 1.000 anni, no 2.000...”. Ma tutti i virus che entrano nell’ospite convivono con lui per sempre. Conviviamo col virus della rabbia dei cani da 20.000 anni… Dicevano anche cose terroristiche. Come dico nel libro incitare alla paura fa malissimo alle difese immunitarie, perché se hai paura le difese crollano. Sarebbe stata meglio una campagna positiva. Si poteva invitare a portate i bambini e gli anziani fuori, al sole, per esempio. Invece è stato tutto difensivo e aggressivo e questo non è il modo giusto di gestire la salute pubblica». Mi sembra che ci sia un filo conduttore in tutto questo discorso, ovvero la mancanza di contatto con la realtà. Abbiamo perso il radicam e nto, la capacità di toccare le cose, di vivere la natura e coltivare la nostra parte spirituale. Se pensiamo anche a certe derive linguistiche del politicamente corretto, ai mutamenti che impongono, alla cultura della cancellaz io n e… Vediamo un continuo rifugiarsi in un mondo artefatto, costruito a tavolino, una burocrazia ideologizzata. Come si fa a ricostruire, a recuperare un rapporto con la realtà? «Dobbiamo ricordarci che la nostra grande cultura e civiltà deriva dal mondo ebraico, greco e cristiano. Questo lo abbiamo archiviato rapidamente e ci siamo genuflessi alla Silicon Valley e a tutti i suoi presunti benefici. Abbiamo buttato a mare una cultura basata su un’u m a n i tà profonda per riverire l’efficienza e il guadagno. Ritornare alle radici è fondamentale perché senza veniamo spazzati via rapidamente. Bisogna ritornare a parlare della complessità dell’uo mo, dell’esistenza di una cosa misteriosa che si chiama anima. Una cosa di cui abbiamo sempre avuto consapevolezza, come ci dicono le prime sepolture della storia umana. Bastano anche cose semplici. Se uno ha un pollaio, nota che i polli stanno bene al sole, mangiano i vermi e stanno bene. Se io stipo tanti polli in un pollaio, li tengo chiusi, poi dovrò per forza fare iniezioni per mantenerli sani. Noi siamo come i polli dal punto di vista fisiologico: bisogna curare la salute, quella semplice, e disintossicare. Anche dalla follia dell’i n fo r m a z ione. Penso, tanto per dirne una, anche all’uso di Twitter che è una cosa perversissima. Credo che i politici non dovrebbero usarlo, perché rischiano ogni volta di dimostrare la loro pochezza. Questo è un mondo finto, costruito, artificiale. Dobbiamo tornare a educare i bambini non nell’ideologia ecologica, che è anche molto deprimente, ma insegnando loro a toccare e vedere, a osservare. Queste tre cose fanno l’umanità. Bisogna cominciare dall’e ducazione e cominciare a dire che queste ideologie sono s tupid a g g i n i » . Se volessimo concludere con una massima potremmo dire: «Curate i vostri polli»… «Gi à… Ricorderei anche che siamo la patria di San Benedetto che è il grande salvatore della civiltà europea dal crollo dell’Impero romano. Ci ha insegnato l’ora et labora che è la via di salvezza dell’Europa, non a caso San Benedetto è patrono d’Eu ro pa . Ci dimentichiamo troppo spesso di lui e dei suoi grandi insegnamenti, dobbiamo tornare alla profondità della nostra cultura».
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