D a parte di molti, e sempre di più negli ultimi giorni (quanto più stanno via via esponenzialmente aumentando i contagi), viene invocato l’obbligo vaccinale: sia come forma di coazione nei confronti di coloro che al vaccino sono contrari e che dunque fino a questo momento vi si sono sottratti; sia come forma di parificazione fra le parti, anche aldilà di qualunque desiderio coercitivo, e quindi quasi per principio. Come a dire: perché devo vaccinarmi solo io a vantaggio di tutti, anche di coloro che non si vaccinano? Al tempo stesso, dal loro punto di vista, molti dei contrari al vaccino considerano già fin troppo coercitivo il sistema di divieti derivante dalla mancata vaccinazione, e ne fanno una questione di libertà: ciascuno deve poter scegliere per sé, senza pretendere di imporre la propria scelta a tutti gli altri. Le due posizioni (quella di chi auspicherebbe l’obbligo vaccinale e quella di chi invoca la libertà più assoluta) hanno una cosa in comune: l’idea di una dimensione esclusivamente verticale del diritto e delle norme che lo compongono. Come se il diritto potesse riguardare solo i rapporti fra i cittadini e l’Autorità; come se la Legge potesse calare dall’alto solo come una minaccia o una sanzione nei confronti dei suoi destinatari. Come se il diritto avesse necessariamente bisogno di un momento secondario (la sanzione) rispetto al suo momento primario (il comportamento richiesto): come se potesse avere solo una natura intimidatoria, e non potesse esistere al di fuori di tale natura. Come se alle norme si dovesse o potesse obbedire solo per timore di subire le conseguenze derivanti dalla loro inosservanza, e come se, davanti alla scelta fra obbedire o non obbedire, ciascuno fosse chiamato a fare i conti solo con sé stesso: obbedendo mi salverò, disobbedendo andrò incontro alla punizione. Ciascuno da sé, ciascuno per sé; o peggio, tutti contro tutti. In altre parole ancora, è come se fosse da negare a priori e radicalmente l’idea di una possibile dimensione alternativa dei rapporti, orizzontale anziché verticale, relazionale anziché solipsistica e conflittuale: e qui a venire in gioco non è solo il diritto, ma anche una concezione piuttosto che un’altra della convivenza civile, del vivere sociale. Lo mette benissimo in luce Tommaso Greco in un piccolo, prezioso volume appena uscito da Laterza, La legge della fiducia, quando scrive: «L’idea che sembra guidarci è che, quando abbiamo a che fare con il diritto, mettiamo (dobbiamo mettere) da parte la fiducia che nutriamo nei confronti degli altri, e, anzi, è proprio perché non ci fidiamo degli altri che ci rivolgiamo al diritto e alle sue soluzioni». Quella che Greco propone, non a caso, è la costruzione di un diritto anche all’insegna di un altro paradigma, votato alla “fiducia”: sul presupposto che questo in fondo sia ciò che il diritto ci chiede, «anche se facciamo di tutto per evitare di vederlo». Vale a dire: «riconoscere le aspettative e i bisogni dei soggetti con i quali entriamo in rapporti mediati dal diritto», «fidarci l’uno dell’altro”, «avere comportamenti conseguenti, che possano adeguatamente soddisfare le aspettative di coloro con i quali instauriamo le nostre relazioni». Non è utopia, tutt’altro. Come sottolinea lo stesso Greco, proprio il fatto che la vaccinazione non sia obbligatoria dimostra una volontà, da parte del legislatore, di responsabilizzare i cittadini al di fuori di qualunque coercizione. L’unica conseguenza derivante dalla mancata vaccinazione rimane, a tutt’oggi, quella consistente nell’esclusione da una serie sempre più ampia di attività implicanti contatti sociali ravvicinati: il che conferma, appunto, una logica ispirata a visioni orizzontali del diritto perfino nel suo momento secondario. Sotto questi aspetti le norme sulla vaccinazione, nella misura in cui si limitano a prevederla come utile e necessaria senza imporla coattivamente, contengono a tutti gli effetti una filosofia: di un diritto che non presuppone necessariamente la conflittualità, bensì sappia includere anche la solidarietà, la fraternità. Come la politica, anche il diritto può essere più o meno comunitario; e davanti alla Legge non ci si deve per forza sentire soli e disarmati. Sarebbe bello, talvolta, obbedire alle norme semplicemente riconoscendone il valore relazionale.
NEL 2012 NON CI SARA' LA FINE DEL MONDO IN SENSO APOCALITTICO,MA UN CAMBIAMENTO A LIVELLO POLITICO ED ECONOMICO/FINANZIARIO. SPERIAMO CHE QUESTA CRISI SISTEMICA ,CI FACCIA FINALMENTE APRIRE GLI OCCHI SUL "PROGRESSO MATERIALE:BEN-AVERE""ECONOMIA DI MERCATO" FIN QUI RAGGIUNTO E SPERARE IN UN ALTRETTANTO "PROGRESSO SPIRITUALE:BEN-ESSERE"ECONOMIA DEL DONO,IN MODO DA EQUILIBRARE IL TUTTO PER COMPLETARE L'ESSERE UMANO:"FELICITA' NELLA SUA COMPLETEZZA".
STUPIDA RAZZA
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