STUPIDA RAZZA

lunedì 10 ottobre 2022

I conti della sanità squassati dalla pandemia (e da Speranza)

 

«La pandemia di Covid-19 che ha segnato gli ultimi anni ha sconvolto le esistenze di tutti ma, al contempo, ha rappresentato una spinta ad applicare soluzioni sempre più innovative, evidenziando le potenzialità del digitale nel migliorare la qualità della vita delle persone e nell’av v ic i n a - re il Servizio sanitario nazionale a ogni individuo, in ogni parte del Paese». Il ministro della Salute, Roberto Speranza , spende gli ultimi giorni del suo mandato a vantarsi dell’opera del suo dicastero. Parole al vento, perché i dati che escono, impietosi, sulla situazione del Ssn, sono sempre più drammatici. Dopo la crisi dei medici in fuga, dei posti letto mancanti, quella delle liste d’attesa, adesso un nuovo report arriva a certificare il fallimento dell’ex assessore. La pandemia, infatti, non ha rappresentato un’opportunità, anzi: il virus, o meglio la sua gestione, ha completamente affondato i bilanci delle aziende ospedaliere. A riportarlo un focus dell’Uf - ficio parlamentare di bilancio, che ha focalizzato il suo studio prendendo in considerazione 72 aziende ospedaliere (quelle sempre presenti dal 2015 al 2021), confrontando i conti economici del biennio appena trascorso con quelli del quinquennio precedente. In valore assoluto, lo scostamento costi-ricavi delle aziende ospedaliere italiane è passato da circa 360 milioni nel 2019 a quasi 2,6 miliardi nel 2020 e a più di 3,2 miliardi nel 2021. A provocare questa emorragia sia l’aumento dei costi che la diminuzione dei ricavi. Il dato più interessante è che la diminuzione dei ricavi dipende dal ridimensionamento dell’attività a causa d e ll ’emergenza sanitaria. Bloccare tutte le visite, le operazioni e l’attività ordinaria, oltre a moltiplicare all’infinito le liste d’attesa, ha contribuito ad alleggerire - e di molto - le casse degli ospedali, che spesso si reggono anche sulle attività di intramoenia. Nel 2020, gli introiti da prestazioni in regime di intramoenia sono diminuiti per più di 100 milioni; i ricavi dei ricoveri, nello stesso anno, so; e quelli delle prestazioni ambulatoriali di 200 milioni. Quasi metà della riduzione si è verificata nel Mezzogiorno, dove si è registrato il maggior calo delle prestazioni erogate. Gli aumenti di spesa sono dovuti soprattutto all’au m e n - to di personale resosi necessario per la pressione che il Covid e la sua gestione hanno inflitto. Ad aumentare, soprattutto, sono i contratti flessibili. Nel 2020 è stato fatto il 30% in più delle assunzioni a tempo determinato (54% al Nord, 34 al Centro e 19 nel Mezzogiorno), corrispondente a più di 2.800 unità annue. Anche le collaborazioni sono cresciute: nel passato si era cercato di limitarle, ma nel 2020 si è registrato un aumento di circa 1.800 contratti attivi (+31,7%). Infatti, non ha scandalizzato più di tanto il fenomeno dei medici a gettone delle cooperative private. Molti medici preferiscono questa soluzione perché lavorano meno e guadagnano di più (a rimetterci sono sempre le casse degli ospedali), ma spesso la loro preparazione non è conosciuta all’interno delle strutture e tutto il rischio naturalmente ricade sui pazienti che entreranno in pronto soccorso senza sapere a chi affideranno le loro cure. Insomma, lo scenario del sistema ospedaliero nazionale è drammatico: i medici assunti abbandonano, negli ospedali ci sono perlopiù precari e collaboratori esterni che vanno e vengono e le liste d’attesa rimangono infinite, mentre le casse piangono. Non c’è da sorprendersi quindi se gli italiani si rivolgono sempre di più alla sanità privata, trovando in queste strutture sistemi più efficienti e capaci di rispondere in modo più reattivo alle richieste dei loro pazienti. Il ministro S pe ra n za questo però non lo sa. O almeno fa finta di non saperlo, perché lui continua a credere e continua a dire di aver saputo gestire la pandemia al meglio, ma soprattutto di aver migliorato la sanità italiana.

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