STUPIDA RAZZA

venerdì 21 gennaio 2022

Industrie alimentari in affanno, i rincari fermano le fabbriche

 

Si moltiplicano gli allarmi del mondo produttivo sull’aumento esponenziale di luce e gas, che sta creando un gap di produttività: secondo il CsC, il balzo del gas in Europa è del 723% dal livello pre-crisi contro un +66% negli  Usa; 37 miliardi la previsione dei costi energetici per il 2022 (8 del 2019). Un boom, comprese tutte le materie prime, che sta gonfiando a catena costi e tariffe, oltre a spingere inflazione (balzata in Italia al 3,9% in dicembre). Intanto i rincari fermano le fabbriche: da Foggia a Bolzano i primi stop produttivi. «Confindustria insiste a chiedere con urgenza - spiega Regina, delegato per l’energia - un tavolo interministeriale a Palazzo Chigi per valutare soluzioni a difesa del sistema industriale». Sul caro-bollette domani un primo vertice al ministero dello Sviluppo.  Tenere le macchine accese è davvero difficile, quando la bolletta del metano, nel giro di cinque mesi, è passata da 2.280 a 12.720 euro al giorno. A tutto questo bisogna poi aggiungere gli aumenti dei costo della plastica, del cartone, dei pallet e della logistica. Così alla Farris di Foggia, 150 soci conferitori e uno stabilimento che è l’unico in Europa a produrre verdure cotte disidratate destinate a diventare ingredienti di altri piatti pronti, lunedì 3 gennaio hanno fatto una lunga riunione interna e hanno deciso quello che mai avrebbero voluto votare: uno stop alla produzione di sei mesi, da gennaio fino a giugno. Con tanto di cassa integrazione per gli operai e di riconversione a grano dei campi dei soci. Per quanto, si sa, nonostante rincari, il grano non renderà mai come un ortaggio dell’orto. Da qualche parte, alla fine, i tanto temuti blocchi produttivi dell’industria alimentare sono cominciati. I produttori, schiacciati da costi sempre crescenti ora delle materie prime, ora dell’energia, hanno cominciato ad andare in perdita. E là dove non riescono a scaricare una parte degli aumenti sui consumatori finali - come dimostra la fiammata dell’inflazione registrata a dicembre - può anche capitare che preferiscano spegnere i motori. La Farris, per esempio, è tra le imprese che non è riuscita a scaricare gli aumenti sui clienti, che nel suo caso non sono i consumatori finali, ma altri trasformatori di beni alimentari, dai produttori di pizze surgelate a quelli di insalate in scatola: «Un chilo di zucchine disidratate, che l’anno scorso ci costavano 11 euro, oggi ce ne costano 22 - racconta Giorgio Mercuri, amministratore unico della Farris - a questi prezzi i nostri clienti non ci comprano, perchè non siamo competitivi. Nemmeno in Germania ci comprano. Il risultato è che preferiscono rivolgersi a produttori cinesi di verdure disidratate, con buona pace della qualità». Grazie agli investimenti nei pannelli fotovoltaici installati sui tetti dello stabilimento, la Farris è risucita almeno ad attuire gli aumenti dei costi dell’energia elettrica. Ma la fiammata del metano ha dato ai conti il colpo di grazia. Il caro-materie prime, insieme al caro-energia, non colpisce solo le produzioni destinate ai consumatori italiani, ma anche quelle per l’estero. Nella Val Venosta, in provincia di Bolzano, i costi degli imballaggi e della logistica hanno creato forti difficoltà all’esportazione delle mele a marchio Vip: «I costi dei container sono triplicati e la loro disponibilità si è ridotta - racconta Fabio Zanesco, direttore commerciale della Vip - inoltre aumentano i costi degli imballaggi in carta, cartone, plastica e legno, per di più i loro tempi di consegna si sono fatti molto più lunghi e complessi. E poi ci sono gli aumenti dell’energia usata per la refrigerazione. I retailer fanno il possibile per non portare l’inflazione sui punti vendita, ma così sono i produttori che rischiano di pagare tutto». Oltre a guidare la Farris, Giorgio Mercuri è anche il presidente nazionale dell’Alleanza Cooperative agroalimentari: «Insieme a Federalimentare, ci stiamo attivando a livello nazionale e abbiamo più volte sollecitato il governo, che infatti questa settimana incontrerà le parti sociali. Gli aumenti energetici sono una questione non solo italiana, ma hanno una dimensione europea, ed è in Europa che i governi devono prendere una posizione. Secondo i nostri calcoli, per intervenire sull’abbattimento dei costi energetici delle industrie ci vorrebbero dagli 80 ai 100 miliardi di euro. Richiedere i fondi necessari è impensabile. Ma senza nessun intervento l’industria alimentare italiana, che non si è fermata con la pandemia da Covid, rischia di fermarsi con la pandemia energetica».

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