STUPIDA RAZZA

venerdì 21 gennaio 2022

Rincaro del gas al 723%, allarme delle imprese sulla produzione

 

Un allarme che riguarda il sistema industriale italiano: l’aumento delle materie prime, e in particolare la crescita vertiginosa del gas e dell’energia elettrica «rischiano di bloccare le imprese». Per il Centro studi di Confindustria l’aumento dei costi che le aziende devono fronteggiare «è insostenibile in termini di competitività». C’è in gioco il futuro dell’Italia come paese manifatturiero: «È fondamentale intervenire, per molti settori c’è il rischio concreto di perdere quota di mercato in modo irreversibile». Costi in aumento e margini che si assottigliano sempre di più, sottolinea il CsC, «fino ad annullarsi», per la difficoltà di trasferire ai clienti i rincari delle commodity. Una sofferenza del sistema imprenditoriale, che spiega il motivo per cui l’inflazione in Italia resta più bassa che altrove, pur crescendo, +3,9% annuo: al netto di energia e alimentari è moderata, +1,4%. I numeri fanno capire l’entità del fenomeno: il balzo del gas è arrivato in Europa a +723% dal livello precrisi, cioè dicembre 2019, contro un +66% negli Stati Uniti. Un trend dovuto ad una effettiva scarsità e alle questioni geopolitiche, come le tensioni Ue e Russia. L’impennata del gas ha fatto lievitare i costi energetici delle imprese: 37 miliardi è la previsione per il 2022, contro gli 8 del 2019, e in futuro il livello resterà alto, pur diminuendo: 22,1 miliardi nel 2023, 15,2 nel 2024 per assestarsi poco sopra i 13 per gli anni a seguire. Sempre molto più rispetto a 3 anni fa. E non è solo il gas: il rame ha avuto un «enorme rincaro» di +57% a dicembre 2021 su fine 2019, il cotone +58%, con l’aggiunta del +13% del petrolio, pur trattandosi di un recupero. A questi aumenti si è aggiunto nel 2021 anche un balzo del costo dei trasporti marittimi, «piuttosto persistente». Una tempesta perfetta, è la definizione che si raccoglie tra le imprese. Che ci penalizza anche in confronto ai nostri principali paesi concorrenti: il prezzo dell’energia in Italia è più alto che in Francia e altri paesi europei, a seguito delle policy che all’estero sono state adottate. «Questi rincari significano anche un marcato aumento della bolletta energetica, pagata dall’Italia ai paesi esportatori», scrive il CsC nel documento, elaborato dall’area politiche industriali e sostenibilità. Ancora sul 4° trimestre dell’anno scorso c’era una forte pressione sui margini, specie nei settori che producono beni di consumi, più vicini alla domanda finale domestica. Comunque «il dato medio non coglie in pieno l’effettiva sofferenza di alcuni comparti». Occorrono azioni, congiunturali e strutturali, una visione strategica che integri politica energetica e politica industriale. Nell’immediato, scrive il Centro studi, si dovrebbe intervenire sulle componenti fiscali e parafiscali della bolletta elettrica e del gas natu rale, aumentando il livello di esenzione per i settori della manifattura, in particolare gli energivori a rischio delocalizzazione. Sempre sul piano congiunturale è possibile rafforzare gli strumenti di partecipazione della domanda ai servizi di sicurezza del mercato elettrico e gas (ad esempio servizio di interruzione). Inoltre con riferimento all’aumento dei prezzi della Co2 la Commissione Ue potrebbe adottare misure anti speculative, dopo aver indotto un balzo all’insù auspicando un valore target dei certificati Ets a 100 euro. Sul piano strutturale sarebbe opportuno aumentare la produzione nazionale e riequilibrare sul piano geopolitico la struttura di approvvigionamento del paese. Con riferimento al mercato elettrico è necessario promuovere rapidamente una riforma, «per disaccoppiare la valorizzazione della crescente produzione di energia rinnovabile dal costo di produzione termoelettrica a gas».

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