NEL 2012 NON CI SARA' LA FINE DEL MONDO IN SENSO APOCALITTICO,MA UN CAMBIAMENTO A LIVELLO POLITICO ED ECONOMICO/FINANZIARIO. SPERIAMO CHE QUESTA CRISI SISTEMICA ,CI FACCIA FINALMENTE APRIRE GLI OCCHI SUL "PROGRESSO MATERIALE:BEN-AVERE""ECONOMIA DI MERCATO" FIN QUI RAGGIUNTO E SPERARE IN UN ALTRETTANTO "PROGRESSO SPIRITUALE:BEN-ESSERE"ECONOMIA DEL DONO,IN MODO DA EQUILIBRARE IL TUTTO PER COMPLETARE L'ESSERE UMANO:"FELICITA' NELLA SUA COMPLETEZZA".
STUPIDA RAZZA
mercoledì 23 febbraio 2022
Il prezzo pagato da un’Europa politicamente disarmata
S e non avessero cominciato a sparare i cannoni e a volare i missili nucleari nelle esercitazioni ai confini dove stazionano 140.000 soldati russi, se Mosca non avesse annunciato il riconoscimento dei separatisti del Donbass, i lunghi estenuanti preamboli della possibile guerra in Ucraina finirebbero a giusto titolo in un manuale di storia dell’irrealtà. Scritto con determinazione dai suoi maggiori protagonisti. Più alzano i toni e si scambiano avvertimenti apocalittici e più Vladimir Putin e Joe Biden sembrano preferire i muscoli delle minacce ibride, di propaganda, disinformazione e dissuasione reciproca, a quelle militari in uno scontro che nessuno vuole. Il presidente russo sa perfettamente che nessuno in Occidente è disposto a morire per Kiev. Sa quindi di disporre di una garanzia di impunità militare in caso di invasione, come è già successo con Georgia e Crimea. Il rischio peggiore sono le sanzioni, più pesanti e aggressive che in passato. Come già dice la reazione dei mercati, russo in primis. Con un’economia che riposa soprattutto sulle materie prime e sforna un Pil poco più alto di quello della Spagna, è pericoloso giocare con il fuoco. Putin deve quindi decidere se guadagna di più prendendosi un’altra fetta di Ucraina o evitando le sanzioni occidentali e continuando i negoziati diplomatici. Tenendo conto di due cose: il paventato ingresso di Kiev nella Nato oggi è un bluff, perché non potrà entrarvi finché non finirà il conflitto nel Donbass, sempre più un’altra ipotesi dell’irrealtà. Con la sola guerra delle parole, poi, è già tornato tra i Grandi, forse il più importante obiettivo del suo revanscismo nazionalista. Il mondo della realtà continua intanto a raccontare un’altra storia, quella che vede l’Europa, per interposta Ucraina, al centro dello scontro. Un’Europa che si vorrebbe e giustamente protagonista del proprio sistema di sicurezza ma si ritrova politicamente disarmata perché priva di autonomia: dipende in toto dagli Stati Uniti via Nato e per di più è considerata debole e divisa da Putin, che non l’ammette a pieno titolo al tavolo dei suoi negoziati americani. Anche se la Francia di Emmanuel Macron non si dà per vinta e insiste a mediare tra Mosca e Washington. Seppur intrisa di elettoralismo alla vigilia delle presidenziali, la battaglia del presidente francese è sacrosanta di fronte alla prospettiva del ritorno all’insicurezza collettiva in un’Europa tornata alla ribalta del confronto russo-cinoamericano che esonda a tutti i confini: dai Balcani occidentali al Mediterraneo passando per Medio Oriente e Africa. Ma una causa giusta non basta senza gli strumenti necessari a combatterla. Il primo che manca è l’unità europea. Il secondo è la vulnerabilità energetica con un tasso medio di import di gas dalla Russia del 40 per cento. L’America di Biden tenta di supplire a entrambe le lacune ricompattando il fronte occidentale attraverso un costante dialogo euro-Usa come non si vedeva da decenni e inviando via nave gas all’Unione (5 miliardi di metri cubi in gennaio) per compensare le mancate forniture russe. La priorità strategica degli Stati Uniti si è comunque spostata sull’Asia. Superata l’attuale emergenza, non ci sarà lo strappo transatlantico ma nemmeno il ritorno allo status quo ante. A quel punto arriverà il momento della verità per l’Europa e il suo futuro. Fin dove si spingerà l’accordo Putin-Biden sul nuovo ordine di sicurezza europeo, quante concessioni e dove sul disarmo nucleare reciproco nel teatro europeo, Est in particolare, quale destino per l’Ucraina e quale Ucraina? Che credibilità avrà la garanzia dello scudo Usa? Già oggi, con il fiato della Russia sul collo, tiene a fatica la facciata dell’unità europea. Nella corsa alla mediazione della Francia di Macron non manca il sale della concorrenza con l’Italia di Mario Draghi, indicato da Putin come interlocutore europeo preferito. Poi ci sono le esitazioni della Germania di Scholz che preferirebbe stare alla finestra della crisi puntando sugli aiuti umanitari e salvando il Nord Stream 2, soprattutto dopo che l’alternativa del gasdotto dal Kazakhstan è saltata. Poi c’è l’Est terrorizzato. Che la guerra ci sia o no, l’Europa rischia di uscire comunque perdente. Indifesa prima di tutto da sé stessa, non potrà rimediare ai propri limiti in tempi geopoliticamente ragionevoli. Resterà quindi appesa allo scudo Usa meno certo e agli appetiti crescenti di Russia e Cina.
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