STUPIDA RAZZA

lunedì 10 ottobre 2022

L’Ue riscrive il patto. Ma le trappole restano

 

Ormai ci siamo. Siamo in grado di rivelare - sulla base di autorevoli indiscrezioni trapelate da Bruxelles - che il prossimo 26 ottobre la Commissione presenterà una sua comunicazione recante i principi della revisione della governance economica europea. Nello specifico, si porrà finalmente mano al tanto controverso patto di stabilità e crescita e gli altri regolamenti che, dopo la riforma del 2012/2013, hanno guidato il governo della politica di bilancio degli Stati membri fino all’inizio della pandemia. Con l’esito finale di aver consegnato all’eurozona il poco invidiabile primato della crescita più bassa tra le aree economicamente avanzate del pianeta. Il documento della Commissione fa seguito alla fase di consultazione pubblica intercorsa nel biennio 2021-2022 e darà il via ad una difficile fase in cui sarà necessario costruire e consolidare il consenso pubblico e politico necessario. Purtroppo gli scenari economici e geopolitici attuali sono significativamente diversi da quelli presi in considerazione all’inizio del processo di pubblico confronto, allorquando si focalizzavano sulle conseguenze legate alla pandemia da Covid19. Ma per i commissari, Paolo Gentiloni in testa, è tempo di passare all’azione. Ed è proprio la sua Dg Ecfin - titolare del progetto di revisione – che detterà i tempi per arrivare all’adozio - ne ed implementazione della riforma della governance economica in tempo utile con quello previsto per la disattivazione della clausola di salvaguardia (escape clause) del patto di stabilità e crescita, ad oggi ancora confermata al 1° gennaio 2024. Quest’ul t im a data, inizialmente fissata al 1° gennaio 2023, è stata prorogata nel maggio scorso dalla Commissione, dopo aver preso atto che l’attivazione di quella clausola, avvenuta nel marzo 2020 a causa della pandemia, si rendeva ancora necessaria alla luce della notevole incertezza economica conseguente alla guerra in Ucraina, dell’eccezionale incremento dei prezzi dell’energia e della perdurante turbativa che interessa le catene di fornitura internazionale. La riforma si muoverà nell’ambito delle regole fissate dai Trattati (non vi è infatti né tempo né tanto meno consenso politico ad una eventuale riforma degli stessi), pertanto sia i parametri relativi al deficit annuale (non superiore al 3% del Pil) ed al debito pubblico complessivo (non superiore al 60% del Pil) saranno comunque mantenuti. Diversamente, l’«output gap indicator» sarà abbandonato in favore dell’«expenditure benchmark indicator». Il primo parametro è stato a lungo contestato perché oggetto di stime molto variabili e controverse. Infatti poteva condurre ad un deficit/Pil «strutturale» (cioè al netto degli effetti del ciclo economico e delle una tantum) abbastanza diverso da quello nominale. Con il risultato di costringere uno Stato, ritenuto (spesso a torto) oltre il potenziale di crescita, a correggere il deficit/Pil in misura superiore. Per esempio, l’ultima Nadef per il 2023 e 2024 prevede un deficit/Pil tendenziale al 3,4% e 3,5% ma, poiché l’output gap è positivo – cioè si stima che cresceremo oltre il potenziale - il saldo strutturale peggiora a 3,6% e 3,9% e quindi l’aggiu - stamento richiesto è maggiore. È stato questo il perverso calcolo che ha zavorrato la nostra economia dal 2012. Il nuovo parametro che la Commissione dovrebbe presentare è un generale indicatore di qualità della spesa, peraltro da definire in dettaglio ma che potrebbe generalmente privilegiare come qualità di spesa quella in infrastrutture/progetti di lungo termine (verde, digitale) invece che spesa corrente. La Commissione dovrebbe fornire numerose nuove linee di indirizzo. In primo luogo, più flessibilità per gli Stati membri nel percorso di riduzione del proprio debito, in una prospettiva non più annuale e meramente «quantitativa» ma di medio termine (idealmente coincidente con il ciclo politico dello Stato membro, circa 5 anni) e qualitativa. Le nuove regole fiscali dovranno infatti promuovere riforme e investimenti, segnatamente nell’ottica di favorire la doppia transizione verde e digitale. Inoltre, gli Stati membri avranno maggiore titolarità e responsabilità sul rispetto degli obiettivi concordati. La Commissione cioè prende come punto di riferimento il quadro giuridico posto in essere per i piani di ripresa e resilienza che sono stati appunto «convenuti» con i singoli Stati membri che quindi diventano pienamente responsabili degli impegni assu nt i . Ma inutile farsi illusioni. Come per il Pnrr, l’approva - zione dei singoli obiettivi di riduzione del debito di ciascun Stato membro dovrà comunque coniugarsi con una fase di «raccordo» e «condivisione» multilaterale da parte di tutti gli Stati membri in seno al Consiglio, al fine di evitare che vi possano essere trattamenti diversificati per i diversi Stati; su questa richiesta Olanda e Paesi nordici sembrano fermi. A Bruxelles puntano tutto su una significativa semplificazione delle regole fiscali. La sfida in questo contesto sarà comunque quella di meglio allineare le nuove regole con la procedura di squilibri macroeconomici. Ed è la stessa Commissione ad ammettere che questo snodo è uno degli aspetti più complessi della revisione in corso. Nel frattempo, è importante sottolineare che l’attu a l e attivazione della clausola di salvaguardia non significa affatto la sospensione del patto di stabilità, come spesso imprecisamente si afferma. Si tratta soltanto della mera facoltà di deviare temporaneamente dal percorso di avvicinamento all’obiettivo di medio termine fissato per il rapporto deficit/Pil. Che per l’Italia prevede un astronomico avanzo dello 0,3%. Tutto il resto è pienamente operativo. Ci riferiamo alla procedura per deficit eccessivo e per squilibri economici eccessivi che la Commissione in primavera ha deciso di non avviare – pur essendoci i presupposti per l’Italia ed altri Paesi – e che si riserverà di valutare nuovamente a novembre, dopo aver ricevuto la bozza della legge di bilancio 2023. Sarà il primo banco di prova per il nascituro governo di centrodestra che, da queste prime indiscrezioni, non ha motivi per gioire. Infatti, l’impressione è di essere in presenza di interventi «cosmetici» che non affrontano il vizio che affligge alla radice le regole europee, cioè quello di considerare la politica di bilancio un obiettivo e non uno strumento, come invece dovrebbe essere.



Nessun commento:

Posta un commento