STUPIDA RAZZA

mercoledì 19 ottobre 2022

«Il terrore Usa è mandare soldati al fronte»

 

Dal ruolo di Elon Musk alle trattative tra Stati Uniti e Russia. Senza ovviamente dimenticare le mosse della Cina. Per cercare di fare chiarezza sull’aggrovi - gliato dossier ucraino, La Verità ha deciso di intervistare il direttore della rivista D o m i n o, Dario Fabbri. Dario Fabbri, partirei dal ruolo di Elon Mu s k . Dal controverso piano di pace twittato qualche settimana fa al recentissimo tira e molla sulla questione Starlink: a che gioco sta giocando esattamente n el l ’ambito del dossier ucrain o? «Elon Musk ha un ruolo molto rilevante, che non è un ruolo apicale, non è il massimo dell’importanza, ma - tra tutti i soggetti “s i n go l i” - senza dubbio è tra i primissimi protagonisti di questa guerra. Io credo che da un lato, per quanto riguarda il piano di pace che ha presentato alcune settimane fa, va tenuto presente che Musk è molto dentro il Pentagono, con cui ha un rapporto complesso: è organico al Pentagono, ma è comunque convinto molto ingenuamente di essere anche un po’ al di sopra dello Stato americano. Di solito, quando qualcuno pensa in questo modo, fa sempre una pessima fine. Elon Musk viaggia tra questi due estremi. Ciò che lui in una prima fase ha certamente perseguito è il segnalare al governo ucraino la volontà statunitense di trattare con Putin. Il negoziato è tutt’ora in corso. Da qui nacque quel suo tweet. Non sono quelli i termini del negoziato tra Stati Uniti e Russia, però era un tweet che serviva a dire agli ucraini: “Guardate che più o meno parlano di questa roba qu i”. Tradotto: non tutto ciò che i russi si sono presi tornerà mai a Kiev. E, per entrare nell’animo della trattativa, dovete accettare questo». Come sono attualmente i rapporti tra Jo e Biden e Volodymyr Zelensky? «Sono rapporti complessi, proprio perché l’amministra - zione Biden sta certamente parlando con il Cremlino. Poi va detto che l’amministrazio - ne politica, in queste vicende, entra fino a un certo punto. Sono soprattutto gli apparati dello Stato che parlano con i loro interlocutori russi, pur avendo il beneplacito di Biden. Zelensky ha molta paura che gli americani vadano troppo oltre nel negoziato, dal momento che (anche legittimamente, visti i sacrifici degli ucraini) Kiev non vuole concedere quanto gli americani immaginano di dare alla Russia in una trattativa » . E quindi? «I rapporti tra Biden e Zelensky sono quindi complicati, ma attenzione: non è che sono rapporti alla pari. Naturalmente l’ultima parola spetta agli Stati Uniti. Ma non chissà per quale ragione: gli ucraini sono degli eroici resistenti, ma senza il sostegno americano la guerra finisce, finisce domani letteralmente. Ciò che gli americani non vogliono in nessuna maniera è di doversi ritrovare a combattere una guerra convenzionale in territorio ucraino dopo un attacco tattico nucleare da parte russa. È questo che vogliono scongiurare a Washington». Se alle elezioni di metà mandato i repubblicani dovessero aumentare il proprio peso in seno al Congresso, cambierebbe qualcosa nella strategia ucraina degli Stati Un i ti ? «Il comportamento degli Stati Uniti sarebbe identico. Non sopravvalutiamo i movimenti politici statunitensi: qui si tratta di strategia. C’è tutto un filone all’interno del Partito repubblicano americano, legato a Donald Trump, che vede nella Russia non più un nemico ma un potenziale feudatario nello scontro principale contro la Cina. Questo c’è anche dentro gli apparati statunitensi. Ma è troppo semplice. Comunque gli americani hanno l’interesse assoluto a preservare la Nato in Europa e la loro presenza in Europa. Considerano qualsiasi appeasement alla Russia negativo su questo punto. E questo è nella testa anche dei repubblicani. Quindi non credo si verificheranno mutamenti significativi. Potrebbe semmai cambiare la dialettica, ma non dell’am - ministrazione vigente. Al di là di tutto, le elezioni di metà mandato possono andare come vogliono, ma comunque Biden resterà alla Casa Bianca per altri due anni». Domenica, il New York Tim es riportava che, nel suo discorso di apertura del ventesimo congresso del Partito comunista cinese, Xi J i n pi n g non ha citato né Vladimir Putin né la crisi ucraina. Sta cambiando qualcosa nell’at - teggiamento della Repubblica popolare cinese? «Io non credo che l’atteggia - mento cinese si sia modificato granché. Qualcosa è cambiato soprattutto all’inizio della guerra, adesso no. Non è che la Cina sia un alleato della Russia: non lo sarà mai, non lo è mai stato. Sono imperi contigui, figurarsi. Hanno un nemico comune, che sono gli Stati Uniti. E questo li avvicina. Quando nella primissima fase della guerra i cinesi si aspettavano che la Russia facesse di un sol boccone l’Ucraina in poche settimane, sembravano maggiormente spinti sul piano dialettico a favore di Mosca. Quando però hanno compreso che questo non capitava e che invece rischiavano (e rischiano) di incappare in durissime sanzioni americane, i cinesi hanno ammorbidito la loro pos i z io n e » . Quindi la Cina non tifa per la Russia in Ucraina? «Non lo ha mai fatto, perché la Cina è soddisfatta di quello che succede, cioè che un suo storico nemico - la Russia - si sia impantanato. Dall’a l tra parte, Mosca si ritroverà a vendere a basso costo gli idrocarburi che gli europei non vorranno comprare più per ragioni geopolitiche. E così anche il grano. Tutto questo alla Cina va benissimo. Ciò che semmai la preoccupa è la dimostrazione di forza degli americani, che stanno conducendo una guerra, senza nessun intervento diretto, ma fornendo soltanto tecnologia superiore, intelligence superiore, armamenti superiori all’Ucraina, a distanza e con qualche addestratore sul campo. E questo basta ad aver impedito alla Russia non solo di prendersi l’Ucraina ma, se non si affrettano a negoziare, anche di tenere i territori annessi». 

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