STUPIDA RAZZA

mercoledì 5 ottobre 2022

Dagli agrumi alle olive, l’agricoltura siciliana a rischio stop energetico

 

È in Sicilia che la raccolta delle olive parte per prima. Ed è qui che sono cominciate le proteste dei produttori: all’inizio nell’Agrigentino, poi si sono allargate al Trapanese e a tutta l’area occidentale dell’isola, quella più votata alla coltivazione degli ulivi. Nelle campagne i coltivatori minacciano di lasciare i frutti sugli alberi, perché i titolari dei frantoi quest’anno, a differenza degli scorsi anni, non intendono fissare preventivamente l’entità della remunerazione da garantire a ciascun agricoltore per il conferimento delle proprie olive. I frantoiani, certo, cercano di tutelarsi come possono dall’aumento quotidiano delle bollette energetiche. Ma nessuno agricoltore vuole raccogliere a scatola chiusa: così già 300 produttori, nelle campagne comprese tra Burgio, Calamonaci, Caltabellotta e Lucca Sicula, hanno deciso di sospendere la raccolta. Il caro-energia è sempre il primo sul banco degli imputati. «Se l’anno scorso il costo per la spremitura era di 12 centesimi al chilo, quest’anno in alcune zone sfiorerà i 20 centesimi - dice Coldiretti Sicilia - a questo bisogna aggiungere i costi del vetro e dei trasporti: una bottiglia di olio all’agricoltore costerà almeno 10 euro, ma di fatto non si sa ancora quale sia il livello del prezzo delle olive». L’olio extravergine siciliano rappresenta una delle produzioni agricole più importanti dell’isola e si estende su circa 160mila ettari. Nelle province di Agrigento, Trapani e Palermo la situazione sta diventando esplosiva e per questo è stato richiesto un incontro urgente ai prefetti delle tre città. Quello che succede nelle campagne olivicole della Sicilia potrebbe però essere solo l’inizio di un fenomeno destinato ad allargarsi ad altre regioni, così come ad altri tipi di coltivazioni: il prodotto agricolo non manca, ma il rischio è che marcisca nei campi perché il caro-energia rende troppo costosa  la sua lavorazione. Gli agricoltori sono già schiacciati dai costi crescenti del gasolio agricolo, dei fertilizzanti e dei semi, i margini sono all’osso, e nessuno di loro vuole rischiare di vendere in perdita. Segnali in questo senso arrivano anche dal comparto degli agrumi. Proprio in questi giorni Fruitimprese Sicilia ha incontrato le aziende del territorio e ha raccolto il loro allarme: senza sapere quale sarà il prezzo dell’energia il mese prossimo, e con i consumatori che stringono i cordoni delle borse sia in Italia che in Europa, le aziende del settore si chiedono se vale la pena e a quali condizioni avviare la campagna. «Non sappiamo quanto ci costerà tenere attivi gli impianti e le celle frigorifere - sostiene Placido Manganaro, presidente di Fruitimprese Sicilia - di conseguenza il rischio che gli agrumi restino sugli alberi è altamente concreto, con tutte le conseguenze del caso sul piano sociale e dell’occupazione». La campagna agrumicola si apre ad ottobre con i limoni e le arance Navelina, per poi passare all’arancia rossa Tarocco e ai mandarini. Nel territorio siciliano si concentra il 57% della produzione nazionale di agrumi, per un giro d’affari di circa un miliardo di euro. Quest’anno i produttori hanno dovuto far fronte a costi quasi raddoppiati a causa degli aumenti dell’acqua, dell’energia, dei concimi, dei fertilizzanti e anche della manodopera, che ad oggi (dati Fruitimprese) si attesta tra gli 80 e i 100 euro al giorno per lavoratore. Anche la filiera intermedia di trasformazione del prodotto è in emergenza: «Molte industrie di trasformazione – spiega Manganaro - stanno chiudendo, e così viene meno anche la possibilità di collocare il prodotto di seconda o di terza scelta che dovrà essere destinato al macero, con elevati costi di smaltimento che ricadono sulle aziende produttrici visto che le arance di scarto sono considerate rifiuti speciali».

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