STUPIDA RAZZA

lunedì 21 febbraio 2022

«Costretti a spegnere i forni anche se siamo pieni di ordini»

 

Alle sue spalle, dietro la scrivania, una grande finestra dall’alto dà su uno scavo che sarebbe dovuto essere un canale navigabile tra Venezia e Padova: «Mio padre trasferì qui l’a z ie n d a proprio perché aveva il sogno di fare arrivare le materie prime con le navette». Tutti i giorni Alessandro Banzato si affaccia su un’opera mai realizzata di cui si parla dagli anni Settanta, un simbolo di «tutte le cose italiane mai completate». Più volte nel corso della chiacchierata sembra voler tirare dritto, scrollarsi dalle spalle quel che non va e già si sa, inutile tornarci su. «Che ci mettano in condizione di lavorare, chiediamo solo questo», ripeterà spesso quando gli chiediamo dei palazzi romani. Ha varcato la soglia di Acciaierie Venete a 22 anni, oggi guida 10 stabilimenti con 1.400 dipendenti e 5 società, presiede l’a s s o c i a z io - ne di categoria Federacciai, e dalla porta del suo ufficio esce raramente. Di recente si è comprato gli 800 ettari di terra e acqua di Valle Zignago, un paradiso che fu il buen retiro di Pietro Marzotto, dove Ernest Hemingway e Juan Carlos di Borbone amavano andare a caccia. Lui non ha questa passione e racconta di visitare ben poco la tenuta, di questi tempi. «È un posto straordinario, dovrebbe vedere quanto è bella la laguna, e la quantità degli animali che ci sono. Ma nel weekend c’è il campionato, resto a Padova o vado in trasferta». Non parla di calcio - anche se la fede rossonera è un’altra delle sue passioni - ma di rugby: è presidente del Petrarca Padova e quello per la palla ovale è «un amore cominciato con i miei due figli, che poi hanno abbandonato ed è rimasto a me: mi piace il senso della comunità che si sostiene, è uno sport che insegna che da soli non si va da nessuna parte». Quante volte le è toccato dare un allarme sul tema energia in questi mesi? «Abbiamo dovuto alzare la voce perché la cosa quasi paradossale è che per il nostro mondo dell’ac - ciaio è un momento positivo, buono. Vedo finalmente segnali di movimento anche per la filiera dell’auto, che comprende alcuni dei nostri clienti. Abbiamo un carico di ordini che mi farebbe guardare al futuro con ottimismo, guardassi solo a quello». M a? «Ma l’incognita del prezzo dell’energia ci tiene continuamente in apprensione. Pensi che siamo costretti a vedere il giorno prima per il giorno dopo i costi dell’e l et - tricità e decidere in base a quelli come far funzionare i nostri stabil i m e nt i » . Che quindi non girano a pieno reg i m e? «Proprio nel momento in cui dovremmo poter produrre al massimo, siamo stati costretti a lavorare a singhiozzo. Abbiamo anticipato le ferie di dicembre e posticipato il rientro degli operai a gennaio. Pensi che per qualche ora del giorno occorreva - soprattutto in dicembre, quando i prezzi erano del tutto fuori controllo - spegnere del tutto il forno fusorio». Ad d i r i ttu ra? «Di solito davamo lo stop nelle ore calde della giornata, tra le 9 e le 11 del mattino, e poi anche dalle 17 alle 19. Qualche altra azienda del settore ha scelto di lavorare solo la notte, di sabato e domenica. Ognuno ha cercato le sue soluzioni per far fronte come poteva al problema. Quel che conta è che siamo stati fermi mentre il carico di lavoro è importante. Fermi, quando siamo elemento importante della manifattura italiana, che ha bisogno del nostro prodotto». L’industria dell’acciaio si mangia molta energia. «Da sempre, ma non era mai successo di ricevere una bolletta come quella di novembre: suppergiù metà di quanto pagato nell’intero 2020. Questo credo che dia chiaramente la dimensione del p rob l e m a » . Venerdì sono stati annunciati nuovi aiuti contro i rincari: basterà quanto deciso dal Consiglio dei ministri per le imprese? «È un segnale importante che estende fino a giugno alcune misure compensative già assunte per il primo trimestre, ma soprattutto che inizia a mettere in campo interventi strutturali importanti sul gas. Ci aspettavamo qualcosa di più sul lato dell’energia elettrica, ovvero un intervento strutturale simile a quanto varato per la “ga s re l ea s e”, ma rimaniamo fiduciosi perché l’importante è che si sia capita la direzione da prendere». Avete anche evocato il rischio di un lockdown produttivo. Stanti le ultime decisioni del governo, resta una possibilità? «A oggi no, ma il nostro pessimismo non era di facciata. Siamo andati fortemente in sofferenza, con questi prezzi». C’è una chiave di volta? «Il problema è complesso. Tocca la politica internazionale, e c’era già prima della crisi ucraina. Il punto fondamentale è che manca una chiara politica energetica nazionale, e pure europea». Non da oggi. «Certo che no. Abbiamo abbandonato il nucleare e fatto tante scelte che oggi ci presentano il conto. Ridurre l’estrazione di gas da giacimenti, ad esempio: ora si pensa di riprendere, e va fatto. Ma siamo stati tenuti in scacco da una minoranza del “n o”. C’è chi dice no, e intanto veniamo messi fuori mercato, perché i competitor francesi e tedeschi pagano l’energia meno di noi». Non è un combattimento ad armi pari? «Proprio no, se i francesi ad esempio hanno fissato che il 60% del consumo dell’elettricità da parte delle aziende energivore possa avvenire a un prezzo contingentato grazie a un provvedimento del governo, che ha il nucleare e può sfruttare le sue riserve per sostenere la siderurgia». Si è sentito ascoltato in questi mesi? «Da presidente di Federacciai ho avuto a che fare già con tre ministri dello Sviluppo economico. Ho parlato meno con Luigi Di Maio soltanto perché ero io stesso alle prime armi, ma ho sempre avuto interlocuzioni costruttive con chi, in particolare il ministro Giorgetti in questi mesi, e Patuanelli prima, percepiva la portata del problema. C’è però da dire che alcune nostre richieste, come un tavolo sulla siderurgia che chiediamo da anni - da anni! - anche con l’appoggio dei sindacati, vengono sempre posticipate. Il settore è fondamentale per l’intera economia e manifattura italiana - mi basterà nominarle Taranto e Piombino - ma quel tavolo non è mai stato fatto partire. È un errore, lo dico chiaro». La politica ha i suoi tempi. «Che comprendo, perché deve guardare a una complessità di fattori. Peccato che troppo spesso non coincidano con quelli dell’industria, che ha bisogno di rapidità. Le faccio l’esempio classico delle rinnovabili: forse nessuno sa quante carte e che tempi lunghi occorrano per ottenere le autorizzazioni per mettere una pala eolica in un campo, o pannelli solari». Il presidente della sua Regione, Luca Zaia, sostiene occorra pensare al nucleare, perché si rischia che le imprese delocalizzino. «Bene tutte le proposte, l’i mportante è che si definisca una politica energetica chiara di questo Paese, che guardi davvero avanti. Fino a oggi è stato fatto troppo poco. Forse finalmente si cominciano a prendere le cose seriam e nte » . Chi le piace di più in politica? Si dice che lei sia stato tra i finanziatori di Carlo Calenda. Occorre smentire o è vero? «Non devo smentire niente, ho semplicemente partecipato a una cena organizzata da una persona che ci ha consentito una buona interlocuzione anche a livello europeo. Capisce le nostre istanze, ci è di supporto, con tanti altri parlamentari europei, nel rappresentarle a Bruxelles». E ora, si dice, guarda al centro. «Che siano di sinistra, di centro, di destra, noi parliamo con tutti. Non chiediamo sostegno». Come no? «No, quel che chiediamo è di essere messi in condizione di lavorare. Solo questo. Siamo imprenditori, noi produciamo. Certo, la politica è importante che abbia espresso il segnale di stabilità con la rielezione di Mattarella e la permanenza di Draghi a Palazzo Chigi, perché ci stiamo giocando sfide i m p o rta nt i s s i m e » . Un premier che striglia i partiti perché in una notte il governo è riuscito ad andare sotto ben quattro volte sul Milleproroghe. Funziona davvero questo governo di u n i tà? «Portare avanti le nostre esigenze e lavorare: chiediamo solo questo, glielo ribadisco con estrema tranquillità e altro non aggiungo » . Anche l’Europa può fare qualcosa per voi? «Ho chiesto pubblicamente che il governo italiano si faccia portatore delle istanze delle aziende. Si rischia che l’Unione faccia la fine di un vaso di coccio tra vasi di ferro, se gli Usa ci tirano per la giacca e i russi fanno contratti forti con la Cina». La Ue punta sul green. «Sacrosanto, ci mancherebbe. Nessuno mette in discussione vada fatto questo tipo di rivoluzione. Ma con i tempi consentiti dalla tecnologia: a che serve fare una fuga in avanti senza che le aziende abbiano la capacità di affrontare questa partita? Forse non è chiaro a tutti che si parla di milioni di posti di lavoro, e che non possiamo permetterci di andare fuori mercato? Quando vedo i certificati CO2 a 100 euro, mi risulta poi evidente che si è persa l’ad e re n za con la realtà». Aspetti, questa spieghiamola in modo semplice. «I cosiddetti Ets sono in pratica dei certificati sulle emissioni che danno diritto a inquinare. Dovrebbero essere un modo per incentivare le aziende a farlo di meno, e questo è un bene. Peccato che oggi questi certificati siano del tutto nelle mani della finanza. Non ho niente contro la finanza, però intanto le imprese sono costrette a spendere più soldi di quanti dovrebbero e a diminuire anche gli investimenti di miglioramento che avevano previsto. Un cane che si morde la coda».

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